Locarno 76, "Shayda" una storia d'amore e coraggio al femminile

Il film della regista iraniana Noora Niasari, prodotto da Cate Blanchett con l'attrice premiata a Cannes Zar Amir Ebrahimi chiude il programma del Festival, che ha premiato "Zona Critica", ambientato a Teheran

di GIOVANNI BOGANI -
12 agosto 2023
Shayda

Shayda

Cate Blanchett non è soltanto la straordinaria attrice che conosciamo, il cui talento è consacrato da due Oscar e da due coppe Volpi, alla Mostra del cinema di Venezia, come migliore attrice. Cate Blanchett è anche produttrice coraggiosa e attenta, capace di dare impulso a progetti nei quali crede. Uno di questi è il film "Shayda", della regista iraniana Noora Niasari, che chiude questa sera, nella più grande platea cinematografica d’Europa, la piazza Grande con i suoi settemila spettatori, il Festival internazionale del cinema di Locarno. Il cinema iraniano è protagonista anche del concorso. Il Pardo d’oro del 76° Locarno film festival è stato vinto dal film “Zona critica” dell’iraniano Ali Ahmadzadeh.
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Il produttore cinematografico Sina Ataeian Dena accetta il premio "Pardo d'oro" per Mantagheye bohrani (Zona critica) del regista iraniano Ali Ahmadzadeh (Keystone)

Ambientato in una Teheran notturna, semideserta, popolata da anime perse, girato senza l’autorizzazione del regime, usando persone reali e non attorni, con la macchina da presa il più delle volte nascosta, il film rappresenta “un atto di ribellione”, nelle parole del regista. Un atto di ribellione che è stato immediatamente punito dal regime di Teheran. Alla presentazione del film, regista e interpreti erano forzatamente assenti. Non hanno ricevuto il permesso di uscire dall’Iran, ed è stato loro ritirato il passaporto.

Il film "Shayda"

"Shayda" è una storia di resistenza, di amore, di ostinazione femminile. È una storia d’amore fra una madre e una figlia: è una storia di timori, espliciti e segreti. Le paure di una bimba che si trova in mezzo al conflitto fra i due genitori. Le paure di una madre, il suo timore che il marito – dal quale si è separata – possa approfittare di un momento passato con la figlia per portarla via, per trascinarla con sé in Iran, dove la donna avrebbe poche possibilità di riottenerla.
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La regista iraniana Noora Niasari

Basato sulla reale esperienza della regista, al suo debutto cinematografico, "Shayda" vibra di una sommessa, toccante forza. Grazie, in gran parte, alla impressionante performance – nel ruolo della madre – di Zar Amir Ebrahimi, già premiata come migliore attrice a Cannes 2022 per "Holy Spider". Ebrahimi interpreta una donna che si rifugia, insieme alla figlia di sei anni, in una casa di accoglienza in Australia. Cerca di costruire per sé e per sua figlia una nuova vita, dopo che si è separata dal marito. Ma lui non si è rassegnato alla separazione, non ha nessuna intenzione di concederle il divorzio. E soprattutto, la minaccia – più che concreta – è che approfitti della prima occasione per prendersi la bambina e portarla via con sé, in Iran, dove la donna, "colpevole» di avere rifiutato il marito, non avrebbe possibilità di vedersene affidare la custodia.

un ritratto di donna tracciato da Zar Amir Ebrahimi

È una storia di speranza, di vita che si ricostruisce a poco a poco, è una storia di coraggio. Ed è un magnifico ritratto di donna tracciato da Zar Ebrahimi: una donna segnata dal dolore di una separazione traumatica, ma che non rinuncia alla voglia di vivere, di ballare con la figlia, di giocare, e – in definitiva – anche alla voglia di innamorarsi.
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Zar Amir Ebrahimi in "Holy Spider": l'attrice è stata premiata al Festival di Cannes per la miglior interpretazione femminile

Man mano che il film procede, ci sentiamo sempre più vicini a Shayda e a sua figlia. E, per estensione, alle molte donne che si trovano, nel mondo, in una situazione simile alla loro. "Shayda" si svolge nel 1995, e mostra la Ebrahimi e la figlia Mona – interpretata da Selina Zahednia – praticamente in ogni attimo. In fuga dal marito, Shayda trova accoglienza in un rifugio, il cui indirizzo deve rimanere sconosciuto all'uomo. Il timore che qualcuno gli riveli dove vivono le due dà al film la tensione di un thriller, enfatizzata anche dal formato dell’immagine, quasi quadrata, come ad intrappolare i personaggi. E in effetti, i personaggi sono in trappola: che cosa può succedere se la bimba rivela al padre, quando è con lui, un dettaglio che riveli dove si trova la casa-rifugio delle due donne? Zar Ebrahimi riesce a dosare, nella sua performance, paura palpabile e coraggio. Il coraggio di una donna che cerca di rimanere parte della comunità iraniana in Australia, ma rivendicando il suo diritto a non tornare con il marito. Crediamo alla sua paura, crediamo alla sua speranza, le vediamo coesistere quasi nello stesso istante. È dirompente, il film, quando mostra il marito quasi incredulo di non poter più esercitare diritti patriarcali, e quando mostra la bambina coinvolta nello scontro fra i genitori. È un film sostenuto da una tensione costante, per tutta la sua durata, fin dalla prima scena: quando la bambina viene portata dalla madre all’aeroporto, perché impari che cosa fare, nel caso in cui il padre Hossein provi a lasciare l’Australia con lei. Ma è anche un film credibile, della cui autenticità non dubiti, neppure per un momento.

Lo sciopero degli attori blocca Cate Blanchett

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Cate Blanchett, produttrice del film, non sarà a Locarno per la proiezione per lo sciopero degli attori di Hollywood

A Locarno, stasera, ad accompagnarlo doveva esserci anche Cate Blanchett. Come sappiamo, lo sciopero del sindacato degli attori americani ha bloccato molte cose, e fra queste anche il volo dell'attrice per la Svizzera. Ma il film, in tutta la sua sommessa forza, c’è. Ed è un piccolo gioiello. Il film, che è stato anche presentato al Sundance Film festival e al Melbourne film festival, uscirà nelle sale italiane, distribuito da Wanted cinema.