“I diritti sono di tuttə”: anche dei ragazzi e le ragazze transgender che lottano per esistere

Agedo Milano ha organizzato un convegno per fare il punto sulla situazione attuale della comunità Lgbtq+. L’intervista alla vicepresidente Fisichella

di MARIANNA GRAZI -
24 giugno 2024
Convegno Agedo Milano (Instagram)

Convegno Agedo Milano (Instagram)

Da oltre 30 anni Agedo, l’associazione di genitori, parenti e amici di persone LGBTQIA+ accompagna madri e padri nel coming out dei loro figli e delle figlie, e promuove il pieno riconoscimento dei diritti civili e i necessari cambiamenti sociali e normativi nel nostro Paese.

Data la lunga esperienza come ‘Sportello’ di accoglienza alle famiglie e vista l’attuale situazione della società italiana su questi temi, le continue aggressioni e minacce alle conquiste fatte con grande difficoltà, la sezione di Milano (una delle 37 in tutta Italia) ha deciso di organizzare un convegno, “I diritti sono di tuttə, punto sulle discriminazioni e salvaguardia dei diritti per la comunità LGBTQIA+”, che si è svolto sabato 21 giugno.

Dal confronto, organizzato in collaborazione con LILA Milano ETS, Fondazione Somaschi e Sportello Trans Ala Onlus, sono emerse le tendenze degli ultimi anni, ovvero una maggiore facilità di raccontarsi e affermare i propri diritti già prima dei 18 anni e l’aumento del 40% degli accessi agli sportelli di ascolto. Ovviamente uno spazio importante è stato dato alle testimonianze e ai dati, oltre all’analisi sulle strategie da adottare per far fronte ai continui attacchi alla comunità LGBTQIA+ portati avanti dalla parte conservatrice della società.

A margine dell’iniziativa abbiamo parlato con la vicepresidente di Agedo Milano, Anna Maria Fisichella.

Convegno Agedo Milano: "I diritti sono di tuttə"
Convegno Agedo Milano: "I diritti sono di tuttə"

Milano, da fuori, sembra un’oasi felice per quanto riguarda i diritti della comunità Lgbtqia+. Ma qual è realmente la situazione, anche in riferimento invece alla Regione Lombardia?

“Abbiamo voluto fare il convegno proprio per fare il punto su quale sia la situazione attuale. Di quello che è stato fatto prima, di quello che accade adesso, di cosa rischiamo di perdere e di quello che invece potremmo fare per scongiurare questo pericolo. Tutti gli attivisti, tutte le associazioni, non stiamo più nemmeno lottando per avere altri diritti, ma per mantenere quello che abbiamo. 

Qui viviano una situazione contraddittoria, perché a Milano non voglio dire sia un’oasi felice ma c’è un Consiglio comunale dove le persone che hanno a cuore questi diritti qualcosa possono fare. L’identità alias è una di queste, ma sono state fatte panchine arcobaleno, nei vari municipi sono state promosse iniziative con associazioni; il tessuto della città, quindi, con patrocinio del Comune, si muove e fa. In qualche modo ci siamo sempre sentite legittimate da questo. In Regione Lombardia è tutta un’altra storia, per questo abbiamo voluto al convegno Monica Romano, vicepresidente Commissione Pari opportunità del Comune di Milano, scrittrice e attivista transgender, e Luca Paladini, Consigliere regionale che non è del Pd – ma di una lista civica – e ci tengo a sottolineare che non è una questione di partiti politici, essendo Agedo apartitica, perché i diritti non hanno partito.

In Regione, quando c’è stata la mozione per la carriera alias, di cui sono grande paladina, abbiamo fatto presidi e interventi, e quando è stata respinta ho sentito cose assurde, nel 2023, da persone che rappresentano la Lombardia. E ora non solo non si è riusciti ad avere il patrocinio al Pride, ma neanche che venga un rappresentante con la fascia. Niente”.

Quindi quando si dice che i diritti non sono di Destra o di Sinistra è vero, secondo lei?

“Esatto! Noi di Agedo pensiamo che i diritti sono di tutte le persone, di qualunque fascia sociale, etnia, sesso, religione. I diritti sono delle persone. C’è purtroppo uno sforzo eccessivo di catalogazione di queste persone e in verità non dovremmo dimenticare il concetto di base che siamo tutti e tutte persone e i diritti dovrebbero stare a cuore a tutti. Noi non difendiamo solo i diritti Lgbt perché siamo un’associazione di genitori di persone Lgbt, difendiamo i diritti di tutti. 

Ecco perché ci faceva piacere avere al convegno anche un rappresentante di Rete Lenford, l’avvocato Matteo Mammini, perché spesso quello che non si riesce a fare a livello legislativo si riesce a fare davanti a un giudice. E infine il punto di vista di chi non è solo un dottorando in pubblica amministrazione ma soprattutto è un esponente delle forze dell’ordine che fa parte di un’associazione Lgbt, Alessio Avellino, Presidente Polis Aperta”.

Vi sentite rappresentati da qualche esponente delle istituzioni o c’è un assoluto scollamento tra realtà e politica?

“In generale no, sennò non avremmo bisogno dell’associazione. Siamo dei semplici genitori volontari, non dovremmo fare quello che facciamo se qualcun altro, pagato, svolgesse questo compito. Noi esistiamo perché dobbiamo difendere i nostri figli e le nostre figlie, che sappiamo cosa vivono.

