Quando si dice l’ironia della sorte: si chiama Happy ma l’epilogo della sua storia non è affatto felice, anzi. E’ la storia dell’elefantessa prigioniera in uno zoo del Bronx da ben 45 anni e che dovrà restare nella struttura in quanto il tribunale di New York ha stabilito che non gode degli stessi diritti di libertà degli esseri umani.
Habeas corpus: il principio che poteva salvare il destino di Happy
Per Happy si era mobilitata l’associazione Nonhuman Rights Project, che , grazie anche ad anche una petizione su Change.org firmata da oltre un milione di persone, si era rivolta al tribunale chiedendo di riconoscere all’elefantessa i diritti umani fondamentali, e quindi che venisse posta fine alla sua prigionia, secondo il principio dell’habeas corpus, ovvero, nel diritto anglosassone, il principio che tutela l’inviolabilità personale, e il conseguente diritto dell’arrestato di conoscere la causa del suo arresto e di vederla convalidata da una decisione del magistrato.
Purtroppo, però la Corte di Appello dello Stato di New York non la pensa allo stesso modo e nei giorni scorsi si è espressa respingendo le richieste dell’associazione, rifiutandosi di considerare l’animale una “persona giuridica”.
Risultato: Happy non potrà essere liberata e trasferita in un santuario, come era stato chiesto dall’associazione. E questo perché è di proprietà dello zoo del Bronx in cui si trova dal lontano 1977. Una storia tristissima se si considera che Happy è finita in cattività dopo pochi mesi di vita, dopo essere stata catturata dalla Thailandia, insieme ad altri elefantini. Per lei, che ha 51 anni, l’unica consolazione in questi anni è stato un altro elefante, diventato il suo compagno di avventure, che però è morto circa 15 anni fa. Da allora Happy vive completamente da sola.
“Rigettiamo gli argomenti portati dai querelanti”: la dura risposta della Corte d’Appello
“Pur non mettendo in discussione le capacità degli elefanti, rigettiamo gli argomenti portati dai querelanti. Habeas Corpus è un mezzo procedurale volto a garantire i diritti di libertà degli esseri umani trattenuti illegalmente, non degli animali non umani” si legge nella sentenza emessa dalla Corte d’Appello.
Happy dunque non ha diritti perché non è un essere umano. Eppure, nel 2005 l’elefantessa ha dimostrato, insieme ad altri 3 pachidermi, di essere in grado di riconoscere la sua immagine allo specchio, una capacità che è stata confermata solo nei delfini e primati.
Per salvarla dal crudele destino l’associazione NhRP ha cercato di appigliarsi a questa sua straordinaria abilità ma purtroppo non è bastato. L’elefantessa, ha sentenziato il tribunale, non è un essere umano, e quindi la sua detenzione a vita è assolutamente legale.
Un destino ben triste per chi ha la felicità iscritta nello stesso nome. Felicità sì, ma non certo la sua.