È passato un altro anno dalla scorsa Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, le 24 ore annuali in cui le istituzioni e le folle si radunano e, a gran voce, dicono la loro sul fenomeno, puntando il dito, dichiarando intenti, promuovendo azione. “Mai più”, è il grido che si sente davanti a una panchina o a delle scarpette rosse. Una sola volta in un anno in cui ci si promette che non ci sia bisogno di un altro 25 novembre.
Parole e numeri
Ma cosa è successo alle donne, in quasi totale silenzio, negli altri 12 mesi? Effettivamente, qualcosa è cambiato. Si è diffusa una consapevolezza diversa, le chiamate al 1522 hanno raggiunto un picco mai visto prima: ben 33mila persone si sono rivolte al numero d’emergenza nei primi 6 mesi del 2024, si parla di un aumento del 57%. Sempre silenziosamente, i muri sono stati ricoperti di manifesti a tema, i bagni (solo quelli femminili, davvero è un tema che riguarda solo le donne?) dell’università sono tappezzati dalle immagini della campagna della Regione Toscana: “La violenza anche se non si vede, si sente” (davvero questi slogan bastano a ricordare la crudeltà della società che abbiamo attorno?).
Facciamo rumore
Allo stesso modo però, sono aumentati gli abusi, i nomi pronunciati ad alta voce dalla televisione di donne vittime di violenza: l’Osservatorio Nazionale Non Una di Meno ha contato 106 femminicidi, lesbicidi, transicidi quest’anno (dati aggiornati al 22 novembre 2024), sono state quasi 3mila le violenze sessuali denunciate nel corso del primo semestre, mentre si sfiorano i 700 casi di revenge porn. Solo qualche giorno fa si è tornati a dibattere sul tema del silenzio e del rumore, ad un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin. Il preside del liceo frequentato dalla ragazza ha preferito invitare gli studenti ad un minuto di silenzio per “interiorizzare questo evento, rielaborare un anno di riflessioni, dibattiti, esternazioni” (davvero bisogna quasi imporre il silenzio agli studenti e alle studentesse, come si fa con i bambini quando si mettono in punizione?), rispetto al minuto di rumore sostenuto dalla sorella Elena nel novembre dello scorso anno. “Per te bruceremo tutto, rest in power”, aveva scritto quando venne ritrovato il corpo della ventiduenne.
Basta silenzio
Non accettiamo più il silenzio perché il silenzio è la condizione in cui il patriarcato ci rilega e ci lascia morire. Se facessimo un minuto di rumore per ogni vittima di femminicidio, lesbicidio e transicidio quest’anno, risulteremmo scomode per oltre un’ora e mezzo. La società punta i suoi riflettori e i suoi microfoni sul tema della violenza contro le donne il 25 novembre e poco prima, dimenticandolo il giorno dopo, diomenticando che si tratta di un’emergenza reale e quotidiana che è sotto il nostro sguardo tutto i giorni, silenziosamente. E allora, nell’unico giorno in cui veniamo invitate a radunarci, a gridare ad alta voce, a far rumore, a prometterci di nuovo “Mai più”, l’augurio è che non ci venga chiesto di stare un altro minuto, un altro giorno, altri 12 mesi in silenzio, mentre vediamo ciò che è intorno a noi ricordarci la violenza che subiamo, mentre ci viene detto che “il patriarcato non esiste”, mentre le nostre richieste di aiuto e le nostre denunce si rivelano inefficaci, mentre sentiamo il nome di una sorella abusata o uccisa. Purtroppo ci saranno altri femminicidi, ci sarà un altro 25 novembre, ma nessuno ci chieda più di tacere.