Insulti social? Non c’è diffamazione. Chiesta l’archiviazione per il caso Cristina Seymandi

Secondo la tesi del pm Furlan: “Non pare più esigibile che la critica ai fatti privati delle persone si esprima sempre con toni misurati e eleganti”. La decisione potrebbe diventare un pericoloso precedente

di MARIANNA GRAZI
5 dicembre 2024
Cristina Seymandi, manager torinese (Instagram)

Cristina Seymandi, manager torinese (Instagram)

Offesa libera e impunita: un conto è insultare una persona nella realtà, altra cosa è farlo sui social. Due pesi e due misure, anche se spesso l’effetto sulla vittima è lo stesso. Ma il trattamento per chi pronuncia, o in questo caso scrive, quelle affermazioni degradanti è diverso invece in base al contesto. 

Archiviazione: così si vuole la parola fine all’inchiesta scaturita dalla denuncia di Cristina Seymandi contro gli haters. Che quindi la passano liscia, per usare un termine gergale, dopo aver preso di mira anche pesantemente la donna che era stata lasciata platealmente dal promesso sposo, Massimo Segre, nei commenti sotto i video della scena in cui lui l’accusava di averlo tradito davanti agli amici riuniti prima delle nozze e soprattutto sotto ad un post della stessa manager torinese del 13 maggio scorso.

I commenti degli haters

“Bella predica nella copertina della tua pagina, la vogliamo arricchire con la giornata della fedeltà. Ah, no, scusa”, scriveva uno. “Che figura di mer*a! Cit.”, proseguiva un altro, con faccine divertite. “Credevo fosse una puntata di quei programmi trash di Maria De Filippi. E invece” o “Non merita il termine donne. Se non brutta femmina. Anzi malafemmina”. E poi altri, più o meno volgari, ma abbastanza per far scattare la denuncia. La donna è stata bersagliata anche dopo quel caso che riempì le pagine dei giornali per giorni nell’estate del 2023. Perché la vita va avanti ma i leoni da tastiera non smettono mai di inseguire le loro prede. E rischiano, come dimostra questa vicenda, di farla franca impuniti. 

Uno dei commenti degli haters sotto il post del 13 maggio 2024 di Cristina Seymandi
Uno dei commenti degli haters sotto il post del 13 maggio 2024 di Cristina Seymandi

La tesi del pm: “Offese sui social sono normali”

I social non sono la realtà e gli insulti virtuali valgono meno – o nulla – rispetto a quelli pronunciati a schermi spenti, faccia a faccia. Nel mondo virtuale “non pare più esigibile che la critica ai fatti privati delle persone si esprima sempre con toni misurati e eleganti”, secondo la tesi del pm Roberto Furlan, che ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di chiudere il caso. “Ciò che non è tollerato nel mondo reale, nel mondo dei social è quasi normale”, scrive il procuratore. Quasi a giustificare quelle offese perché sulle piattaforme tutto è permesso e concesso, non ci sono limiti se non quelli imposti da algoritmi e sviluppatori. E se gli insulti ci sono allora diventano normali, non sono gravi.

Furlan infatti aggiunge: “Il luogo e l’ambiente dove le offese sono pronunciate conta eccome” e “la progressiva diffusione di circostanze attinenti la vita privata e la diffusione dei social ha reso comune l’abitudine ai commenti, anche con toni robusti, sarcastici, polemici e inurbani”. Se lo fanno tutti e diventa comune, normale – è preoccupante che a dirlo sia un uomo di giustizia – allora non c’è reato che tenga, perdono il loro valore diffamatorio. 

Infine il pm asserisce che “Occorre tenere conto della mutata condizione della società, la quale, con l’uso dei social, è divenuta maggiormente sensibile agli avvenimenti privati delle persone”, il che renderebbe anche “più ampio il confine di ciò che può considerarsi di interesse pubblico”.

Spetta al gip ora a valutare la richiesta, ma se le premesse sono queste e la tesi sarà accolta la sentenza farà sicuramente giurisprudenza – un precedente pericolosissimo – e farà parlare. Bene? Male? Meglio farlo sui social, in caso...