L’Arabia Saudita è stata scelta dagli Stati membri dell’Onu per presidiare la Commissione delle Nazioni Unite sullo stato delle donne. Una notizia che in pochissimo tempo ha generato, e non è difficile comprendere il perché, una vera e propria bufera. A essere eletto presidente è stato l’ambasciatore saudita Abdulaziz Al-wasil.
All’Arabia Saudita la presidenza della Commissione sulle donne
In realtà non c’erano candidati rivali, ma nessuno ha obiettato al momento della proposta. Quando il presidente uscente – l’inviato filippino all’Onu, Antonio Manuel Lagdameo – ha chiesto ai 45 deputati se avessero obiezioni, nell’aula è calato il silenzio. Le Filippine sarebbero dovute rimanere in carica due anni, ma altri membri del gruppo asiatico hanno fatto pressioni affinché il mandato terminasse e venisse trasferita la carica a un altro Paese dopo un anno. Il grande favorito per il subentro era il Bangladesh, ma poi l’Arabia Saudita ha fatto pressioni per ottenere la presidenza, con l’obiettivo di ‘ripulire’ l’immagine del Paese.
La protesta di Amnesty International
I gruppi per i diritti umani hanno sottolineato subito il paradosso per cui alla guida della Commissione ci sia un Paese dove il divario tra i diritti degli uomini e quelli delle donne è abissale. “La Commissione – scrive Amnesty International – ha il compito di promuovere i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. La nomina dell’Arabia Saudita, dove le violazioni dei diritti delle donne sono clamorose, va completamente contro le aspirazioni della Commissione. Far parte degli organismi delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani, ancora di più dirigerli, dovrebbe rendere gli Stati membri doppiamente responsabili del loro rispetto a livello nazionale e globale”.
Amnesty ha poi fatto riferimento alla legge sullo stato della persona approvata nel 2022 e indicata dalle autorità saudite come un passo verso il progresso e l’uguaglianza. Per l’organizzazione internazionale "rafforza la discriminazione di genere in ogni aspetto della vita familiare: dal matrimonio al divorzio, dalla custodia dei figli all’eredità. Inoltre, non protegge le donne dalla violenza di genere”.
La bozza di codice penale prospetta un futuro catastrofico per le donne saudite: garantisce l’impunità agli autori dei “crimini d’onore”, non punisce lo stupro coniugale e criminalizza le relazioni sessuali consensuali tra persone adulte dello stesso sesso e quelle extramatrimoniali.
“Le donne saudite – continua Amnesty – che difendono i diritti umani subiscono condanne al carcere, divieti di viaggio e ulteriori limitazioni al loro diritto alla libertà d’espressione. Negli ultimi anni sono state inflitte condanne pesantissime a donne che avevano pubblicato contenuti in favore dei diritti delle donne”.
Le storie di Salma al-Shehab e di Manahel al-Otaibi
Un caso sconvolgente riguarda Salma al-Shehab, una dottoranda e madre di due figli, che sta attualmente scontando 27 anni in carcere per aver difeso i diritti delle donne su X. Manahel al-Otaibi, istruttrice di fitness, blogger e difensora dei diritti umani, vittima di sparizione forzata dal novembre 2023, attende invece il processo davanti al Tribunale penale speciale, ossia il tribunale antiterrorismo dell’Arabia Saudita, per aver pubblicato foto di sé senza l’abaya (un abito tradizionale femminile) e contenuti critici nei confronti del repressivo sistema del tutore maschile.
La scelta di nominare proprio l’Arabia Saudita a capo della Commissione sullo stato delle donne lascia indubbiamente perplessi. Perché parliamo di un Paese dove i diritti delle donne sono praticamente inesistenti. Parliamo di un Paese dove le donne che decidono di manifestare apertamente il loro dissenso vengono fatte sparire o rinchiuse in carcere. Dove ogni giorno sono vittime di violenza di genere, senza la speranza di alcuna protezione. Questa decisione non è altro che uno schiaffo verso i diritti delle donne non sono saudite, ma di tutto il mondo. E andava assolutamente evitato.