“Per i familiari di Giulia presenti in aula ieri, assistere al processo per il suo omicidio è stato come vederla morire una seconda volta”. A scriverlo è la sorella, Chiara Tramontano, e anche altri familiari all'indomani della discussione del processo a carico di Alessandro Impagnatiello per omicidio volontario pluriaggravato. “Le parole della difesa sono risuonate offensive e insensibili, definendo l'atroce atto compiuto dall'assassino come un 'grave gesto’, come se si trattasse di un banale errore, una marachella, e non di un crimine efferato. La difesa - continua - ha affermato che, se l'assassino fosse stato un 'vero stratega’, avrebbe 'buttato il corpo’ di Giulia, come se si stesse parlando di immondizia, senza alcun rispetto per il valore di una vita umana. Parole che offendono non solo la memoria della vittima, ma anche chi rimane”.
Nel post si ricorda poi che "è stato chiesto di far cadere molteplici aggravanti, come se potessero essere ignorate. Con una raccapricciante lettura di messaggi inviati dall'assassino alla sua vittima dopo averla uccisa, siamo stati invitati ad apprezzare uno sipario di senso di colpa e richiesta di perdono. Una ridicola sceneggiatura”. Un linguaggio che è giunto alle orecchie di amici e parenti di Giulia Tramontano come “ridicolo e inumano” con cui “quasi a voler nascondere l'assurdità delle proprie parole, la difesa ha chiesto la 'giusta pena’. Ma quale può essere la giusta pena per un essere così misero? Esiste davvero una pena adeguata per chi, con tale brutalità, priva una persona della sua vita e una famiglia della propria pace?”.
Il pensiero termina con parole che a noi hanno fatto riflettere. Durante i processi, di qualsiasi natura, chi è estraneo alla vicenda dà per scontato che la persona colpevole cerchi di nascondersi, di scagionarsi o quantomeno giustificarsi. E che gli avvocati della difesa, chiamati e pagati per fare il loro lavoro, appunto difendere, arrivino a giustificare e ridimensionare. Ma per la famiglia, gli amici delle vittime, le aspettative sono inevitabilmente diverse. C’è una speranza, dettata sicuramente dall’emotività, che è comprensibile oltre che nobile. “Ci si aspetta sempre che, di fronte alla verità, un assassino alzi le mani e accetti il suo destino – si legge nel post di Chiara Tramontano – Invece abbiamo assistito a una teatrale rappresentazione del fallimento dell'empatia verso la famiglia della vittima e di ogni valore umano. Nell'immagine di questo assassino - si legge - si nasconde tutto il fallimento dell'umanità, socialità, famiglia, e del rispetto dei sentimenti altrui”.