È la Young sicura della porta accanto, mamma Sciura che fa shopping, la babysitter Kate, Cecilia l’aspirante attrice: Carolina de’ Castiglioni è tutte loro, almeno sulla sua pagina Instagram @carothesituation e tante altre. Nella realtà è una 27enne, cresciuta nella centralissima via Torino a Milano che da essere una bimba timida e introversa a 19 anni si è trasferita nella Grande Mela per studiare alla NYU University, laureandosi in recitazione e in filosofia, e oggi è un’attrice che “cerca di sfruttare i social per quello che vuole fare”.
Ad esempio attraverso cortometraggi ironici e taglienti, che puntano sul rovesciamento dei ruoli per mostrare quanto siano radicati nella nostra società certi atteggiamenti, pregiudizi, modi di dire o di fare che creano disuguaglianze o le allargano. “Matriarchy”, “Rispettabili Cittadine”, “Ridiamoci su”: video in cui affrontano temi come la violenza di genere e il femminicidio, i disturbi del comportamento alimentare e la discriminazione sul lavoro, che hanno milioni di visualizzazioni sui social e sono stati presentati in numerosi contesti prestigiosi.
Carolina de’ Castiglioni discuterà l'importanza della rappresentazione a Firenze, in occasione del terzo Festival di Oxfam Italia, il 26 ottobre, nel panel sulla giustizia di genere ed economica alla Libreria Giunti Odeon, tra le 15 e le 16:30. Con lei anche la sociolinguista Vera Gheno, l’economista di genere Marcella Corsi e Maria Nella Lippi, responsabile Programma Giustizia di genere di Oxfam Italia.
Come affronta nel suo lavoro di attrice gli stereotipi di genere?
“Nel mio settore, dal punto di vista lavorativo e per la mia esperienza, non ho riscontrato così tanti pregiudizi sull’essere in grado, per una donna, di recitare oppure no. Quello che ho riscontrato sicuramente è che c’è una carenza di narrazione che possa essere a 360 gradi sui personaggi al femminile, ed è il motivo per cui a una certa mi sono messa a scrivere io determinati caratteri. Il motivo per cui sono diventata sceneggiatrice è che mi piaceva raccontare delle storie che quando andavo a fare provini non vedevo perché i ruoli erano abbastanza bidimensionali e sempre molto simili, sempre molto superficiali. La ragazza della porta accanto, l’interesse del protagonista o la stronza che ruba il fidanzato, mentre i personaggi maschili erano più complessi, sfaccettati. Io l’ho riscontrato (lo stereotipo) più che su di me come attrice sui personaggi che andavo a interpretare. E il modo in cui cerco di sfatare questo mito è quello di creare io dei personaggi che non rispecchino la visione piatta del femminile (anche perché molti sono scritti da uomini). C’è bisogno di una donna che li scriva o di un gruppo più variegato, la diversità è sempre migliore da questo punto di vista”.
Quale il pregiudizio più grande che invece si trova a subire?
“È il motivo per cui non vengo presa sul serio: l’età. Questa cosa mi ha molto colpita perché io sono stata via parecchi anni, 8 anni negli Stati Uniti, ho studiato recitazione a NYU dopodiché ho lavorato e lì ogni volta che mi mettevo in testa di fare uno spettacolo teatrale o cercavo fondi per realizzare un cortometraggio venivo trattata come un’artista che cerca fondi per creare quello che vuole. Qua in Italia è sempre stato più ‘la ragazzina vuole fare l’esperimento’. No, non esattamente!”.
Sui social ha trovato una sua dimensione: i suoi corti hanno migliaia di visualizzazioni e danno una visione ironica, di rovesciamento sarcastico, di quello che è la società attuale.
“Si l’intenzione è quella. Mi sono messa a fare cortometraggi come quelli perché mi sono resa conto che quando parlavo di temi più complessi come la violenza di genere tra i miei amici o nella mia famiglia si veniva a creare una specie distanza, della serie ‘non ho voglia di sbattermi ad affrontare questa cosa’. Quindi mi sono chiesta: qual è un altro modo per poter parlare di questi argomenti senza dover annoiare tutti quanti o litigare? Il sarcasmo secondo me è un ottimo strumento”.
