Io, il prossimo femminicida

Dietro l’ipocrisia di tante frasi o intenti pronunciati per la Giornata contro la violenza sulle donne, la cruda e semplice realtà dei fatti

di MIRKO DI MEO
25 novembre 2024
E' per Giulia e Gisele l'ultima opera di Laika anti-patriarcato

La nuova opera della street artist Laika dal titolo 'Smash the patriarchy' (Ansa)

Le donne non si toccano nemmeno con un fiore.

Chi uccide o picchia una donna non è degno essere chiamato uomo.

Sono delle bestie, degli animali.

Espressioni che oggi, 25 novembre – Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – molti uomini pronunceranno o scriveranno. Si proclameranno differenti, diranno di portare rispetto alle madri, alle sorelle, alle nonne. Figure femminili che ruotano nella sfera di appartenenza del maschio e che rimandano alle uniche funzioni da secoli riconosciute alla donna: procreazione e accudimento.

Dietro una verità, che a noi uomini fa male. La verità che anche io potrei essere un femminicida. Forse il prossimo. Un'ipotesi che non vuole essere soltanto una provocazione. In quanto uomo vivo il mondo in una posizione di assoluto privilegio. Quando vengo lasciato, non temo di essere perseguitato. Quando cammino per strada non mi fischiano, nè ricevo commenti volgari. Non temo mi possano stuprare. Non devo fingere di essere caduto dalle scale. Non vengo chiamato puttana. Posso indossare ciò che voglio e quando voglio.

Se vengo aggredito non mi domandano se ho provocato chi mi ha fatto del male. La mia posizione non viene mai messa in dubbio. Non devo essere composto. Non devo stare al telefono mentre rincaso solo di notte. Posso prendere i mezzi notturni senza problemi. Potrei continuare, ma credo che la mia posizione sia già sufficientemente chiara.

Scarpe rosse, simbolo della violenza sulle donne (foto Ansa)
Scarpe rosse, simbolo della violenza sulle donne (foto Ansa)

Le statistiche raccontano che una donna alla settimana viene uccisa dal proprio partner. L'omicidio è la cima della piramide. Le violenze sui corpi femminili sin dall’infanzia sono molteplici. Non ne siamo consapevoli perché immersi nella cultura patriarcale. Alle bambine si insegna a rimanere in silenzio di fronte alla frustrazione, ai maschi viene detto di andarsi a prendere ciò che spetta. Noi maschi siamo allenati alla violenza e alla forza, a essere spietati, competitivi e a nascondere le fragilità. Le donne vengono educate invece al consenso.

La donna viene privata di essere. Non può abitare l’area semantica dell’esistenza, ma solo dell’appartenenza. Le donne non devono decidere perché il mondo si muove secondo la volontà dei padroni, cioè di noi uomini. La violenza di genere è un gioco di potere in cui la donna deve sottostare e l’uomo trionfare, non sfigurare di fronte al soggetto debole per eccellenza. Quando ciò accade, si sminuisce, si picchia, si minaccia, si stupra e se il soggetto ritenuto debole non demorde, si uccide.

A noi maschi non resta che comprendere che il patriarcato è anche nostro nemico e decostruirci. De-costruirsi significa cambiare forma di pensare e vedere il mondo. La cultura che ha portato Filippo Turetta a uccidere Giulia Cecchetin è la stessa in cui sono cresciuto e mi sono formato. Dove sta la differenza tra me e Filippo Turetta? Sono spaventato e questa paura mi porta a decostruirmi e a interrogarmi profondamente sulle modalità con cui metto in pratica il mio essere uomo