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Home » Attualità » New York, l’elefantessa Happy dovrà restare rinchiusa allo zoo: “Non gode degli stessi diritti di un essere umano”

New York, l’elefantessa Happy dovrà restare rinchiusa allo zoo: “Non gode degli stessi diritti di un essere umano”

Si spengono definitivamente le speranze per l'elefantessa, prigioniera da 45 anni in uno zoo del Bronx. L'esemplare dovrà restare nella struttura, a seguito di una sentenza del tribunale di New York

Domenico Guarino
24 Giugno 2022
Elefantessa

Elefantessa

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Quando si dice l’ironia della sorte: si chiama Happy ma l’epilogo della sua storia non è affatto felice, anzi. E’ la storia dell’elefantessa prigioniera in uno zoo del Bronx da ben 45 anni e che dovrà restare nella struttura in quanto il tribunale di New York ha stabilito che non gode degli stessi diritti di libertà degli esseri umani.

L’elefantessa Happy tenuta prigioniera nello zoo da ben 45 anni

Habeas corpus: il principio che poteva salvare il destino di Happy

Per Happy si era mobilitata l’associazione Nonhuman Rights Project, che , grazie anche ad anche una petizione su Change.org firmata da oltre un milione di persone, si era rivolta al tribunale chiedendo di riconoscere all’elefantessa i diritti umani fondamentali, e quindi che venisse posta fine alla sua prigionia, secondo il principio dell’habeas corpus, ovvero, nel diritto anglosassone, il principio che tutela l’inviolabilità personale, e il conseguente diritto dell’arrestato di conoscere la causa del suo arresto e di vederla convalidata da una decisione del magistrato.

Purtroppo, però la Corte di Appello dello Stato di New York non la pensa allo stesso modo e nei giorni scorsi si è espressa respingendo le richieste dell’associazione, rifiutandosi di considerare l’animale una “persona giuridica”.

Risultato: Happy non potrà essere liberata e trasferita in un santuario, come era stato chiesto dall’associazione. E questo perché è di proprietà dello zoo del Bronx in cui si trova dal lontano 1977. Una storia tristissima se si considera che Happy è finita in cattività dopo pochi mesi di vita, dopo essere stata catturata dalla Thailandia, insieme ad altri elefantini. Per lei, che ha 51 anni, l’unica consolazione in questi anni è stato un altro elefante, diventato il suo compagno di avventure, che però è morto circa 15 anni fa. Da allora Happy vive completamente da sola.

L’entrata dello Zoo di New York dove si trova l’elefantessa Happy

“Rigettiamo gli argomenti portati dai querelanti”: la dura risposta della Corte d’Appello

“Pur non mettendo in discussione le capacità degli elefanti, rigettiamo gli argomenti portati dai querelanti. Habeas Corpus è un mezzo procedurale volto a garantire i diritti di libertà degli esseri umani trattenuti illegalmente, non degli animali non umani” si legge nella sentenza emessa dalla Corte d’Appello.

Happy dunque non ha diritti perché non è un essere umano. Eppure, nel 2005 l’elefantessa ha dimostrato, insieme ad altri 3 pachidermi, di essere in grado di riconoscere la sua immagine allo specchio, una capacità che è stata confermata solo nei delfini e primati.

Per salvarla dal crudele destino l’associazione NhRP ha cercato di appigliarsi a questa sua straordinaria abilità ma purtroppo non è bastato. L’elefantessa, ha sentenziato il tribunale, non è un essere umano, e quindi la sua detenzione a vita è assolutamente legale.
Un destino ben triste per chi ha la felicità iscritta nello stesso nome. Felicità sì, ma non certo la sua.

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  • Sono tre, per il momento, gli istituti superiori che si sono candidati ad accogliere Nina Rosa Sorrentino, la studentessa disabile di 19 anni che non può sostenere la maturità al liceo Sabin di Bologna (indirizzo Scienze umane) e che i genitori hanno per questo motivo ritirato da scuola.

La storia è nota: la studentessa ha cominciato il suo percorso di studi nel liceo di via Matteotti seguendo il programma differenziato. Già al terzo anno i genitori avevano chiesto di passare al programma degli obiettivi minimi che si può concludere con l’Esame di Stato, mentre quello differenziato ha solo la "certificazione delle competenze".

