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Home » Attualità » Iran: le ballerine senza velo arrestate e costrette a pentirsi

Iran: le ballerine senza velo arrestate e costrette a pentirsi

Alla vigilia dei sei mesi dallo scoppio delle proteste per la morte di Masha Amini il grido di libertà lanciato in occasione dell'8 marzo dalle 5 ragazze è stato represso con durezza

Maurizio Costanzo
15 Marzo 2023
Le cinque ragazze che avevano festeggiato l'8 marzo sulle note di "Calm Down" sonos tate arrestate e costrette a pentirsi (Twitter/Ekbatan)

Le cinque ragazze che avevano festeggiato l'8 marzo sulle note di "Calm Down" sonos tate arrestate e costrette a pentirsi (Twitter/Ekbatan)

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“Uno dei miei più grandi errori è stato vedere della magia dove c’era solamente un trucco”. Questa frase spiega molto bene l’amaro in bocca che resta dopo una delusione, di qualsiasi tipo. In tantissimi, guardando quel filmato che aveva fatto il giro del mondo, si erano facilmente e felicemente illusi. Avevano davvero creduto che, come per magia, le cose stessero cambiando, o che almeno potessero cambiare. E invece, oltre quello schermo, nella vita reale, si nascondeva un inganno: non certo da parte delle giovani protagoniste del video, la cui voglia di libertà era e resta autentica. Quanto nel regime, che ha dimostrato di non ammettere alcuna libertà e di non indietreggiare di un solo millimetro pur di non concedere il minimo spazio ai diritti.

Il video virale per l’8 marzo

Senza bisogno di alcun processo, le cinque ragazze sono state ritenute “colpevoli” per aver commesso quello che è stato considerato un vero e proprio “oltraggio”, e come tale perseguito. La loro colpa? Aver celebrato l’8 marzo ballando senza velo sulle note della canzone Calm Down. In breve tempo erano diventate un simbolo della protesta contro il regime di Teheran, ma la loro voglia di libertà e di diritti è risultata talmente pericolosa da dover essere rapidamente annientata. E così, le giovani che avevano festeggiato la giornata internazionale della donna danzando, sono state arrestate e costrette a chiedere scusa, girando un video col capo velato. Come riporta l’account twitter di Ekbatan, il popolare quartiere alla periferia di Teheran dove vivono, sono state fermate per due giorni e obbligate al pentimento.

Il grido di libertà soffocato

 

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Un post condiviso da Agenzia ANSA (@agenzia_ansa)

Obbligate ora a mostrarsi proprio come il regime vorrebbe tutte le donne, obbedienti e inermi. La grinta di queste ragazze, la loro voglia di sfidare i tabù per essere semplicemente se stesse, sono state represse sul nascere, soffocate nel modo più atroce. La loro voce è stata zittita, i loro corpi sono stati nascosti sotto abiti informi, indossati a sguardo spento e basso. Ad una ad una le ragazze di Ekbatan sono state costrette a recitare la parte scritta da chi, in questi giorni, ha dato loro insistentemente la caccia, fino a trovarle. La polizia si era messa sulle loro tracce fin da subito, ed è riuscita a rintracciarle in poche ore anche con l’ausilio di telecamere a circuito chiuso. Una volta trovate le ha arrestate e rinchiuse in carcere, dove le ha tenute per 48 ore.

La dura repressione

Nelle immagini, riportate sull’account Twitter, le donne appaiono in piedi, vestite con abiti larghi, col capo coperto da quei veli che nascondono i capelli come una vergogna. Il luogo del pentimento non è stato scelto a caso: sullo sfondo si notano gli stessi palazzoni che avevano fatto da cornice allo ‘scandaloso’ ballo in pubblico, vietato in Iran, inscenato per l’8 marzo proprio per sfidare i divieti del regime. Le cinque ragazze sono state costrette a dirsi pentite per quel balletto in cui si erano scatenate in pubblico: un video che era diventato un messaggio politico, un inno alla libertà subito imitato e diventato virale. Era stato uno schiaffo per le autorità, che hanno reagito duramente, minacciando il pugno di ferro a colpi di arresti di massa per stroncare la nuova mobilitazione, annunciata in coincidenza con la festa del fuoco, quando gli iraniani sono soliti riversarsi per le strade illuminate da falò per celebrare la luce della primavera che sconfigge il buio dell’inverno.

Festa del fuoco in Iran: almeno 11 morti e 300 feriti nella notte

La tragedia per la festa del fuoco

Eppure nella capitale iraniana, anche con la bella stagione oramai alle porte, non sembrano esserci spiragli di luce vera, quella che sa di speranza, uguaglianza, libertà, diritti. A Teheran, chissà per quanto ancora, la primavera tarda e tarderà ad arrivare. Nella notte tra 14 e 15 marzo nel Paese sono infatti morte almeno 11 persone e 3.500 sono rimaste ferite nel corso della festa nazionale. Il bilancio è stato reso noto alla televisione di Stato dal responsabile dei servizi di emergenza, Jafar Miadfar. Antico rituale purificatorio, da vent’anni l’occasione si è trasformata in un momento di sfogo per i giovani, con tanto di petardi e fuochi d’artificio nei luoghi pubblici, nonostante gli avvertimenti delle autorità che non vedono di buon occhio questa festività, considerata “pagana” dalla stragrande maggioranza dei membri del clero sciita.

