“Noi abitiamo quotidianamente il dolore delle nostre figlie e dei nostri figli. Nessuno ha vita facile”. A parlare è una Rosaria Riccardo, la mamma di Michelle, una ragazza transgender di quasi 17 anni. La sua è una testimonianza di genitore che accompagna la figlia nel suo percorso di affermazione di genere, nel suo caso al Centro specializzato dell’ospedale Careggi di Firenze. Un percorso lento, pieno di ostacoli e difficoltà, non solo per chi lo vive sulla sua pelle, ma anche per chi sta loro accanto: “Siamo considerati genitori irresponsabili, che assecondiamo i nostri figli in ogni capriccio. Come se fossero appunto dei capricci...”.
Ci parla dell’esperienza di sua figlia? Come sta?
“Abbiamo dovuto attendere due anni per accedere ai bloccanti (i farmaci sospensori della pubertà) e poi agli ormoni. E questo le ha portato uno stato di agitazione e di ansia molto forti. Il sistema porta questi ragazzi e ragazze a stare davvero male: se uno è maggiorenne i tempi sono ridotti e accede a questi medicinali da solo; un minorenne deve rispettare step molto lunghi, come nel nostro caso.
Tra due mesi mia figlia compirà 17 anni e voglio parlare di una cosa bella: dopo quattro anni è tornata ad andare al mare. Sembra una cosa banale, per tutti e tutte. Tranne per lei e le ragazze come lei. Mia figlia non esponeva il suo corpo al giudizio di nessuno, nemmeno al mio, di sua madre, non riusciva proprio a mostrarsi. Quindi il fatto che quest’anno sia riuscita ad andare al mare, a fare il bagno in costume, è un evento. Ma non dovrebbe esserlo, i ragazzi e le ragazze dovrebbero vivere la loro adolescenza nella normalità più assoluta, non sentirsi precluse queste esperienze così importanti a quell’età”.
E lei come si sente?
“In questo preciso momento storico e politico mi sento impotente. Perché mi sento dire da chi non sa nulla di noi che sto sbagliando tutto come mamma. Se in tutte le situazioni ci chiedono di decidere come genitori, perché in questo caso non vale? Non solo facciamo fatica ad affermare la nostra esistenza, quella dei nostri figli e figlie, ma ci dobbiamo anche sentir dire che dobbiamo lasciare la situazione così com’è. Per non affondare, perché la speranza di fare passi avanti sembra ormai remota”.
Rosaria, sua figlia quando ha realizzato di essere transgender e di voler fare il percorso di affermazione?
“Quando aveva 13 anni. Sono io quella che non l’ha capito mai. Lei mi ha dato tanti segnali che mi hanno portato a pensare fosse un ragazzo gay. Quando ha fatto coming out, dicendomi che era transgender, mi ha chiesto un’unica cosa: ‘Adesso mi vuoi ancora bene?’ Quella domanda mi ha stravolta: le ho risposto ‘io ti amo perché sei mio figlio, troveremo un modo’, anche se in quel momento non avevo idea di quale fosse, questo modo.
Ripensandoci ora non è che sono stata sorpresa, ma in un primo momento l’ho vissuta male. Non riuscivo a sostenere lei perché per prima io non riuscivo ad affrontare la situazione. Mi sono messa in discussione, ho pensato: ‘ma dove ho sbagliato?’ e ho pensato a tutto quello che era successo nel corso della sua vita. Mia figlia mi ha dato tanti segnali che non ho colto, come il fatto che non riuscissi mai a comprarle dei vestiti. Quando andavamo in negozio, con sua sorella gemella (biologicamente femmina), lei era felice nel reparto femminile, mi diceva di acquistare più capi per la gemella e nessuno per sé da quello maschile. Giocava con lei le bambole e quando aveva 4 anni ho chiesto al pediatra perché mio figlio (all’epoca) mi aveva chiesto una bambola per Natale. La risposta fu: ‘se la sorella avesse chiesto un pallone, sarebbe venuta a chiedermi consiglio?’. Tante piccole cose che solo dopo ho ricollegato.
Nel periodo del Covid ha visto una serie tv illuminante, Euphoria, dove c’è un’attrice trans. Lei guardandola ha capito quello che stava provando ed è stato a quel punto che mi ha detto: sono una ragazza trans”.
Da mamma come ha affrontato la cosa?
“Io ero ferma a quel giorno di luglio, mentre mia figlia continuava ad andare avanti e mi chiedeva (allora per me era una pretesa) di fare dei passi ulteriori: truccarsi, farsi crescere i capelli, tingerli, mettere vestiti femminili e poi ‘mamma, adesso mi chiami Michelle’. Io non ero preparata, per tirare fuori quel nome ci ho impiegato mesi. Quando è uscito è stata una liberazione e ho realizzato quello che stava succedendo a mia figlia; ma per me è stata tutta una fatica. A un certo punto però ho capito che non dovevo più pensare al mio bene ma al suo e dico sempre che il giorno che mi sono resa conto che mi dovevo mettere a fare la madre, essere responsabile di una figlia trans, è stato il giorno che hanno affossato il Ddl Zan, a ottobre 2021. Quell’esultanza in Parlamento ha avuto per me l’effetto di uno schiaffo. Mi sono svegliata. Ho capito che dovevo difendere mia figlia, e accompagnarla, perché nessuno lo avrebbe fatto al posto mio”.
Come siete arrivate da Foggia a Firenze, al Careggi?
“Quando ha deciso di intraprendere il percorso medico abbiamo contattato Agedo, perché non sapevamo come contattarci e a chi rivolgerci. Avevamo bisogno di aiuto anche noi genitori, non si è preparati ad affrontare tutto questo. L’associazione ci ha dato indicazioni su Careggi, centro di eccellenza per i minori e nonostante la distanza abbiamo optato per il centro fiorentino. Valutando l’esperienza di famiglie che vanno al centro di Bari e quelle che vanno al Careggi non c’era paragone, perché in quest’ultimo si basano sull’approccio dell’affermazione di sé. Qui mia figlia ha iniziato con il percorso psicologico, per sei mesi, dopodiché ha iniziato anche quello medico. Per due visite ci abbiamo impiegato però 8 mesi. Poi l’anno scorso, a fine maggio ha iniziato coi sospensori della pubertà e a ottobre anche gli ormoni. È passato più di un anno, ma oggi Michelle mi dice: io mi piaccio”.
Lo dimostra il fatto che è tornata a mettersi anche in costume?
“Sì, è stata una conquista bellissima. Io ero preoccupata quando me lo a detto, perché sapevo che in spiaggia ci sarebbero stati i ragazzi che l’hanno sempre bullizzata e presa in giro. Lei però mi ha risposto: chi se ne frega!
Non ha avuto vita facile, a 4 anni gli urlavano ‘frocio’ al parco giochi. E tuttora i bulli del paese, un gruppo, se la vedono le parlano dietro, la insultano. Mia figlia ha dovuto cambiare anche scuola, spostandosi a Lecce, che comporta grandi sacrifici (fisici ed economici) vista la distanza tra la città e dove abitiamo. Ma il primo giorno di scuola superiore è stata subito oggetto di aggressioni verbali, nel pullman; discriminazioni e offese che poi sono continuate: le chiedevano se fosse gay, se fosse femmina o maschio… il fatto che nemmeno i più giovani, in genere più sensibili a questi temi, sappiano distinguere tra orientamento sessuale e identità di genere mi preoccupa molto”.