Il Consiglio di classe aveva respinto la richiesta della famiglia, anche perché passare agli obiettivi minimi avrebbe implicato esami integrativi. Da qui la decisione della famiglia, avvenuta giusto una settimana fa, di ritirare Nina da scuola – esattamente un giorno prima che i giorni di frequenza potessero essere tali da farle comunque ottenere la "certificazione delle competenze" – in modo tale che possa provare a sostenere la Maturità in un altro istituto del capoluogo emiliano.

Sulla storia di Nina, ieri, è tornata anche la ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, che alla Camera ha risposto, durante il question time, a una domanda sulle iniziative volte a garantire l’inclusione sociale e lavorativa delle persone con sindrome di Down presentata dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti.

"C’è ancora un po’ di strada da fare se una ragazza con la sindrome di Down non viene ammessa all’esame di maturità – ha detto la ministra –. Se non si è stati in grado di usare tutte le strategie possibili e l’accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili che in Italia è legge; se non si è stati in grado di valorizzare i punti di forza dei ragazzi che non chiedono di essere promossi automaticamente ma di avere un’occasione e un’opportunità."

#lucenews #lucelanazione #ninasorentino #disabilityinclusion #bologna
  • “Ho fatto la storia”. Con queste parole Alex Roca Campillo ha postato sul suo account Twitter il video degli ultimi, emozionanti, metri della maratona di Barcellona.

Ed effettivamente un record Alex l’ha scritto: è la prima persona al mondo con una disabilità al 76 per cento a riuscire a percorrere la distanza di 42 km e 195 metri.
Alex ha concluso la sua gara in 5 ore 50 minuti e 51 secondi, ma il cronometro in questa situazione è passato decisamente in secondo piano. “tutto questo è stato possibile grazie alle mia squadra. Grazie a tutti quelli che dal bordo della strada mi hanno spinto fino al traguardo. Non ho parole”.

#lucenews #alexrocacampillo #maratonadibarcellona #barcellona
  • In Uganda dirsi gay potrà costare l’ergastolo. Il Parlamento dell’Uganda ha appena approvato una legge che propone nuove e severe sanzioni per le relazioni tra persone dello stesso sesso. Al termine di una sessione molto movimentata e caotica, la speaker del Parlamento Annet Anita Among, dopo il voto finale ha detto: “È stata approvata a tempo record”. La legge, che passa ora nelle mani del presidente Yoweri Museveni, che potrà scegliere se porre il veto o firmarla, propone nuove e molto dure sanzioni per le relazioni omosessuali in un Paese in cui l’omosessualità è già illegale.

La versione finale non è ancora stata pubblicata ufficialmente, ma gli elementi discussi in Parlamento includono che una persona condannata per adescamento o traffico di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali, rischia l’ergastolo; individui o istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti Lgbt, oppure pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale mediatico e testuale a favore degli omosessuali, rischiano di essere perseguiti e incarcerati. 

“Questa proposta di legge – ha detto Asuman Basalirwa, membro del Parlamento che l’ha presentata – è stata concepita per proteggere la nostra cultura, i valori legali, religiosi e familiari tradizionali degli ugandesi e gli atti che possono promuovere la promiscuità sessuale in questo Paese”. Il parlamentare ha poi aggiunto: “Mira anche a proteggere i nostri bambini e giovani che sono resi vulnerabili agli abusi sessuali attraverso l’omosessualità e gli atti correlati”.

Secondo la legge amici, familiari e membri della comunità avrebbero il dovere di denunciare alle autorità le persone omosessuali. Nello stesso disegno di legge, tra l’altro, si introduce la pena di morte per chi abusa dei bambini o delle persone vulnerabili. 

#lucenews #lucelanazione #uganda #lgbtrights
  • Un’altra pagina di storia del calcio femminile è stata scritta. Non tanto per il risultato della partita ma per il record di spettatori presenti. All’Olimpico di Roma andava in scena il match di andata dei quarti di finale di Champions League tra Roma e Barcellona quando si è stabilito un nuovo record: sono state 39.454 infatti le persone che hanno incoraggiato le ragazze fin dal primo minuto superando il precedente di 39.027 stabilito in Juventus-Fiorentina del 24 marzo 2019.

