Rifugiati, Cindy Ngamba vince per la comunità Lgbtq+: dalla boxe la prima medaglia

La 25enne del Camerun è fuggita dal suo Paese dove essere lesbica è un reato e ha trovato una nuova casa in Inghilterra. Ha sofferto di bulimia, depressione e per il bullismo e l’8 agosto alle Olimpiadi si giocherà la finale per l’oro nel pugilato, ma è già bronzo certo

5 agosto 2024
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Cindy Djankeu Ngamba (Photo by MOHD RASFAN / AFP)

È la prima atleta della storia ad aggiudicarsi una medaglia per la sua squadra. E sottolineiamo squadra, e non nazionale, perché nel Team dei Rifugiati di cui fa parte di nazionalità ce ne sono tante, unite sotto un’unica bandiera del Cio. Ma Cindy Djankeu Ngamba, pugile camerunense che ha vinto contro la francese Davina Michel nei quarti di finale della boxe categoria meno 75 kg, non si è semplicemente assicurata una medaglia di bronzo – e poi vedremo come andrà in finale – ma porterà con sé sul podio olimpico il movimento Lgbtq+ del suo Paese, essendo dichiaratamente lesbica

Un successo doppiamente importante, per un’atleta che ha riscritto ancora la storia della sua vita e della sua comunità, conquistando il primo metallo per quella speciale delegazione, presente ai Giochi da Rio 2016, che rappresenta oltre 100 milioni di persone nel mondo e vede nei suoi alfieri e alfiere ai Giochi non solo dei campioni ma anche degli esempi, dei modelli ispiratori di chi non si è mai arreso e grazie allo sport è riuscito a riscattarsi. Ngamba, che ha vinto ai punti per 5-0 e se la vedrà l’8 agosto in semifinale con la panamense Atheyna Bibeichi Bylon, ha lo status di rifugiata in Gran Bretagna, dove arrivò a 11 anni proprio a causa della repressione contro gli omosessuali nello Stato in cui è nata, il Camerun. 

Il Team Rifugiati a Parigi 2024 (Instagram)
Il Team Rifugiati a Parigi 2024 (Instagram)

Chi è Cindy Ngamba

Ha appena 25 anni, Cindy Ngamba, ma non basterebbe un’Olimpiade intera per raccontare le sue vicende, e lei il tempo lo vuole spendere sul ring, nel suo ambiente. Nata a Douala nel 1998, ha un fratello maggiore di nome Kenneth. A 9 anni mamma Gisette li porta in Francia, mentre l'ex marito è già riuscito a raggiungere l'Inghilterra. Due anni dopo la donna, rendendosi conto di non essere in grado di assicurare ai figli ancora piccoli la sussistenza e l’accesso a scuola, decide di spedirli dal padre, a Bolton. Comincia un nuovo periodo difficile per la piccola Cindy, che non ha documenti in regola in Inghilterra, le capita più volte di essere fermata. Una volta resta 48 ore in un centro per rifugiati a Londra da dove il padre, che ha già la nazionalità britannica, riesce a farla rilasciare ma – nonostante l'aiuto finanziario che le manda la moglie dalla Francia – non porta a termine le pratiche necessarie per regolarizzare lei e il fratello. Quella che Ngamba attraversa sembra una favola dell’orrore: non parla inglese e soffre il freddo, la pioggia, soffre di bulimia e depressione, in sovrappeso è spesso vittima di bullismo a scuola, per lunghi periodi si rifiuta anche solo di uscire da casa.

È in questo periodo adolescenziale che comincia a fare sport per perdere peso, incoraggiata dal fratello, che ogni mattina la costringeva a uscire per una corsetta e dopo qualche mese la convince a iscriversi in palestra. Gioca a calcio e diventa poi la prima ragazza a far parte della squadra di boxe locale. Anche in questo caso i primi tempi sono difficili, durissimi gli esercizi che le impone l’allenatore per farla dimagrire, e solo dopo due anni Cindy può incrociare i guantoni sul ring. Raggiunta la maggiore età, fa coming out come lesbica, consapevole che così facendo non potrà più rientrare nella nazione di origine, dove il suo orientamento sessuale è considerato un reato. A 19 anni, vince il suo primo incontro, nel 2019 diventa campionessa britannica. Vorrebbe rappresentare l'Inghilterra nelle grandi competizioni internazionali ma non può perché priva di quella nazionalità. Nel 2020 ottiene finalmente lo status di rifugiata e si iscrive all'università di Bolton, dove studia criminologia e ambisce a diventare detective.

La prima medaglia per il team Rifugiati

A Parigi 2024, 29 atleti – sui 36 totali convocati – del Team Rifugiati hanno sfilato a sulla Senna, tutti vestiti di bianco, orgogliosi e orgogliose di far parte di un sogno chiamato Olimpiadi. Un Team che è il simbolo della speranza, un’ispirazione per aiutare concretamente chi, per motivi gravi, è stato costretto ad abbandonare il proprio Paese. Cindy Ngamba e il mezzofondista dell’atletica leggera Dominic Lobalu, del Sud Sudan naturalizzato svizzero, erano i favoriti del gruppo per strappare la sospirata prima medaglia, alla terza Olimpiade del Team che esordì in Brasile otto anni fa. La giovane ma fortissima boxeur c’è riuscita, sarà sicuramente bronzo – nel pugilato olimpico non c’è la finalina per il 3° e 4° posto, arrivare in semifinale significa arrivare a podio – ma spera in qualcosa di più. E c'è da giurare che non è tipo da accontentarsi.

Il dramma dei rifugiati Lgbt+ nel mondo

“La medaglia dell’atleta lesbica rifugiata Cindy Ngambda nella boxe, prima per un'atleta del team rifugiati, ci ricorda il dramma dei rifugiati Lgbt+ nel mondo, visto che oltre 60 Paesi criminalizzano ancora l'omosessualità, di cui 7 con la morte, e alcuni perseguono il semplice appartenere a una associazione, come la Russia e l'Uganda”, ha dichiarato Rosario Coco, Presidente Gaynet. “Ngamba ha rischiato di essere deportata nel suo Paese, il Camerun, a causa delle politiche restrittive del Regno Unito negli ultimi anni, dove sarebbe stata torturata e imprigionata – aggiunge –. La Lega del ministro Salvini, così impegnato a occuparsi di atlete nella boxe come Khelif, colga l'occasione per ritirare ufficialmente la proposta ignobile del suo partito contro i migranti Lgbt+ che prevede l'esclusione di orientamento sessuale e identità di genere dalle ragioni che escludono il rimpatrio veloce”.