
Nel 2023 in Italia sono stati registrati 964 casi di revenge porn (Illustrazione di Arnaldo Liguori)
Un foglio A4, in bianco e nero, con la scritta - tutta in maiuscolo - “Vaffan***o Elisa, ora tutti vedranno i tuoi video” e un Qr code. La tentazione di scannerizzare il codice può essere tanta. Ma se lo si fa, non succede proprio quello che ci si aspetta: si apre infatti una clip che sembra iniziare come un video sessualmente esplicito, ma quello che segue è un importante messaggio di sensibilizzazione. “Volevi vederla nuda senza il suo consenso? Guarda che condividere materiali pornografici senza il permesso dell’altro è un reato. E chi guarda non è uno spettatore innocente. Se guardi, sei complice”, dice un giovane guardando dritto in camera - e in faccia a chi quel video lo ha aperto.
La campagna, dal titolo “Sei complice” è stata ideata da alcune studentesse e studenti dello Ied di Roma, che hanno messo in piedi una vera e propria campagna di guerrilla marketing contro il revenge porn, diffusa in tutta la capitale. L’obiettivo è quello di “interrompere l’indifferenza, generare disagio e trasformare la curiosità in consapevolezza”.

“L’idea è nata da una nostra collega che ha subito revenge porn”, ha spiegato all’Agenzia Dire Clara Vella, referente della campagna. A partire da questa esperienza, durante un corso universitario che chiedeva di creare una campagna di comunicazione il cui tema era libero, il gruppo ha deciso di “prendere posizione su questo tema e farlo in modo provocatorio per colpire chi guarda e fruisce di questi contenuti”, spiega Vella. “Di solito si parla sempre alle vittime, viene chiesto loro di essere forti e di denunciare, ma non si punta il dito contro chi guarda e fruisce di questi contenuti”, conclude la studentessa.
Cos’è il revenge porn
Quando si parla di revenge porn, ci si riferisce alla diffusione, senza consenso di immagini (foto o video) sessualmente esplicite, prodotte per rimanere private. Si tratta di un fenomeno spesso motivato dalla vendetta, ad esempio contro ex partner, ma che può essere messo in atto anche per ricattare, denigrare o molestare la persona ritratta. Insomma, un esercizio di potere sulla vita privata di un’altra persona che viene considerato un abuso sessuale e che può avere gravi conseguenze psicologiche, sociale e materiali per le vittime.
In Italia, il reato di reveng porn è stato introdotto come reato nel codice penale nel 2019, anche a seguito del clamore mediatico seguito alla morte di Tiziana Cantone e alla campagna #intimitàviolata. La legge prevede oggi per i colpevoli una pena da uno a sei anni e una multa da 5mila a 15mila euro. Sono previste delle aggravanti se i fatti sono commessi dal coniuge (anche separato o divorziato) o da una persona che è o è stata legata affettivamente alla vittima, se la vittima è in una condizione di inferiorità fisica, psichica o in stato di gravidanza e se la diffusione avviene attraverso strumenti informatici o telematici.
Il ruolo dei social network
Quest’ultima aggravante fa riferimeno alla capacità di social network e piattaforme digitali di amplificare la diffusione di questo tipo di contenuti e di proteggere l’identità dei diffusori. “I luoghi virtuali forniscono senz’altro uno spazio alla violenza per diffondersi, amplificarsi e, sotto un certo punto di vista, diventare più visibile”, ha spiegato a Fanpage Silvia Semenzin, ricercatrice e attivista, promotirice della campagna #intimitàviolata. Secondo Semenzin, la struttura delle piattaforme digitali riflettono la cultura e la società in cui sono immerse e per questo non sono neutrali, ma riflettono i valori dominanti, rinforzando anche stereotipi e discriminazioni. Ed è così che queste piattaforme diventano spazi sicuri per la diffusione di contenuti come il reveng porn, agendo sia come vettore primario di propagazione sia come amplificatore del danno per le vittime.
In particolare, social network come Telegram, che permettono di proteggere la propria identità e le proprie comunicazioni meglio di altre piattaforme, rappresentano l’epicentro dello scambio illecito. “Per gli utenti (di Telegram) è più difficile essere rintracciati (anche se non impossibile) grazie all’uso di crittografia end-to-end e il fatto che la piattaforma non richieda dati personali oltre al numero di telefono per iscriversi. Per queste ragioni Telegram è diventata una piattaforma preferenziale per lo scambio di materiale illecito”, spiega Semenzin.
Tuttavia, la violenza di genere non nasce con Telegram o con i social: “Parte tutto dalla socializzazione, dalla cultura. Se capiamo questo, allora capiamo anche che il problema non è soltanto Telegram o il tipo di funzioni che offre: il problema è soprattutto l’uso che se ne fa, che è causato da problemi profondamente radicati nella società”, conclude la ricercatrice. Insomma, sebbene si parli spesso di revenge porn come un prodotto della tecnologia digitale, in realtà si tratta di un fenomeno sociale e culturale di cui la tecnologia diventa sicuramente strumento, ma non causa.
La diffusione del revenge porn in Italia
Secondo gli ultimi dati disponibili riguardanti le denunce per revenge porn, raccolti da Eurispes, nel 2023 in Italia sono stati registrati 964 casi, con un aumento dell’1% rispetto al 2022. Da quando è entrata in vigore la legge Codice Rosso, nel 2019, sono stati registrati 4821 casi, con il 69% di vittime donne.
Un'indagine di The Fool, risalente al 2020, ha stimato invece che sono stati vittima di revenge porn (a prescindere dal fatto che abbiano a meno denunciato) circa 2 milioni di italiani. E addirittura ad 1 italiano su 4 è capitato di vedere immagini o video intimi di qualcun altro. Sempre secondo lo stesso report, il 5% del campione ha condiviso materiale sessualmente esplicito riguardante altre persone e l’84% di loro lo rifarebbe.
Essere complici
È proprio da questo dato allarmante riguardante la fruizione e ricondivisione di immagini di revenge porn che si muove la campagna ‘Sei complice’: la coscienza collettiva riguardante questo fenomeno sociale è necessaria per fermarlo e la consapevolezza che partecipare – anche passivamente – alla visualizzazione di questi contenuti significa far parte del problema.