Dal discorso generale al particolare non possiamo dire che nessuno è sensibile a questi temi e che nessuno agisce; ma in una società democratica in cui ci sono maggioranza e minoranza è chiaro che se le persone stanno dalla parte della minoranza possono fare poco. Per quanto riguarda la carriera alias, nei presidi in Regione Lombardia io ho avuto tanto appoggio: c’erano i ragazzi, gruppi di studenti universitari, ma c’erano anche le associazioni e i politici che sono venuti davanti al cancello, hanno preso i microfoni e ci hanno difeso. E non erano di un solo partito: persone civili, tutte appartenenti alla minoranza, tranne un paio invece della maggioranza che sono venuti a spendere qualche parola gentile per noi. Sarà per quello che non è passata...”.

Cosa fa paura nell’adozione dell’identità (o carriera) alias nel mondo della scuola?

“Secondo me quello che fa più paura della carriera alias è il legittimare l’esistenza di adolescenti transgender. Se sono adulti/e ti dicono ‘è la loro vita, facciano quello che vogliono’. Ma quando parliamo di bambini/e o adolescenti scatta questo meccanismo di: ‘no, loro non si toccano, non sanno davvero cosa vogliono, sono confusi/e’. Come se una persona prima è ‘normale’ e poi di punto in bianco le succede qualcosa quando ha 25 anni e diventa transgender. Peccato che se una persona a 25 anni è transgender lo era anche a 3: non se ne sarà accorta, magari il contesto in cui viveva era rigido, ci ha messo più tempo… Ora sempre più giovani se ne accorgono prima e ne parlano, e tanti influencer sui social raccontano la loro esperienza .

Si parla tanto di contagio sociale, ma è una cosa che non sta né in cielo né in terra: non solo da un punto di vista medico, perché essere transgender non è una patologia. Il percorso è lunghissimo. Io ho un figlio trans* di 19 anni e non è che si è svegliato una mattina e ha iniziato a prendere i bloccanti, ha chiesto la carriera alias, ha assunto testosterone e gli è stata fatta la ricostruzione del torace”.

Non è un contagio clinico né una moda

“Assolutamente no. Chiediamocelo: chi vorrebbe far parte di una minoranza, vessata, bullizzata, con pochissimi diritti che per di più ora glieli vogliono levare, di persone che fanno un percorso lungo, faticoso, si sottopongono a una serie di procedure di cui un/a ragazzo/a farebbe volentieri a meno. Perché lo fanno se non perché non hanno altra scelta? Perché quella è l’unica strada per essere delle persone vere”.

Da genitore come si vive questa situazione?

“Molto male, contiamo a comando. Mi spiego: se io genitore non voglio che mio figlio abbia la carriera alias a scuola il mio no conta, a tal punto che se anche la scuola l’ha approvata lui, minorenne, non la può avere. Se io invece voglio la carriera alias per mio figlio, la chiedo, mi assumo la responsabilità di quello che dico, ma la scuola non vuole, mio figlio non avrà la carriera alias. A quel punto il mio sì non conta.

Altro esempio: se non voglio che gli venga fatta educazione sessuale e affettiva a scuola, a mio figlio non la possono fare; ma se ritengo, con parere favorevole di specialisti medici, che mio figlio o mia figlia abbia bisogno dei bloccanti, io non glieli posso dare, sennò divento un genitore reietto. Non si può essere un po’ e un po’ a seconda di quello che conviene”.

Come Agedo, quindi, quali sono le battaglie più urgenti che portate avanti?

“Ogni volta che sento testimonianze come quelle di Rosaria e di sua figlia (LEGGI QUI) io sono devastata. E mi arrabbio quando sento: ‘questi genitori che li assecondano nei capricci’. Le persone parlano senza sapere il dolore, il tanto dolore, che c’è dietro tutto questo. Per noi mamme non è facile raccontare le storie familiari, non portiamo le nostre testimonianze perché ci fa piacere parlare dei nostri dolori, delle nostre battaglie, delle ferite soprattutto dei nostri figli. Lo facciamo per evitare che succeda ad altri. Questa è la battaglia vera che portiamo avanti noi di Agedo: andiamo in giro nella società a raccontare fatti privati, con grandissima difficoltà, perché vogliamo che le nuove generazioni non subiscano più quello che hanno subito i nostri figli.

Vogliamo che questa società cambi, perché noi siamo società. Se non si iniziamo a cambiare la mentalità dei genitori, che sono i primi che accolgono, anzi raccolgono, i pezzi dei loro figli che fanno coming out come transgender, se noi non siamo pronti e capaci, diamo altre ferite, magari con tutto l’amore del mondo, ma li feriamo ulteriormente. Siamo in una società escludente, non aggraviamo ulteriormente la cosa.

Poi i percorsi potrebbero essere più veloci, più leggeri, più accessibili; non dovrebbe esserci bisogno dell’intervento di un giudice per il cambio del nome. E ancora aumentare le strutture, perché di quelle quattro che abbiamo noi abbiamo sempre indirizzato le famiglie verso il Careggi, il nostro fiore all’occhiello, dove i nostri figli erano protetti, accompagnati, seguiti bene.

Una legge che li tuteli, che se vengono picchiati ci siano delle aggravanti. Che la carriera alias sia dappertutto, senza lottare perché sia introdotta. Così quanto dolore si eviterebbe...”.