Si riaccende, ancora una volta, il dibattito sulla triptorelina, un farmaco in grado di inibire lo sviluppo di alcuni tratti che, solitamente, si manifestano in età puberale. Troppo complessa la tematica, numerosi i risvolti dal punto di vista etico, normativo, sanitario e giuridico che, nei mesi scorsi, hanno portato il Governo a chiedere un parere al Comitato nazionale di bioetica, il cui comunicato è stato pubblicato solo poche ore fa.
L’incertezza dei dati
Il parere degli esperti e delle esperte, non vincolante, ha decretato ancora una volta quanto i dati da prendere in considerazione per formulare un parere più netto siano scarsi e di fattura non eccelsa, sottolineando come una tematica così difficile debba essere supportata da indagini e ricerche ben più approfondite.
Con 29 voti favorevoli, 2 astenuti e 1 contrario, i membri hanno così pubblicato il resoconto secondo il quale, dopo numerose audizioni con esperti e la consultazione della letteratura scientifica più aggiornata, viene sottolineata l’assoluta mancanza di dati sulla base dei quali esprimere pareri più netti, i quali dovrebbero – in particolar modo – mirare a comprendere l’aspetto psicologico legato all’assunzione del medicinale in giovane età.
Come è possibile leggere all’interno del documento, infatti, nel corso delle eventuali fasi di sperimentazione future: “Il CNB raccomanda inoltre che la prescrizione del bloccante della pubertà, a prescindere dalla strategia sperimentale scelta o dalla natura dello studio, avvenga secondo criteri di prudenza, assicurando che i pazienti siano sempre valutati e seguiti da una équipe multidisciplinare, e che ricevano un idoneo intervento psicologico, psicoterapeutico ed eventualmente psichiatrico, indispensabile prima della decisione di prescrivere il farmaco, al fine di valutarne l’opportunità”.
Il parere negativo dei 15 membri
Un invito alla prudenza, dunque, anche nelle delicate fasi di ricerca tanto auspicate, che è stato ulteriormente rilanciato da 15 dei membri del comitato i quali, in calce al documento, hanno deciso di sottolineare il loro parere negativo relativo all’utilizzo dei medicinali su minori anche in assenza di controindicazioni mediche: “Riteniamo che la decisione di iniziare precocemente una transizione di genere rischi di predisporre un minore a persistere nel processo di transizione. Pensiamo anche che un minore, specie se in uno stato di sofferenza e con comorbilità importanti come quelle spesso associate alla disforia di genere, ben difficilmente possa avere una piena consapevolezza delle conseguenze che una transizione di genere comporta per la sua vita futura: molti dei cambiamenti fisici previsti e intrapresi sono irreversibili, e la compromissione della fertilità risulta spesso inevitabile. Di conseguenza, in queste condizioni, il consenso informato rischia di ridursi a un atto meramente formale, il che rende eticamente non accettabile consentire di intraprendere transizioni di genere a minori”.
Pro Vita: “Fermare immediatamente il Far West delle transizioni”
Non si è fatto attendere il commento di Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia, la onlus a trazione cattolica finita, poco tempo fa, al centro degli scandali per presunte affiliazioni ad esponenti di Forza Nuova: “Occorre eliminare dal sistema sanitario nazionale il virus dell’ideologia Gender”.