È toscano uno dei cantautori più originali della nuova generazione. Si chiama Lucio Corsi e per la prima volta partecipa al Festival di Sanremo. Il talentuoso storyteller e polistrumentista classe 1993, di Val di Campo di Vetulonia (Grosseto) sarà infatti in gara alla 75ª edizione del Festival della canzone italiana con il brano “Volevo essere un duro” con cui si appresta ad essere protagonista alla kermesse.
Lucio, è emozionato di esibirsi sul palco dell’Ariston? “Ho passato anni con la lotta interiore sul fare o meno un tentativo con Sanremo. È un dubbio di tanti. Perché al Festival ci sono stati tanti musicisti e artisti che amo e poi penso a Battiato, soprattutto a Conte, che non ci sono mai andati. Ma, molti che stimo l’hanno fatto, come Lucio Dalla, Ivan Graziani e altri, Vasco, Rino Gaetano. Perciò è stata una lotta decidermi. Quest'anno però c'erano un po' di coincidenze, come la serie di Verdone in cui partecipavo a un Sanremo immaginario. Insomma, tornava tutto troppo perfettamente per non provarci. Anche il fatto che avevo intorno tanti Carlo. Un Carlo da una parte (Verdone), un Carlo dall'altra (Conti). Poi c'era un disco in preparazione che deve uscire dopo Sanremo. Insomma, era il momento giusto per provarci, anche perché suono da quando ero ragazzino e andavo in giro con la chitarra in treno. E quindi eccomi al Festival”.
Niente più esitazioni quindi? “Ti insegna un sacco di cose suonare in strada, perché devi far fermare le persone e poi devi farle restare ad ascoltarti. Con quel percorso, con quelle basi, è più semplice non vacillare. Uno va a Sanremo e fa esperienza. In tanti considerano il Festival un frullatore, perciò è facile tagliarsi. Però se hai un fondo solido, se ti piace suonare e passare tempo sugli strumenti, ti crei da solo una sorta di paracadute. Poi quando sei su un palco è tutto più facile. Ho suonato per tanti anni chitarra e voce, poi di nuovo con la band. Non vedo l’ora di ricominciare”.
Sembra avere la testa già al dopo festival? “A marzo uscirà il disco, in aprile si parte in tournée. Il mio sogno è stare in tour tutta la vita, tipo Bob Dylan, passare tutti i giorni con gli strumenti sotto braccio, l'armonica in tasca, il pianoforte, e girare l'Italia con i ragazzi con cui condivido il palco, che sono miei amici dal liceo. Questo è fondamentale”.
Come è nata la canzone per il Festival? “Per Sanremo, secondo me, la canzone va scelta non scrivendola per Sanremo. Meglio sceglierla tra le canzoni che erano già in programma di uscire. La canzone che ho portato l'avevo scritta un anno e mezzo fa e sarebbe stata uno dei singoli del disco, perché quando scrivi una canzone per dargli una forma, per inserirla in un contenitore, si ribella. E quella forma non la prende”.
Di che parla il brano? “Mi dicono: ‘Non le spiegare le canzoni. Non le raccontare perché poi è inutile che le suoni’, però a me piace farlo. Ai concerti mi piace sempre raccontarle prima di suonarle. E perciò lo faccio”.
E quindi… “La canzone parla di quanto il mondo ci vorrebbe infallibili, con la solidità dei sassi e la perfezione dei fiori, senza dirci però che tutti i fiori sono appesi a un filo. Amesso che questa canzone abbia una bocca, (parla) del fatto che sia normale diventare altro rispetto a ciò che si sognava di essere”.
Ma, poi in realtà lei cosa sognava? “Siamo in equilibrio precario sulle cose, bisogna accettarlo e trovare il bello anche in quello. Sognavo di essere un paleontologo, da piccolo, poi un cercatore di insetti, cercavo le larve di cetonia sotto i tronchi marci in campagna, perché da quelle nascono i coleotteri. Poi sognavo di essere un disegnatore di auto, perché da piccolo disegnavo un sacco. Non a caso i miei mi consigliarono di iscrivermi al liceo artistico, ma io ho voluto andare allo scientifico perché pensavo si imparasse di più”.
Come si è trovato? “A scuola non ho imparato nulla dai professori, ma tutto dai miei compagni di classe. È questo l'insegnamento più bello che mi ha dato la scuola: ho imparato a trovare il modo di convivere con altre persone che non hanno le stesse passioni, che sono diversi da me. Poi sognavo di essere un cantante anche, tra le varie cose, dopo aver visto i Blues Brothers. Mio padre e mia madre mi fecero vedere quel film e un bambino non può che rimanere estasiato dalla quella visione, perché c'è tutta la musica più bella del mondo lì dentro. E poi la figura del musicista è mostrata come una sorta di supereroe, perché ai due protagonisti casca un palazzo addosso o gli sparano con il bazooka e loro si tolgono la polvere dalle giacche e vanno avanti nella loro giornata. Insomma da bambino pensai ‘se il musicista vive così io voglio essere come loro da grande’. Allora mi scrivevo Lucio Corsi sulle dita continuamente, come Elwood Blues. Me lo ripeto spesso quando le cose vacillano e mi dico ‘Però, dai, siamo in missione per conto di Dio, andiamo avanti’. Anche a Sanremo”.