L’appello per le donne iraniane di Ursula von der Leyen

La premio Nobel e attivista iraniana Shirin Ebadi, la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (Ph: FREDERICK FLORIN / AFP)

“Al di là delle leggi, anche le donne e le ragazze hanno bisogno di modelli. Donne che aprono la strada a tutti gli altri. Ebadi, per decenni hai combattuto per i diritti delle donne in Iran. Hanno cercato di zittirti. Ti hanno messo in prigione. Ti hanno costretto all’esilio. Ma hai continuato a combattere. Con coraggio. Giorno dopo giorno. Oggi, innumerevoli donne si sono unite alla tua lotta. E il mondo intero è in soggezione davanti alle donne iraniane”. A dirlo la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, durante il dibattito sulla ricorrenza della giornata internazionale della donna a Strasburgo, che vede in Aula l’attivista iraniana Shrin Ebadi e Samantha Cristoforetti. “La lotta e il coraggio delle donne iraniane commuovono e ispirano le donne di tutto il mondo. Perché le sfide che dobbiamo affrontare possono essere diverse. Ma i diritti per cui lottiamo sono gli stessi”, ha sottolineato la presidente. Intanto però. in Iran si respira un clima tesissimo, in cui risuonano ancora più brucianti le parole di Lidia Ravera quando ha scritto: “Finché ci sarà una sola donna minacciata in quanto donna, noi non avremo pace”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
"Uno dei miei più grandi errori è stato vedere della magia dove c’era solamente un trucco". Questa frase spiega molto bene l’amaro in bocca che resta dopo una delusione, di qualsiasi tipo. In tantissimi, guardando quel filmato che aveva fatto il giro del mondo, si erano facilmente e felicemente illusi. Avevano davvero creduto che, come per magia, le cose stessero cambiando, o che almeno potessero cambiare. E invece, oltre quello schermo, nella vita reale, si nascondeva un inganno: non certo da parte delle giovani protagoniste del video, la cui voglia di libertà era e resta autentica. Quanto nel regime, che ha dimostrato di non ammettere alcuna libertà e di non indietreggiare di un solo millimetro pur di non concedere il minimo spazio ai diritti.

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La dura repressione

Nelle immagini, riportate sull'account Twitter, le donne appaiono in piedi, vestite con abiti larghi, col capo coperto da quei veli che nascondono i capelli come una vergogna. Il luogo del pentimento non è stato scelto a caso: sullo sfondo si notano gli stessi palazzoni che avevano fatto da cornice allo ‘scandaloso’ ballo in pubblico, vietato in Iran, inscenato per l'8 marzo proprio per sfidare i divieti del regime. Le cinque ragazze sono state costrette a dirsi pentite per quel balletto in cui si erano scatenate in pubblico: un video che era diventato un messaggio politico, un inno alla libertà subito imitato e diventato virale. Era stato uno schiaffo per le autorità, che hanno reagito duramente, minacciando il pugno di ferro a colpi di arresti di massa per stroncare la nuova mobilitazione, annunciata in coincidenza con la festa del fuoco, quando gli iraniani sono soliti riversarsi per le strade illuminate da falò per celebrare la luce della primavera che sconfigge il buio dell’inverno.
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Eppure nella capitale iraniana, anche con la bella stagione oramai alle porte, non sembrano esserci spiragli di luce vera, quella che sa di speranza, uguaglianza, libertà, diritti. A Teheran, chissà per quanto ancora, la primavera tarda e tarderà ad arrivare. Nella notte tra 14 e 15 marzo nel Paese sono infatti morte almeno 11 persone e 3.500 sono rimaste ferite nel corso della festa nazionale. Il bilancio è stato reso noto alla televisione di Stato dal responsabile dei servizi di emergenza, Jafar Miadfar. Antico rituale purificatorio, da vent'anni l'occasione si è trasformata in un momento di sfogo per i giovani, con tanto di petardi e fuochi d'artificio nei luoghi pubblici, nonostante gli avvertimenti delle autorità che non vedono di buon occhio questa festività, considerata "pagana" dalla stragrande maggioranza dei membri del clero sciita.

L'appello per le donne iraniane di Ursula von der Leyen

La premio Nobel e attivista iraniana Shirin Ebadi, la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, l'astronauta italiana Samantha Cristoforetti e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (Ph: FREDERICK FLORIN / AFP)
"Al di là delle leggi, anche le donne e le ragazze hanno bisogno di modelli. Donne che aprono la strada a tutti gli altri. Ebadi, per decenni hai combattuto per i diritti delle donne in Iran. Hanno cercato di zittirti. Ti hanno messo in prigione. Ti hanno costretto all'esilio. Ma hai continuato a combattere. Con coraggio. Giorno dopo giorno. Oggi, innumerevoli donne si sono unite alla tua lotta. E il mondo intero è in soggezione davanti alle donne iraniane". A dirlo la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, durante il dibattito sulla ricorrenza della giornata internazionale della donna a Strasburgo, che vede in Aula l'attivista iraniana Shrin Ebadi e Samantha Cristoforetti. "La lotta e il coraggio delle donne iraniane commuovono e ispirano le donne di tutto il mondo. Perché le sfide che dobbiamo affrontare possono essere diverse. Ma i diritti per cui lottiamo sono gli stessi", ha sottolineato la presidente. Intanto però. in Iran si respira un clima tesissimo, in cui risuonano ancora più brucianti le parole di Lidia Ravera quando ha scritto: "Finché ci sarà una sola donna minacciata in quanto donna, noi non avremo pace".
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