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Luca Trapanese: “Alba ha la sindrome di Down, non ne soffre. È perfetta così”

Abbiamo affrontato con l’assessore partenopeo, scrittore e imprenditore sociale, papà di una bimba di 7 anni, tutte le difficoltà che incontrano le persone come lei in uno Stato impreparato a includerle: “Serve un cambiamento culturale, non solo socio-sanitario”

di MARIANNA GRAZI -
21 marzo 2024
Luca Trapanese e Alba (Instagram)

Luca Trapanese e Alba (Instagram)

“A chi mi chiede se, avendo una bacchetta magica, vorrei guarire mia figlia rispondo che non lo farei mai. Lei è perfetta così e poi la perfezione non esiste”. Vaglielo a dire, a chi si scansa per non essere contagiato, a chi magari pensa, vedendo una bambina con Trisomia 21, perché ‘poverina, come sta?’. 

Luca e Alba Trapanese 

Eppure Alba ha 7 anni, va a scuola, ha imparato a sciare, suona il pianoforte, ama la musica, fa sport, balla, canta, scopre il mondo. Perché non è malata, lei non soffre la sindrome di Down con cui è nata. Semplicemente questa la rende in qualche modo diversa dai suoi coetanei, non incapace. Non alcuna possibilità di diventare una persona realizzata, secondo alcuni? No, se a negarle queste possibilità di vita è la società, è lo Stato, che non riesce a vedere oltre la sua disabilità e spesso confonde anche quella con una malattia invalidante.

Ne parliamo con Luca Trapanese, questa volta non in veste di assessore del comune di Napoli o di membro del nostro comitato scientifico, bensì di papà di una bambina bionda tutta pepe che ha adottato quando non aveva nemmeno un mese di vita. Una bambina voluta, amata e cresciuta in una famiglia che se ne prende cura e la stimola perché trovi la sua strada nel miglior contesto possibile. 

“Bisogna lavorare per cambiare la società – spiega il 47enne –, fare in modo che ci siano leggi giuste, che ci siano strumenti giusti per le famiglie e per chi ha la sindrome di Down. Oltre a tutto quello che manca è in primis un problema culturale”.

Luca e Alba Trapanese (Instagram)
Luca e Alba Trapanese (Instagram)

L’intervista 

Oggi è la Giornata internazionale sulla sindrome di Down: è importante che esistano ricorrenze come questa?

“Io non sono a favore delle Giornate, ho paura che sia solo una giornata celebrativa e tutti poi se ne lavano le mani e si sentono apposto con la coscienza. Questa giornata può essere importate laddove noi iniziamo a fare una promozione culturale della sindrome di Down, con un cambiamento non solo dal punto di vista socio sanitario. Le persone fanno ancora fatica a capire che non è una malattia e quando mi presentano come padre di Alba dicono che lei ‘soffre di sindrome di Down’. Questo verbo che è sbagliato, io soffro di mal di pancia ma chi ha la sindrome di Down non è in sofferenza, è un modo di essere. Quindi questa giornata può avere un valore culturale laddove insegna a chi non ha contatti col tema cos’è la sindrome di Down”.

Ecco, partiamo dal ribadire che non si tratta di una malattia.

“Già noi facciamo fatica a capire chi è malato e chi disabile, poi la sindrome di Down la collochiamo – perché fisicamente queste persone sono diverse – in qualcosa che non va presa come un modo di essere ma come malattia. Ma Alba non è malata, le persone con la sindrome di Down sono diverse ma sono prima di tutto persone”.

Nel video “Assume That I can” si mostra il pregiudizio secondo cui una persona con sindrome di Down non può fare determinate cose: ma nella realtà succede davvero?

“Assolutamente si. Quel video racconta vari livelli sociali in vari contesti: c’è la barista ‘ignorante’ sulla sindrome di Down, c’è la scuola inadeguata, c’è una famiglia che ha paura di mettere nella società la figlia perché sa, ed è questo il tema, che la società è impreparata.

Io spero che un giorno Alba non frequenti nessuna associazione ma che sia una donna che possa avere il suo lavoro, la sua vita autonoma, possa vivere la sua sessualità, avere la sua casa. Questa è la vera vittoria, far scomparire le associazioni perché significherebbe che la sindrome di Down non è più un tema ma una caratteristica di una società”.

Padre e figlia (Instagram)
Padre e figlia (Instagram)

Le famiglie di bambini e adolescenti con sindrome di Down sono spaventate dal futuro che aspetta i loro figli. Anche lei ha timore per Alba?

“Certo, da genitore ho paura e faccio fatica a pensare di dire ad Alba: ‘Vai, ti prendo una casa, trovati un lavoro, cammina per strada da sola, ce la puoi fare’, perché non è così. Perché quando sarà grande so che non ci sarà uno Stato che penserà ad accompagnarla nella sua autonomia.