Era l’andata dei quarti di finale che la Roma ha raggiunto alla sua prima partecipazione alla Champions League, ottenuta grazie al secondo posto nell’ultimo campionato. Il Barcellona, campione di Spagna e d’Europa due anni fa, era favorito e in campo lo ha dimostrato, soprattutto nel primo tempo, riuscendo a vincere 1-0. La squadra di casa è stata tenuta a galla dalle parate di Ceasar, migliore in campo, ma ha provato a impensierire la corazzata spagnola nella ripresa dove più a volte ha sfiorato la rete con le conclusioni di Haavi, Giacinti e Giugliano, il primo “numero 10” a giocare all’Olimpico per la Roma dopo il ritiro di Francesco Totti.

✍ Edoardo Martini

#lucenews #lucelanazione #calciofemminile #championsleague
Quando si dice l’ironia della sorte: si chiama Happy ma l’epilogo della sua storia non è affatto felice, anzi. E’ la storia dell’elefantessa prigioniera in uno zoo del Bronx da ben 45 anni e che dovrà restare nella struttura in quanto il tribunale di New York ha stabilito che non gode degli stessi diritti di libertà degli esseri umani.
L'elefantessa Happy tenuta prigioniera nello zoo da ben 45 anni

Habeas corpus: il principio che poteva salvare il destino di Happy

Per Happy si era mobilitata l’associazione Nonhuman Rights Project, che , grazie anche ad anche una petizione su Change.org firmata da oltre un milione di persone, si era rivolta al tribunale chiedendo di riconoscere all’elefantessa i diritti umani fondamentali, e quindi che venisse posta fine alla sua prigionia, secondo il principio dell’habeas corpus, ovvero, nel diritto anglosassone, il principio che tutela l'inviolabilità personale, e il conseguente diritto dell'arrestato di conoscere la causa del suo arresto e di vederla convalidata da una decisione del magistrato. Purtroppo, però la Corte di Appello dello Stato di New York non la pensa allo stesso modo e nei giorni scorsi si è espressa respingendo le richieste dell’associazione, rifiutandosi di considerare l’animale una “persona giuridica”. Risultato: Happy non potrà essere liberata e trasferita in un santuario, come era stato chiesto dall’associazione. E questo perché è di proprietà dello zoo del Bronx in cui si trova dal lontano 1977. Una storia tristissima se si considera che Happy è finita in cattività dopo pochi mesi di vita, dopo essere stata catturata dalla Thailandia, insieme ad altri elefantini. Per lei, che ha 51 anni, l’unica consolazione in questi anni è stato un altro elefante, diventato il suo compagno di avventure, che però è morto circa 15 anni fa. Da allora Happy vive completamente da sola.
L'entrata dello Zoo di New York dove si trova l'elefantessa Happy

"Rigettiamo gli argomenti portati dai querelanti": la dura risposta della Corte d'Appello

“Pur non mettendo in discussione le capacità degli elefanti, rigettiamo gli argomenti portati dai querelanti. Habeas Corpus è un mezzo procedurale volto a garantire i diritti di libertà degli esseri umani trattenuti illegalmente, non degli animali non umani” si legge nella sentenza emessa dalla Corte d’Appello. Happy dunque non ha diritti perché non è un essere umano. Eppure, nel 2005 l’elefantessa ha dimostrato, insieme ad altri 3 pachidermi, di essere in grado di riconoscere la sua immagine allo specchio, una capacità che è stata confermata solo nei delfini e primati. Per salvarla dal crudele destino l’associazione NhRP ha cercato di appigliarsi a questa sua straordinaria abilità ma purtroppo non è bastato. L’elefantessa, ha sentenziato il tribunale, non è un essere umano, e quindi la sua detenzione a vita è assolutamente legale. Un destino ben triste per chi ha la felicità iscritta nello stesso nome. Felicità sì, ma non certo la sua.
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