Non solo in strada,
nei luoghi pubblici e in qualsiasi ufficio, ma anche in auto: le cittadine iraniane devono indossare il velo islamico anche alla guida, per non rischiare di venire ammonite - o peggio - dalla polizia. Che ha ripreso infatti a monitorare
l'uso dell'hijab da parte delle donne anche nelle loro vetture. A riferirlo sono i media locali, secondo i quali "è iniziata la nuova fase del
programma Nazer-1 (sorveglianza, in lingua farsi) in tutto il Paese", come ha dichiarato un "alto funzionario di polizia" all'agenzia di stampa Fars. "Il Nazer-1 riguarda l'assenza di hijab nelle auto, con la polizia che invia un Sms a chi trasgredisce", ha spiegato ai giornalisti. Stando a Fars nel messaggio si legge: "
L'assenza del velo è stata osservata nella vostra auto. È necessario rispettare le norme della società e non ripetere questo atto". Attenuata quindi la minaccia che era contenuta in una versione precedente del testo, secondo cui "se questa azione si ripete, vi saranno applicate conseguenze legali e giudiziarie": quest'ultima puntualizzazione è stata infatti rimossa.
Una giovane iraniana durante le proteste
Il programma Nazer della polizia iraniana
Il programma Nazer è stato lanciato dalla polizia nel 2020. Dopo la morte di Mahsa Amini, nel corso delle proteste che si sono scatenate,
le donne hanno iniziato fin da subito a
manifestare il proprio dissenso nei confronti del regime
togliendosi pubblicamente il velo, tagliandosi ciocche di quei capelli che le autorità della Repubblica Islamica vorrebbero ben coperti, e
sfidando le istituzioni per una maggior considerazione e tutela dei loro diritti. La famigerata polizia morale, la stessa che ha arrestato e picchiato a morte la 22enne di origine curda a metà settembre, ha smesso di arrestare le donne che camminavano a capo scoperto per strada e di portarle alla stazione di polizia. All'inizio del mese scorso il procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri aveva dichiarato che le unità di polizia della buoncostume, note come Gasht-e Ershad ("pattuglia di guida")
erano state sospese. Ma gli attivisti erano rimasti scettici sulla reale abolizione o cancellazione della polizia morale, perché le sue parole sembravano essere più una risposta estemporanea a una domanda durante una conferenza piuttosto che un chiaro annuncio del Ministero degli Interni. Ed effettivamente sembra che la ripresa dei controlli in auto sia il preavviso per un'effettiva ripartenza dei controlli - con conseguenti misure di punizione - da parte di questi agenti anche a livello più generale.
Il video ricordo per Mehdi
"Baradaram", "fratello mio", con accanto una rosa appassita. Due parole in italiano, una sola in persiano, sono quelle scelte dal fratello del 33enne
Mehdi Zare Ashkzari, per ricordare con un video il giovane iraniano morto dopo venti giorni di coma a causa delle
torture subite nel carcere in cui era stato arrestato per aver preso parte alle manifestazioni. Nel montato si susseguono immagini che ritraggono Mehdi in momenti di vita quotidiana: occhiali da sole, felpa e cappellino in testa, la gioventù e la voglia di vivere negli occhi. In un breve passaggio che sembra provenire dai social si vede Ashkzari cantare in macchina, sorridente, insieme a un altro giovane, presumibilmente lo stesso fratello. Ci sono poi fotografie del ragazzo in sella ad un cavallo, al McDonald's e infine insieme ad una signora che probabilmente è sua madre. Quella mamma cui Mehdi era profondamente legato e che, appena saputo che si era ammalata, nel 2021, aveva raggiunto tornando in Iran da Bologna. Nel
capoluogo emiliano, che oggi lo piange, Mehdi aveva studiato Farmacia e lavorato in una pizzeria della zona universitaria. In sottofondo al filmato del fratello, una canzone persiana dalle note malinconiche.
Mehdi Zare Ashkzari, 33 anni, morto in Iran dopo venti giorni di coma a seguito di torture
Nuova condanna a morte
Intanto arriva
l'ennesima - condanna a morte. Questa volta riguarda un giovane di appena 18 anni, Mahdi MohammadIFard, arrestato a Nowshahr durante le proteste per la Mahsa Amini, che ha ricevuto per due volte la
sentenza capitale da un tribunale di Sari, nella regione di Mazandaran. L'accusa è la stessa di quella dei suoi predecessori: "
corruzione sulla terra" e "
moharebeh", guerra contro Dio, il reato per il quale vengono di solito condannati i manifestanti iraniani. Lo riferiscono fonti della dissidenza locale. Secondo i compagni in esilio, invece, il 2023 sarà
l'anno della "vittoria" dei manifestanti contro il regime. Gli oppositori iraniani che si trovano all'estero per sfuggire la repressione delle autorità invocano la caduta del regime di Teheran, indebolito dall'ondata di proteste in atto nel Paese dallo scorso settembre. "Organizzandoci, restando solidali, il 2023 sarà l'anno della vittoria per la nazione iraniana.
L'anno della libertà e della giustizia in Iran", affermano i ribelli, tra cui ci sono anche personalità di primo piano nei settori della cultura, dei diritti umani o del mondo sportivo. Pubblicato simultaneamente sui profili social di ognuno di essi, il messaggio punta a mostrare
l'unità della diaspora, divisa in diverse fazioni politiche dalla caduta dello Scià, nel 1979. Il testo è stato sottoscritto da attrici come Zar Amir Ebrahimi, il figlio dello Scià decaduto Reza Pahlavi, o il dissidente rifugiatosi negli Usa Masih Alinejad. Ma anche il
Premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi o l'ex calciatore Hamed Ali Karimi.
La grazia a 3mila detenuti e il giornalista in carcere
Keyvan Samimi è un giornalista e dissidente 73enne iraniano in carcere dal dicembre 2020
Mentre le proteste proseguono in tutte le principali città iraniana e la repressione si inasprisce, come dimostra la ripresa dei controlli in auto per le donne obbligate a indossare l'hijab, si apprende che il capo della magistratura iraniana, Gholam-Hossein Mohseni-Eje'i, ha approvato
la grazia a 3.000 detenuti e la
riduzione della pena a 16 persone condannate a morte, in occasione del terzo anniversario della
morte del generale Qassem Soleimani. Lo annuncia l'agenzia di stampa Irna, precisando che ne è stato reso noto in occasione di una commemorazione di Soleimani nella sua città natale, Kerman, nel sud-est del Paese. Mohseni-Eje'i ha precisato che il rilascio dei prigionieri avverrà nei prossimi giorni, in concomitanza con le cerimonie che si terranno in tutto lo Stato per il generale, ucciso in un attacco Usa in Iraq il 3 gennaio 2020.
Smentita invece dalla famiglia del detenuto la notizia della
scarcerazione del giornalista e dissidente politico iraniano Keyvan Samimi, 73 anni, in cella dal dicembre 2020. Domenica 1° gennaio lo aveva scritto il giornale riformatore, Shargh. Samimi è stato condannato a tre anni di prigione per "
complotto alla sicurezza nazionale". Secondo i familiari non è stato affatto liberato e si trova ancora dietro le sbarre nella prigione di Senman, a più di 200km da Teheran. Il reporter era stato autorizzato a tornare a casa nel febbraio 2022 a causa di problemi di salute, ma a maggio era stato nuovamente rinchiuso con l'accusa di attività illegali, per aver partecipato a una manifestazione dinanzi al Parlamento.