In Iran è stata bloccata la legge sulla “promozione della cultura della castità e dell'hijab”. Il presidente Massoud Pezeshkian ha deciso, insieme al Consiglio Nazionale della Sicurezza iraniano, di non promulgare la controversa misura che impone un rigido codice di abbigliamento che sarebbe dovuta entrare in vigore venerdì il 13 dicembre, dopo il via libera del Parlamento. Lo hanno riportato Bbc e Rfi.
C'era un certo grado di incertezza riguardo a questa legge, tanto che lo stesso Pezeshkian ha definito “ambigua e bisognosa di riforme”, segnalando l'intenzione di rivalutarne le misure ancor prima della data ufficiale di promulgazione, perché avrebbe potuto provocare numerose tensioni nella società. La norma, infatti, introdurrebbe pene più severe per le donne e le ragazze che lasciano scoperti i capelli, gli avambracci o la parte inferiore delle gambe ed è stata fortemente criticata dagli attivisti per i diritti umani. In base al nuovo codice le recidive e chiunque ignori volontariamente le regole rischia multe più salate e pene detentive più lunghe, fino a 15 anni di carcere. La legge prevede inoltre che le aziende denuncino chiunque violi le regole. I gruppi per i diritti umani hanno espresso allarme. Amnesty International ha dichiarato che le autorità iraniane stanno “cercando di rafforzare il già soffocante sistema di repressione”.
Farid Vahid, co-direttore dell’Osservatorio del Nord e del Medio Oriente e della Fondazione Jean Jaures, intervistato da Le Figaro, ha spiegato che la legge mira a “sostenere la famiglia” e a “promuovere la cultura dell’hijab”. Inoltre ha segnalato che il testo punisce anche “i complici”. "L’autorità giudiziaria potrebbe, se la legge fosse promulgata, decidere di chiudere ristoranti, caffè, negozi, cinema o musei nei quali le trasgressioni fossero accertate”. Per essere applicata è stato previsto l’uso di telecamere o di intelligenze artificiali “in grado di rilevare fotografie sui social media, tutti strumenti di sorveglianza ispirati dalla Cina”, ha riportato il co-direttore.
I rigidi codici di abbigliamento imposti alle cittadine iraniane, che per decenni sono stati considerati una priorità per la sicurezza nazionale, hanno già scatenato violente proteste in passato, a partire da settembre 2022, scatenate dalla morte di Mahsa “Zhina” Amini, una giovane curda morta per mano della polizia morale. Negli ultimi due anni, molte giovani donne iraniane si sono tolte l'hijab in pubblico, sfidando l'autorità del governo. Durante le elezioni presidenziali di luglio anche l'allora candidato Pezeshkian aveva criticato apertamente il trattamento riservato alle donne per la questione dell'hijab. Ha promesso di non interferire nella loro vita privata, una posizione che rispecchia quella di molti iraniani, soprattutto tra le giovani generazioni frustrate dal rigido controllo del governo. Anche Masoumeh Ebtekar, ex vicepresidente per le donne e gli affari familiari, ha criticato la legge, affermando: “La nuova legislazione è un atto di accusa nei confronti di metà della popolazione iraniana”.
Il dibattito sull’obbligo del vele ha preso ulteriore slancio la scorsa settimana, quando Parastoo Ahmadi, una popolare cantante iraniana, è stata arrestata dopo aver trasmesso su YouTube un concerto virtuale senza indossare l'hijab. Lo show è diventato immediatamente virale e l'arresto della donna e dei colleghi della band ha scatenato ampie reazioni internazionali. Di fronte alla protesta dell'opinione pubblica, le autorità li hanno rilasciati il giorno successivo.La scorsa settimana, più di 300 attivisti, scrittori e giornalisti iraniani per i diritti hanno condannato pubblicamente la nuova legge sull'hijab, definendola “illegittima e inapplicabile” ed esortando Pezeshkian a rispettare le promesse fatte in campagna elettorale.