A partire dalla scuola, che non pensa a una vera formazione. Ancora oggi – e non voglio fare polemica ma va detto – le insegnanti scelgono di fare sostegno perché è un trampolino di lancio per entrare nel circuito e andare a insegnare altro e non hanno nessuna competenza, perché sono laureate in altro. Eppure una bambina come Alba dovrebbe avere una persona che la segue super formata, che sappia tirarle fuori tutto quello che lei ha per metterlo poi in pratica. Se mi trovo un insegnante di sostegno che non conosce la differenza tra sindrome di Down e autismo ma come può aiutarla a diventare una ragazza e poi una donna?”.

E per quanto riguarda il lavoro? Lì non vede qualcosa di positivo in questo senso?

“Il mondo del lavoro quando è veramente inclusivo? Perché la legge sull’inserimento delle persone disabili è molto palliativa, presuppone che tu debba avere il 37% di invalidità ma una cosa è essere invalido e una cosa essere disabile. Allora perché non pensiamo a un vero inserimento lavorativo specifico per una serie di disabilità? Non a caso quel video (Assume That I Can) è prodotto negli Stati Uniti dove vediamo che chi la sindrome di Down può fare la modella come l’attore, lavora in tutte le categorie immaginabili. Noi qua quando li mettiamo solo nei bar e nei ristoranti, perché è la cosa più facile”.

Prima citava anche la sessualità, un tabù tra i tabù quando si collega alla disabilità.

“Sì perché parliamo di persone che mangiano, dormono, respirano, lavorano e vogliono fare sesso per piacere, per innamorarsi. Le persone disabili non sono bambolotti ma non c’è in Italia uno Stato che le riconosca come persone e che cerchi di sfruttare al massimo le loro potenzialità per inserirle appieno nella vita”.

Luca e Alba Trapanese
Luca e Alba Trapanese

Secondo lei da dove bisogna partire per cambiare le cose?

“C’è bisogno di un cambiamento a più livelli, sociale e culturale in primis. Questo significa che mia figlia, e tutti i bambini come lei, può avere una prospettiva ma questo non dipende da una madre o da un padre bravi, dipende da una società che dà le possibilità. Io per esempio sono contro la legge del ‘Dopo di noi’, perché è sbagliata l’intitolazione stessa, perché è sfortunata. Io come genitore voglio che mia figlia sia realizzata non dopo di me, ma quando ancora ci sono. Un nome che darei è ‘Pensami da adulta’. Se noi guardiamo ai bambini disabili come adulti futuri dobbiamo immaginare ciò che servirà loro da adulti non quando saremo morti ma oggi.

Poi c’è chi potrà fare meno e chi più, chi non sa fare qualcosa e chi sì, ma questo fa parte della vita di tutte le persone. Perché sono persone, questa è la prima cosa! Dobbiamo lavorare affinchè ci sia, nello Stato, consapevolezza degli strumenti che oggi abbiamo per qualificare le persone con sindrome di Down, che sono scarsi: basti pensare che a 18 anni Alba riceverà una pensione di 850 euro per vivere autonomamente, che non basterebbero a nessuno figuriamoci a una persona con disabilità. Se non ha alle spalle una famiglia che la sostenga anche dopo la morte non è possibile”.

Passiamo alle cose serie: quali sono le passioni di sua figlia?

“Sicuramente le sta ancora scoprendo, le scopriamo insieme. Alba ama la musica, fa un corso e si sta orientando fra il pianoforte e la chitarra. Poi fa un laboratorio di ginnastica artistica coi bambini della sua classe. Alba è molto energica come bambina: la metti a colorare mezz’ora e poi per tre ore ti potrebbe cantare tutto Sanremo, segue Loredana Bertè, i Ricchi e Poveri, Emma, Alessandra Amoroso, del brano di Mahmood sa fare tutta la coreografia. Mi anticipa quali canzoni andranno di moda, è un’esperta di musica”.

Alba ha un papà che la sostiene e stimola le sue potenzialità, ma abbiamo già detto quanto sia difficile per i tanti bambini con sindrome di Down nell’Italia di oggi. Cosa si augura?

“Deve cambiare il sistema. Siamo ancora legati prima all’apparenza che alla sostanza. Io ho scelto di essere sui social con Alba in modo importante perché abbiamo bisogno di fare cultura sulla famiglia, sulla genitorialità, sulla sindrome di Down, e secondo me bisogna far capire ai genitori che avere una figlia con sindrome di Down non è una sventura ma un’opportunità. Mi chiedono spesso: ‘Se tu avessi la bacchetta magica tu la vorresti guarire?’ Mai, rispondo io, sennò non sarebbe Alba, che è perfetta così com’è. Perché noi non dobbiamo rendere perfetto tutto, la perfezione non esiste, esiste la normalità. E dobbiamo dare la possibilità di convivenza a tutte le diversità”.