I benefici dei farmaci che bloccano la pubertà per i bambini e ragazzi transgender sono finiti nuovamente al centro del dibattito dopo che la scienziata Johanna Olson-Kennedy, direttrice del Centro per la salute e lo sviluppo dei ragazzi transgender al Children's Hospital di Los Angeles, è stata citata dal New York Times dopo che lei stessa ha dichiarato di aver ritardato la pubblicazione di alcuni dei suoi risultati per timore che venissero “strumentalizzati” in un clima politico acceso. Anche perché si tratta di uno dei più ampi programmi di questo tipo negli Stati Uniti.
Alcuni sostenitori delle cure di genere per i giovani affermano che il report descrive in modo errato la normale cautela dei ricercatori nel presentare e interpretare attentamente i dati scientifici. “È un gran parlare di niente e in questo modo viene reso il tutto sensazionalistico”, ha detto il dottor Alex Keuroghlian, direttore della Divisione di Educazione e Formazione del Fenway Institute, un gruppo che si occupa dei bisogni sanitari delle minoranze sessuali e di genere e di coloro che vivono con HIV.
Lo studio del Children's Hospital di Los Angeles
Olson-Kennedy ha detto che nello studio, che ha contribuito a condurre, i bloccanti della pubertà non sembravano apportare miglioramenti per la salute mentale di 95 bambini di età compresa tra gli 8 e i 16 anni. Il progetto di ricerca, che ha ricevuto quasi 10 milioni di dollari di finanziamenti federali, è stato condotto per due anni, dal 2015 al 2017. L’obiettivo era quello di replicare uno studio olandese del 2006 che aveva di fatto aperto le porte all’uso dei bloccanti della pubertà in tutto il mondo dimostrando gli effetti benefici di questi trattamenti sulla salute mentali dei ragazzi a cui venivano somministrati.
I 95 giovani sono stati seguiti per due anni al fine di capire il loro stato di salute mentale e fisica durante il trattamento farmacologico per ritardare la crescita dei peli sul corpo, l’arrivo delle mestruazioni e il cambiamento della voce. “Sono in ottima forma quando arrivano e lo sono anche dopo due anni”, ha dichiarato la dottoressa al Times, sottolineando come la scelta di non pubblicare i dati della ricerca fosse dovuta al fatto che i contrari all’uso dei bloccanti avrebbero potuto utilizzare i risultati come arma per farli bandire. Bando che è arrivato, ad esempio, nel Regno Unito lo scorso marzo quando il governo inglese ha vietato l’uso dei farmaci bloccanti perché “non c’è garanzia sulla loro sicurezza”.
La questione triptorelina
Tra i farmaci maggiormente utilizzati nella gestione della disforia di genere c’è la triptorelina: lo scopo è quello di inibire manifestazioni fisiche proprie del sesso biologico di appartenenza, permettendo di ‘mettere in pausa’ alcuni aspetti della crescita puberale. Nel nostro Paese ha fatto molto discutere il caso dell’ospedale Careggi di Firenze dopo l’ispezione avviata a inizio anno a seguito di un’interrogazione parlamentare del capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, secondo cui nell’ospedale fiorentino la triptorelina sarebbe stata somministrata senza rispettare le procedure individuate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Sulla base delle criticità rilevate il ministero della Salute ha indicato alla Regione Toscana 11 azioni di miglioramento da attuare entro 30 giorni, a partire dalla previsione dell’obbligo di visita del neuropsichiatra infantile per tutti i pazienti.
Il caso americano
Tornando al caso americano, sul punto è intervenuta anche la dottoressa Amy Tishelman, psicologa e professoressa associata di ricerca al Boston College, che dichiarato di comprendere coloro che invitano a essere cauti, ma che dall’altra parte è fondamentale pubblicare i dati sebbene possano spaventare. “Ritengo indispensabile che la ricerca, soprattutto quella finanziata con i soldi dei contribuenti, venga pubblicata per l'integrità della scienza. Dobbiamo essere sinceri sui nostri risultati£, ha dichiarato Tishelman, che ha contribuito alla stesura della sovvenzione iniziale per il progetto intitolato ‘L'impatto del trattamento medico precoce sui giovani transgender’.
Tishelman ha ribadito che l'idea che i partecipanti allo studio non abbiano visto un cambiamento nel loro funzionamento mentale non significa necessariamente che la terapia non abbia avuto effetto. "I bloccanti della pubertà – le sue parole – potrebbero aver impedito un peggioramento a livello di salute mentale”. Numerosi studi, inoltre, hanno documentato alti tassi di suicidio e pensieri suicidi nei bambini e negli adolescenti transgender, in quanto i cambiamenti fisici della pubertà possono aumentare notevolmente l'angoscia di sentirsi intrappolati nel corpo sbagliato. Motivo per cui i medici per anni hanno prescritto farmaci che bloccano la pubertà ad alcuni bambini transgender che, dopo una valutazione a livello psicologico, sono risultati bisognosi di questi farmaci.