Pena di morte: a che punto siamo nella lotta per abolirla? Facciamo il punto con Nessuno tocchi Caino

La realtà, ideata dal radicale Marco Pannella, contribuisce a monitorare e limitare il numero di esecuzioni capitali nel mondo

di MARCO PILI
23 febbraio 2025
Nel mondo, 16 paesi hanno praticato la pena di morte nel 2023 (ANSA)

Nel mondo, 16 paesi hanno praticato la pena di morte nel 2023 (ANSA)

La nostra è una struttura biodegradabile, speriamo di liberarci quanto prima dalla pena di morte nel mondo”, afferma Elisabetta Zamparutti, tesoriera dell’associazione Nessuno tocchi Caino. L’Ong, riconosciuta dallo Stato italiano per la sua lotta alle esecuzioni capitali, si occupa di tracciare tutte le applicazioni della pena di morte al mondo, promuovendo l’istituzionalizzazione di norme in grado di limitare un fenomeno particolarmente diffuso. Attività alle quali l’associazione affianca iniziative di tutela dell’ecosistema carceri, un ambiente che, anche in Italia, versa in profonda crisi. Ne abbiamo parlato proprio con la responsabile delle finanze dell’ente.

Quando è nata e quali sono gli obiettivi dell’associazione Nessuno Tocchi Caino? “L'associazione nasce a inizio anni ’90 da un'idea di Marco Pannella, che affida a Sergio d’Elia, attuale segretario dell’ente, il compito di condurre una campagna per il superamento della morte di Stato, anzi, per mano dello Stato, in particolare proponendo una risoluzione all'Assemblea generale dell'ONU. Lì, l’isola di Vanuatu ha un solo voto proprio come la Cina, ed è il luogo perfetto per promuovere una moratoria universale delle esecuzioni capitali. La moratoria è il primo passo in vista dell'abolizione, un passaggio intermedio, perché chiedere oggi alla Cina di abolire la pena di morte rischia di risultare velleitario. Un obiettivo, questo della moratoria universale all'ONU, che conseguiamo nel 2007. Dopodiché, ogni due anni l'Assemblea viene chiamata a votare nuovamente questo testo con un consenso sempre crescente. Un provvedimento che ha un valore politico e morale enorme, tant'è che ormai il processo abolizionista è irreversibile. A livello internazionale l’associazione ha dei punti di riferimento, ma non detiene un’organizzazione strutturata in sezioni. Siamo molto flessibili, la nostra è una concezione di organizzazione che vuole essere biodegradabile. Speriamo di liberarci quanto prima dalla pena di morte”.

Qual è lo stato attuale della pena di morte nel mondo? Può fornirci alcuni dati? “I dati relativi al 2023 indicano che gli stati ‘abolizionisti completi’ sono 113, mentre quelli che l'hanno abolita per crimini ordinari sono 9. Significa che la mantengono magari per legge militare, ma non la praticano ormai più. Gli ‘abolizionisti di fatto’, cioè che non la praticano da almeno 10 anni, sono ben 43. Questo fa sì che i paesi mantenitori, che la praticano o che l'hanno praticata negli ultimi dieci anni, sono solo 34. Nel 2023, i paesi ad averla praticata sono stati solo 16. All’interno di quest’ultimo insieme, la maggior parte è costituita da paesi totalitari e illiberali, se si escludono ovviamente gli Stati Uniti, il Giappone, il Botswana e Taiwan, anche se questo non è membro ONU. Dunque, le democrazie pienamente riconosciute all’interno dell’ONU che praticano ancora la pena di morte sono Stati Uniti, Giappone e Botswana, mentre i paesi che la mantengono nel loro ordinamento sono 68. Se andiamo a vedere anche i dati sul numero di esecuzioni, risulta ancor più evidente che il superamento della pena di morte attiene all'affermazione dello Stato di diritto e di un regime democratico. Gli stessi Stati Uniti, dove ancora si praticano le esecuzioni capitali, hanno ridotto drasticamente il numero delle uccisioni che ormai si limitano unicamente agli Stati conservatori del sud come Texas e Missouri. Ad esempio, le esecuzioni compiute lo scorso anno negli Stati Uniti sono state 24, su un valore mondiale di 3.173. Nel 2023, come anticipato, i paesi che hanno eseguito questa pratica sono stati solo 16, un numero decisamente ridotto rispetto agli anni precedenti”.

