Craig Thompson, il bambino che lavorava nei campi di ginseng sognando a fumetti

Tra le firme più apprezzate a livello mondiale grazie a ‘Blankets’ e ‘Habibi’, l’autore torna con un nuovo libro – ‘Ginseng Roots’ (Rizzoli Lizard) – a scavare nelle radici di una storia personale ma tutta americana

di MARIANNA GRAZI
2 novembre 2024
Craig Thompson

Craig Thompson

Scavare nelle radici per trovare la parte più autentica di sé, dolorosa ma piena di ideali, un bambino che sognava di poter scrivere e disegnare le strisce di fumetti che tanto lo appassionavano da piccolo, lette nei giornali comprati coi pochi spiccioli della paghetta guadagnata con enorme fatica. Pensate di lavorare a 10 anni e per tutta l’adolescenza, nei campi di ginseng. Non in Cina, ma nel Wisonsin.

Craig Thompson, uno dei più autorevoli fumettisti mondiali, autore di capolavori del graphic novel come ’Blankets’ (2003) e ’Habibi’ (2011), torna a Lucca Comics e torna, anche materialmente anche alle sue origini, scavando nelle sue radici con ‘Ginseng Roots’ (Rizzoli Lizard, 2024). Ad attenderlo un bagno di folla entusiasta. “È faticoso – dice con un sorriso –. Il giorno peggiore è stato il secondo perché la domenica (3 novembre, ndr) mi sembrava così lontana..”.  

È mai stato in questa città al di là dell’evento? E in generale ha visitato l’Italia? "No, sono stato solo nei dintorni per alloggiare e ho visitato Firenze ma sempre per lavoro, insieme ai miei editori, purtroppo non ho mai tempo per visitare molto le città dove vado per presentare i miei libri”.  

‘Ginseng Roots’ è un ritorno alle origini, tra memoir e graphic journalism. Ci dice, senza spoiler, qualcosa in più su questo nuova opera? “Il protagonista è Craig e ha 10 anni all’inizio del racconto. Che ovviamente è autobiografico, come si intuisce, ma mescolato con un report di stampo giornalistico di quella che è l’economia che ruota intorno alla produzione di ginseng in America. La cui radice mi ha sempre affascinato, perché fino a 20 anni ho lavorato per 40 ore a settimana nei campi del mio paesino del Wisconsin, 1200 abitanti e principale produttore mondiale di questo ingrediente. Un prodotto che è stato appunto alla base degli scambi tra Cina e Stati Uniti e che lo spunto per farmi tornare davvero alle mie radici e per uscire da quel destino segnato”.

Una tavola di "Ginseng Roots" (Rizzoli Lizard)
Una tavola di "Ginseng Roots" (Rizzoli Lizard)

Ha sempre voluto di fare il fumettista? “Semplicemente ogni centesimo guadagnato nei campi con la raccolta del ginseng lo spendevo per comprare i giornali e leggere le strisce dei Peanuts e di Calvin & Hobbes. Sognavo un giorno di poterle scrivere io”.

La religione è centrale in tutti i suoi libri più famosi. Che rapporto ha oggi con essa? “Sono cresciuto in una famiglia profondamente cristiana. Non lo sono più, sono disincantato rispetto ai dogmi ma credo profondamente nei valori autentici, dell’amore, del rispetto per l’altro. Vedo la fede come fosse un’energia positiva ecco”.

Nella sua carriera è passato da un contesto autenticamente americano a uno diametralmente opposto, come quello arabo-islamico in ‘Habibi’: cosa l’ha spinta a scrivere quel libro e come è riuscito a raccontare una cultura così diversa dalla sua?

“Semplicemente l’11 settembre 2001 e la necessità di parlare di quello che è scattato subito dopo in America, ovvero un atteggiamento islamofobico, di terrore e odio verso la cultura musulmana, vista come nemico. Volevo stigmatizzare questa cosa, e quindi ho letto il corano, mi sono immerso nella cultura araba e sono rimasto profondamente affascinato dagli ideogrammi arabi, che uniscono immagine e parola, come il fumetto in fondo.

Ho scavato a fondo nel Corano, per cercare le ragioni di fondo, e lì ho capito davvero che le tre maggiori religioni mondiali, Islam, Ebraismo, Cristianesimo, hanno alla base la stessa fede e la figura del profeta ad esempio. Volevo immergermi da americano in quella cultura tanto paventata dal contesto da cui provengo”.

Una tavola di "Ginseng Roots" (Rizzoli Lizard)
Una tavola di "Ginseng Roots" (Rizzoli Lizard)

E che rapporto ha con la politica, visto che tra pochi giorni voterete il prossimo presidente degli Stati Uniti? “Come Habibi è nata dopo l’11 settembre, Ginger Roots nasce dalla delusione per l’elezione di Donald Trump nel 2016. Ha tradito le promesse fatta a chi allora lo votò, tra cui proprio i grandi proprietari delle farm, la cui vita è molto peggiorata in quel quadriennio.

Da qui arriva la mia voglia di tornare alle origini. Il Wisconsin, lo stato da cui provengo, è stato decisivo all’epoca. Con Michigan e Pennsylvania, sono i tre stati che assegnano la vittoria e da venire da una lunga striscia democratica, due di questi, Michigan e Wisonsin, allora scelsero il candidato repubblicano. Però oggi sono fiducioso che almeno nel mio Wisconsin possa vincere Kamala Harris, ma sarà un testa a testa all’ultimo voto”.

Nuovi progetti all’orizzonte?

“Intanto oggi (1° novembre 2024, ndr) avevo la deadline per la consegna degli ultimi ritocchi per la versione di Ginseng roots, che deve ancora uscire in versione integrale all’estero. Poi ho nuove idee, fresche fresche, a cui lavorerò prossimamente”.