Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Evento 2022
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Evento 2022
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » Spettacolo » Hugh Jackman va in terapia: “In The Son sono stato un disastro, ero molto vulnerabile”

Hugh Jackman va in terapia: “In The Son sono stato un disastro, ero molto vulnerabile”

Il divo australiano ha sofferto di ansia sul set anche a causa dell'argomento del film. Inoltre suo padre è morto durante le riprese

Marianna Grazi
20 Dicembre 2022
Hugh Jackman

Hugh Jackman

Share on FacebookShare on Twitter

A volte nemmeno un divo si sente tranquillo quando recita sul set. E non per motivi di preparazione o bravura, ma per cause che, nonostante non abbiano a che fare con il copione, influiscono profondamente sulla prestazione in scena. L’attore Hugh Jackman ha dichiarato di essere stato “un disastro” durante le riprese del suo ultimo film, “The Son“. La star di X-Men ha dichiarato alla BBC: “Mi sono reso conto di quanto fossi vulnerabile“. L’attore 54enne, che nella pellicola diretta da Florian Zeller interpreta un avvocato di successo con un figlio adolescente (Zen McGrath) avuto da un precedente matrimonio, che soffre di depressione, ha spiegato che l’argomento del film e il ritorno sulle scene dopo l’assenza dal lavoro a causa dei lockdown per il Covid gli hanno infatti causato “ansia”.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Hugh Jackman (@thehughjackman)

E poi suo padre è morto mentre stavano girando. “Non ha mai saltato un giorno di lavoro in vita sua”, racconta Jackman, spiegando perché non si è preso alcun periodo di pausa per elaborare il lutto. “Ho immaginato cosa avrebbe detto lui; mi avrebbe detto: ‘Vai a lavorare'”. Ma nonostante la volontà di tenere questo enorme dolore fuori dal set, inevitabilmente la realizzazione di “The Son” è stata dura e la pressione si è fatta sentire. “Non mi descriverei come una persona in crisi, ma di certo lo sono stato durante questo film”. Il divo australiano ha sofferto notti insonni mentre interpretava il ruolo di Peter, uno stacanovista con una nuova compagna e un bambino piccolo, ma anche un’ex moglie e il loro figlio adolescente con gravi problemi psicologici. Per questo ammette pubblicamente di farsi aiutare – ancora oggi – da un terapeuta, che lo ha supportato durante le riprese.

Hugh Jackman ha sofferto di forte ansia e disagio durante le riprese di The Son

I produttori del film hanno anche assunto degli psichiatri sul set nel caso in cui i membri del cast e della troupe avessero bisogno di parlare degli argomenti più sconvolgenti trattati nella pellicola. “Era la prima volta che vedevo una cosa del genere in un film”, dice Jackman, “e la gente l’ha usata ed era necessaria”. Mentre i coach per l’intimità sono diventati una consuetudine quando si girano scene di sesso, Jackman sostiene la necessità di un supporto anche per la salute mentale.  “C’è una piccola parte del mio cervello, vecchia scuola, che pensa: ‘Beh, sta a te risolverlo’. Se hai bisogno di andare da un medico, per qualsiasi motivo, per il tuo piede, per la tua salute mentale, sai, lo risolvi tu. Ma penso che sarebbe certamente un segnale forte da parte di un datore di lavoro che capire che prendersi cura dell’intera persona, non solo pagandola, ma occupandosi del suo benessere in tutte le sue forme è davvero, davvero importante”. La See-Saw films,  produttrice di “The Son“, ha collaborato con la Film and TV Charity, che ha sviluppato una risorsa gratuita per tutto il settore , con l’obiettivo di abbattere lo stigma legato alla terapia nel cinema e nella televisione. Dall’indagine “Looking Glass 2021” dell’associazione è emerso infatti che nove persone su dieci che lavorano nel settore hanno avuto problemi di salute mentale. Hugh Jackman ha dichiarato che spera che “The Son” possa stimolare un dibattito su questi problemi, “di cui c’è urgente bisogno”. “C’è una vera e propria mancanza di conoscenza, ignoranza e vergogna intorno all’argomento e penso che sia qualcosa che dobbiamo affrontare, molto, molto velocemente”.