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Qual è il rapporto tra i vertici di un triangolo formato da pena di morte, forma di Stato e religione, elementi spesso confusi dall’opinione pubblica? “Il superamento della pena di morte attiene all'affermazione dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti umani. I paesi che la praticano sono fondamentalmente paesi totalitari. Al primo posto troviamo la Cina, con almeno 2.000 esecuzioni l’anno, anche se in drastica diminuzione. Le si contrappone l'Iran che, nel 2023, ha giustiziato almeno 882 persone, mentre nel 2024 è arrivato a giustiziarne quasi 1.000, 3 al giorno circa in media. Infine, troviamo l'Arabia Saudita. In questi paesi, il contenimento della pena di morte riguarda proprio lo sviluppo di uno Stato democratico, di principi orientati al rispetto dei diritti umani universalmente riconosciuti. Al 99.9%, dunque, la pena di morte si pratica in paesi totalitari e illiberali. Relativamente alla religione, noi abbiamo sempre affermato che la moratoria non vuole dividere il mondo tra civili incivili, tra musulmani e cristiani, o quant'altro. In paesi come l’Iran, primatista nel rapporto tra numero di esecuzioni e popolazione, è presente un vero e proprio uso politico della religione a fini repressivi e politici. È come se noi mettessimo a Codice penale la Bibbia, andando a leggere non il passo del ‘nessuno tocchi Caino’, ma il ‘passo dell'occhio per occhio’. Questa è una scelta di tipo politico. Nel passo biblico dal quale la nostra associazione riprende il nome viene esplicitato un concetto di giustizia non vendicativa nel quale la religione non assume una dimensione violenta. C'entra, al contrario, una politica che intende essere reazionaria e si giustifica attraverso richiami a temi religiosi interpretati in una maniera retrograda, violenta e reazionaria”.

Come viene declinata l'attività dell'associazione in Italia, dal momento in cui la pena di morte non risulta in vigore? “Nessuno tocchi Caino, anche grazie a questa battaglia per la moratoria, ha contribuito nel 1994 all’abolizione della pena di morte per reati militari, e nel ’96 alla cancellazione di ogni suo riferimento dalla Costituzione. Sul nostro territorio, il nostro impegno viene declinato attraverso un'attività di monitoraggio costante. Negli ultimi due anni abbiamo visitato 220 carceri per conosce e far conoscere le condizioni di vita dei detenuti sicuramente, ma anche di chi lavora in carcere. Pannella li chiamava i ‘detenenti’, e anche loro vivono una condizione di sofferenza strutturale. La struttura carceraria italiana è estremamente sovraccarica rispetto alle capacità regolamentari, con 15.000 detenuti in più e 18.000 agenti penitenziari in meno. La carenza di organico e le condizioni dei carcerati sono problemi che cerchiamo di porre all'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni competenti, a partire dallo stesso Parlamento. Iniziative, dunque, volte a conoscer e a far conoscere, alle quali abbiamo affiancato anche un dibattito sul problema della pena fino alla morte, cioè l'ergastolo. Il nostro impegno sul carcere ubbidisce alla necessità di cambiare il paradigma che ispira le politiche di risposta al reato poiché negli istituti, in relazione alla pena di morte, così come nella pena fino alla morte, così nella morte per pena, è presente una componente punitiva decisamente prevalente, che rafforza un forte paradigma patibolare. La pena fino alla morte, ad esempio, ti cancello civilmente, non ti uccide, ma ti cancella dalla società. Infine, è presente anche la morte per pena, la quale rappresenta un carcere che togliere il senso della vita”.

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L’Iran è sicuramente il caso più complesso da risolvere oggigiorno, perché il numero di esecuzioni è spaventoso e in costante crescita. Tanto più è in difficoltà il regime tanto più ricorre alla pena di morte, così come ad atti repressivi e oppressivi per fini meramente politici e di repressione di ogni forma di dissenso. Attualmente attuiamo un'iniziativa volta ad evitare che gli oppositori politici siano giustiziati, ed è il ‘martedì contro le esecuzioni’. È una manifestazione che nasce un anno fa dai bracci della morte iraniani, dove i detenuti politici condannati a morte ogni martedì fanno lo sciopero della fame. Tramite questa iniziativa, che si è espansa fino a coinvolgere ben 34 carceri, la tematica è riuscita a travalicare i confini iraniani. Io ogni mercoledì aderisco a questa iniziativa, un modo nonviolento per dire no alla pena di morte in Iran, la quale costituisce il problema più grave quando parliamo di pena di morte oggi. Nessuno tocchi Caino ha recentemente aggiunto un riferimento alla sua denominazione, la frase ‘spes contra spem’, che vuol dire ‘essere speranza contro avere speranza’. Vuol dire incarnare quel cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, un qualcosa di potentissimo rispetto al contesto carcerario e detentivo, un concetto che rinsalda il diritto alla speranza”.