È un modo per avvicinare le generazioni più giovani a certi temi?
“Questo non lo so in realtà. Quest’anno sono andata a fare un incontro nel mio vecchio liceo e non li ho visti lontani. Vedo molto più lontane le persone della mia generazione e di quella più grande ancora, ho molta più fiducia nei più giovani sinceramente. E tra l’altro penso che la generazione ancora più piccola sia su TikTok più che su Instagram (dove De Castiglioni posta i suoi video, ndr) e io raggiungo più una fascia di persone che va dai vent’anni ai 65 circa”.
I temi che affronta nei lavori, la violenza di genere per esempio, o i disturbi del comportamento alimentare, li sceglie per questioni personali? Derivano in qualche modo da esperienze vissute?
“Questa domanda mi fa sempre arrabbiare perché non deve essere per forza personale, qualsiasi tema, perché mi interessi. Il fatto che una cosa ti colpisca solo quando qualcosa di brutto succede è un po’ brutto; dovremmo tutti fare la nostra parte per migliorare la situazione. Io non sono mai stata diagnosticata di disturbi del comportamento alimentare ma mi sono resa conto che usavo le parole sbagliate e quindi io potevo ferire o arrecare danno alle persone. Quindi per imparare mi sono messa a fare una cosa che innanzitutto ha insegnato a me e poi spero anche aiutare gli altri. Se partissimo più da questo presupposto piuttosto che ‘ah questa cosa mi tocca allora ne parlo, se non mi tocca chi se ne frega’, forse staremmo tutti meglio”.
Ha parlato di linguaggio e rispetto: quanto conta nel suo lavoro, sia di attrice sia sui social?
“È fondamentale e l’ho imparato anche grazie alla laurea in filosofia. Questa cosa mi ha aiutato tanto a capire l’importanza il potere che hanno le parole, che possono curare ma possono anche fare molto molto male. Nella mia vita cerco di essere sempre attenta, non sempre ci riesco perché non sono perfetta, ma quando si tratta di lavorare, di scrivere una storia o raccontare quella di qualcun altro bisogna pesare bene le parole. Ci metto tanto tempo a volte a raccontare, a parlare di situazioni complicate. Ho lavorato con le rifugiate ucraine in Italia, abbiamo fatto un cortometraggio insieme e anche lì trovare le parole giuste per raccontare quello che stavano vivendo ha richiesto molto tempo e tanta pazienza.
Per me è un esercizio costante perché la pazienza io non ce l’ho ma è un fattore comune in questo momento storico, non tanto generazionale. Dovremmo prenderci del tempo prima di parlare e anche di prendere decisioni”.
Possiamo dire che fa un’opera di sensibilizzazione via Instagram
“Diciamo che cerco di attrarre più persone possibile verso determinate tematiche e problemi, anche attraverso personaggi simpatici, in una maniera che possa essere interessante e avvincente. Lì sicuramente scelgo parole che mi possano aiutare nell’obiettivo. Ma questa è una cosa su cui faccio attenzione anche nella mia vita normale, sennò una predica bene e razzola male”.
C’è un personaggio tra quelli che ha creato per i social che le piace di più interpretare, o la diverte particolarmente?
“Sicuramente il personaggio della babysitter americana Kate. Mi fa molta tenerezza, empatizzo molto, perché anche io ho lavorato come au pair e come babysitter per anni, sporadicamente. Alcune famiglie le ho conosciute così e anche io avevo un po’ questo lato naïf, un po’ buono… Poi sono diventata più stronza – ride –. Ma avevo anche io il lato credulone, ma poi il ‘subire’ la maleducazione della gente e alcune situazioni ti fanno svegliare. Quello secondo me, se reagisci in una maniera positiva, ti da carattere. Spero insomma che questa povera Kate trovi pure lei questo carattere…”.