Potrebbe interessarti anche

Nicoletta Sipos
Attualità

Nicoletta Sipos: “Vi racconto la Seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di un bambino tedesco”

25 Gennaio 2023
Margherita Laterza (Instagram)
Spettacolo

Uomini e donne a molestie invertite: cosa succederebbe? Il monologo di Margherita Laterza a “Le Iene”

25 Gennaio 2023
Neonato morto a Roma: la madre si addormenta durante l'allattamento
Attualità

Neonato morto a Roma: cos’è il rooming in, tra benefici e rischio stanchezza della madre

27 Gennaio 2023

Instagram

  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
A volte nemmeno un divo si sente tranquillo quando recita sul set. E non per motivi di preparazione o bravura, ma per cause che, nonostante non abbiano a che fare con il copione, influiscono profondamente sulla prestazione in scena. L'attore Hugh Jackman ha dichiarato di essere stato "un disastro" durante le riprese del suo ultimo film, "The Son". La star di X-Men ha dichiarato alla BBC: "Mi sono reso conto di quanto fossi vulnerabile". L'attore 54enne, che nella pellicola diretta da Florian Zeller interpreta un avvocato di successo con un figlio adolescente (Zen McGrath) avuto da un precedente matrimonio, che soffre di depressione, ha spiegato che l'argomento del film e il ritorno sulle scene dopo l'assenza dal lavoro a causa dei lockdown per il Covid gli hanno infatti causato "ansia".
 
Visualizza questo post su Instagram
 

Un post condiviso da Hugh Jackman (@thehughjackman)

E poi suo padre è morto mentre stavano girando. "Non ha mai saltato un giorno di lavoro in vita sua", racconta Jackman, spiegando perché non si è preso alcun periodo di pausa per elaborare il lutto. "Ho immaginato cosa avrebbe detto lui; mi avrebbe detto: 'Vai a lavorare'". Ma nonostante la volontà di tenere questo enorme dolore fuori dal set, inevitabilmente la realizzazione di "The Son" è stata dura e la pressione si è fatta sentire. "Non mi descriverei come una persona in crisi, ma di certo lo sono stato durante questo film". Il divo australiano ha sofferto notti insonni mentre interpretava il ruolo di Peter, uno stacanovista con una nuova compagna e un bambino piccolo, ma anche un'ex moglie e il loro figlio adolescente con gravi problemi psicologici. Per questo ammette pubblicamente di farsi aiutare - ancora oggi - da un terapeuta, che lo ha supportato durante le riprese.
Hugh Jackman ha sofferto di forte ansia e disagio durante le riprese di The Son
I produttori del film hanno anche assunto degli psichiatri sul set nel caso in cui i membri del cast e della troupe avessero bisogno di parlare degli argomenti più sconvolgenti trattati nella pellicola. "Era la prima volta che vedevo una cosa del genere in un film", dice Jackman, "e la gente l'ha usata ed era necessaria". Mentre i coach per l'intimità sono diventati una consuetudine quando si girano scene di sesso, Jackman sostiene la necessità di un supporto anche per la salute mentale.  "C'è una piccola parte del mio cervello, vecchia scuola, che pensa: 'Beh, sta a te risolverlo'. Se hai bisogno di andare da un medico, per qualsiasi motivo, per il tuo piede, per la tua salute mentale, sai, lo risolvi tu. Ma penso che sarebbe certamente un segnale forte da parte di un datore di lavoro che capire che prendersi cura dell'intera persona, non solo pagandola, ma occupandosi del suo benessere in tutte le sue forme è davvero, davvero importante". La See-Saw films,  produttrice di "The Son", ha collaborato con la Film and TV Charity, che ha sviluppato una risorsa gratuita per tutto il settore , con l'obiettivo di abbattere lo stigma legato alla terapia nel cinema e nella televisione. Dall'indagine "Looking Glass 2021" dell'associazione è emerso infatti che nove persone su dieci che lavorano nel settore hanno avuto problemi di salute mentale. Hugh Jackman ha dichiarato che spera che "The Son" possa stimolare un dibattito su questi problemi, "di cui c'è urgente bisogno". "C'è una vera e propria mancanza di conoscenza, ignoranza e vergogna intorno all'argomento e penso che sia qualcosa che dobbiamo affrontare, molto, molto velocemente".
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • Evento 2022

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2021 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto