La vittoria a X Factor 2022, poi a Musicultura poi il primo tour nei club delle principali città d’Italia dei Santi Francesi che sta registrando sold out ovunque (lunedì 30 gennaio il duo si esibirà sul palco del Viper Theatre di Firenze). Non fa eccezione il concerto odierno di chiusura, che vedrà il ventiquattrenne Alessandro De Santis alla voce, chitarra, ukulele e il venticinquenne Mario Francese, producer, tastiere, synthesizer e basso, presentare dal vivo l’ep In fieri pubblicato da Epic Records Italy/Sony Music Italy, altri loro brani e qualche cover. Per l’occasione il power duo diventa un trio grazie alla collaborazione live del batterista David Fasano. "In concerto facciamo molti brani nostri, nuovi e vecchi, ci siamo portati dietro qualche cover, delle parti strumentali – dice Alessandro De Santis -. A livello umano per noi i concerti sono un vero e proprio incontro con le persone che comprano il biglietto. Non essendo molto attivi sui social e molto aperti ai contatti dai social , usiamo i live come un salotto, una festa in cui vogliamo divertirci".
Come mai questa fuga dai social? "E’ un allontanamento che via via è aumentato nel tempo. Circa tre anni fa io mi sono tolto dai social, ho fatto un anno senza. L’idea è fuggire dal passare del tempo su una cosa che non è così reale: uso poco anche il telefono. Questo alla fine si va a trasporre anche nel nostro modo di comunicare: usiamo la nostra pagina social come una bacheca di notizie, di aggiornamenti su di noi". Un approccio diverso rispetto a tanti altri giovani? "In qualche modo sì. Andiamo controcorrente. In verità secondo me l’ubriacatura di social sta iniziando a scemare: ci sono tanti artisti che stanno usando i social in maniera estremamente limitata, altri ne abusano". A X Factor dicevano che fate hard pop? Vi sentite più hard pop o storyreller? "In questo periodo facciamo pop, ma cerchiamo di essere più pesanti a livello di produzione e di suoni. Come testi poi trattiamo argomenti che non sono così pop, ma in gran parte personali. Poi cresciamo in continuazione. Abbiamo deciso di chiamare In fieri il nostro ep perché siamo costantemente in divenire. Ci piace viaggiare, non rimanere fermi in un unico territorio. Anche in questo ep c’è il brano Medicine, decisamente pop elelettronico e Spaccio, fatto con i FASK, che invece è rock". Per sentirne di più dobbiamo aspettare l’album? "Appena finito il tour torneremo in studio, inizieremo a comporre nuove cose da proporre al nostro pubblico". A differenza di altri non ostentate pose glamour, siete due bravi ragazzi che amano la musica? "Bravi ragazzi sì, ma siamo difficili da inquadrare perché siamo lontani in primis dalle nostre vite, figurarsi dal mondo che ci circonda. A 11 anni ho capito che mi piaceva fare il musicista. Sono 12 anni che so cosa fare e, alla fine con il tempo perdi una serie di velleità che non servono a niente. Volevamo fare un mestiere e abbiamo lavorato insieme per arrivarci, per lo meno a vivere di musica. Adesso sta succedendo, bisogna continuare a lavorare per farlo ancora meglio. Quello che ci interessa è parlare, comunicare ed essere giudicati per quello che facciamo, non per quello che siamo. Cerchiamo di scindere queste due cose". I lavori di programmatore e a Decathlon non li fate più? "No, da quando X Factor ha acceso i riflettori su di noi. Oggi abbiamo la possibilità di radunare un pubblico abbastanza ampio. Il nostro intento è di impegnarci il più possibile ed essere sinceri con la gente".
Nei testi vi piace affrontare temi sociali? "I testi li scrivo io e il mio approccio è cambiato anche molto. In passato mi è capitato spesso di soffermarmi su temi sociali, oggi, come nel brano Signorino, cerco di portare questi temi nella mia esperienza personale, che è piccola. Negli ultimi tempi tendo a parlare di quello che succede dentro la mia testa, siamo focalizzate nell’usare la musica per scoprirci. In futuro, con la giusta esperienza, magari riuscirò a trovare la maniera giusta per reintrodurre questi temi". Che rapporto avete con l’inclusione? "Io sono del ’98 e credo non di rappresentare, ma di fare parte di una generazione che ha iniziato una rivoluzione a livello morale. Sono assolutamente fiero di far parte di questa generazione che sta cercando di cambiare le cose. Non ci lasciamo andare al perbenismo becero, ma ci sono tanti temi su cui impegnarsi per cercare di cambiare noi stessi e le persone che ci circondano. In questo caso il brano Spaccio nasce per un concerto in un concerto e parla di quello che capita a un ragazzino quando va a vedere per la prima volta la sua band, il suo artista preferito, percepisce quella potenza di suono e si emoziona. Medicine è una provocazione non del tutto chiara che stigmatizza che ognuno fa uso di qualcosa, può essere una medicina o un amore". Vi è mai capitato di essere bullizzati per quello che fate? "Non userei il termine bullizzati, ma in passato, venendo da piccole realtà della provincia di Ivrea, a volte i parenti ti guardano un po’ come se tu fossi un cretino. C’è sempre lo sfottò, il dire stai facendo musica, divertiti, provaci e poi un giorno ti sveglierai, metterai la faccia contro il muro e verrai da me a piangere. E’ un giudizio che ho percepito anche da persone molto vicine a me. Ed è assolutamente normale. Negli anni abbiamo imparato a farci i conti, a fregarcene e continuare a fare quello che credevamo giusto per noi. Per fortuna abbiamo tenuto stretti i nostri sogni e non ci siamo fatti buttare giù da persone che hanno paura a farli". Il vostro pubblico la pensa come voi? "E ci somiglia molto. E’ molto variegato, ci sono tutte le fasce di età. La più presente è quella che va dai 25 ai 40 anni".