Le diverte cambiare volto ogni volta tra queste personalità, dalla Sciura alla stessa Kate?
“E la zia, la maestra di tennis, Amanda… si mi piace davvero sperimentare. Adesso ho provato un nuovo format, Telefollia, un tg che dà notizie false e vere, le mischia. Mi piace cambiare ma poi la vedo anche come un’esigenza perché i social sono utili, sono uno strumento meraviglioso, ma hanno il grande rischio di renderti molto etichettatile. Siccome la mia aspirazione nella vita è lavorare come attrice e l’attrice non fa un solo ruolo, non voglio neanche rischiare di essere conosciuta solamente per la Sciura, anche perché poi non più interessante dopo un po’”.
È quello che diceva all’inizio: dare più sfaccettature, anche se stereotipate, all’essere donna che non è unico…
“È proprio quello. Perché nel comico è molto facile stereotipare. Non penso di farlo per il semplice fatto che ‘curo’ questi personaggi, che sono esagerazioni, iperboli di persone che uno può incontrare davvero per Milano. Le peculiarità come la zia sicura che ha 27mila anelli, 750 collane, è spirituale e fuori dai ranghi, certo è un’esagerazione rispetto ad alcune signore radical chic che si possono trovare a Milano, ma è unica anche lei e ha la sua personalità. Non mi piacerebbe fare una versione piatta di questi personaggi, sembra folle ma serve rispetto anche verso di loro. Non giudico i miei personaggi, magari mi stanno anche antipatici ma bisogna sempre trovare un appiglio perché l’obiettivo è dare varietà. Io morirei - nel senso buono del termine - per interpretare una serial killer, sarebbe un sogno. Non lo sono nella realtà, non aspiro a diventarlo, chiariamo. Ma entrare nella mentalità di una persona e capire cosa lo o la spinge a fare determinate scelte sì. La sicura è più vicina al mio mondo ma comun1ue lontana da me o da come mi sento”.
Un carattere che le è piaciuto interpretare e uno che le piacerebbe, invece, nel suo lavoro di attrice?
“Da interpretare una serial killer, una tossicodipendente, personaggi che sono molto tormentati e che richiamano parti dell’essere che sento molto distanti. Interpretati tanti: ho fatto Nina nel ‘Gabbiano’ di Čechov, banale come risposta ma un bellissimo ruolo; ho scritto uno spettacolo a New York che univa la mitologia greca al sogno americano e all’impotenza di scegliere il proprio destino, ed è stato un ruolo che mi è piaciuto molto per ovvi motivi (era la prima cosa che scrivevo io, il primo spettacolo) ed è cambiato con me ad ogni riproposizione. Ma in realtà tutti mi piacciono, perché c’è sempre qualcosa che mi lega a loro. Ho anche interpretato una prostituta del 1400 che finiva in una comunità shaker. Anche quel ruolo là, molto distante da me, mi ha ha lasciato tanto. Tutti ti danno qualcosa, come le persone, ognuna lascia il suo stampo dentro di te”.
‘Pendolare’ tra Stati Uniti e Italia: ora è più newyorkese o milanese?
“In realtà di luogo più milanese. Poi tra poco tornerò negli Usa per un mese, a gennaio. Di cuore sempre newyorkese. A vuole soffro un po’ ma l’importante per me è lavorare e qua lavoro tanto, quindi sono felice così”.
Il prossimo lavoro?
“Sto scrivendo uno spettacolo che non ha anche fare con le Sciure. Vedremo come verrà recepito. È molto difficile, perché è un tema che secondo me non si tratta molto spesso, cioè la perdita dell’amicizia. Voglio ovviamente renderlo comico, perché se si va a scavare nei meandri di cosa significhi perdere un amico per me è molto peggio di qualsiasi altro lutto, perché è una persona vivente che non fa più parte volontariamente della tua vita, quindi bisogna renderlo comico. La parte difficile è quella”.