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In Iran il numero di esecuzioni avvenute nel 2022 è drammaticamente aumentato. Lo rivela un report rilasciato giovedì dal gruppo IHR-Epcm (Iran Human Rights e Together Against Death Penalty), composto da associazioni che si occupano di diffondere informazioni sulla pena di morte. "È il dato più alto dal 2015", si legge nelle prime righe del documento, a testimonianza di quanto il trend delle condanne -prima in diminuzione- si sia rinvigorito, in particolar modo a causa delle proteste che da settembre stanno sconvolgendo il Paese. Le autorità locali, però, stanno provando a nascondere questa strage. Se nel triennio 2018-2020 i funzionari di polizia avevano annunciato pubblicamente il 33% dei casi, questa percentuale è scesa al 16,5% nel 2021 e al 12% nel 2022. Nell'ultimo anno analizzato, le ufficialità riportate sono state solo 71. Dunque, l'88% delle morti è stato nascosto, testimoniando la volontà degli autocrati di non far circolare notizie sulla terribile repressione in atto. La ricerca ha evidenziato come il regime degli Ayatollah stia utilizzando la pena capitale al fine di terrorizzare la popolazione, instillando la paura necessaria per mantenere saldo il potere e frenare le insurrezioni. La dittatura teocratica, tornata al potere nel 1979 dopo la rivoluzione religiosa, ha da subito basato il suo ordinamento di leggi sul Corano. La legge sacra prevede l'ampio uso della massima pena, utile a punire molteplici capi d'accusa.
Nonostante il 44% delle sentenze totali siano arrivate per reati inerenti allo spaccio, le associazioni che monitorano il narcotraffico internazionale non hanno riscontrato alcun incremento nelle rilevazioni su base mensile, ipotizzando un depistaggio ad opera dei funzionari persiani per nascondere la reale violenza della repressione. Più del 50% delle uccisioni operate dallo Stato sono avvenute dopo l'inizio delle sommosse, rendendo inusuale un aumento così circoscritto dei reati correlati al mercato della coltivazione di sostanze psicotrope. Il direttore del gruppo IHR, Mahmood Amiry-Moghaddam, ha affermato che il regime avrebbe perseguito molte più persone se non fosse stato per le reazioni internazionali avverse al suo modus operandi, le quali avrebbero "reso difficile il proseguimento dei provvedimenti di custodia per la Repubblica iraniana dell'Islam".
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Le proteste interne non si placano, nonostante la dura repressione
L'Iran in balia della violenza: dalle proteste alle esecuzioni
Mohsen Shekari è stato il primo ragazzo impiccato per aver preso parte alle sommosse dei mesi scorsi, scaturite dall'assassinio di Masha Amini da parte della polizia morale. La condanna ufficiale è stata comminata per aver "combattuto una guerra contro Dio", in quanto Shekari aveva picchiato un agente di uno dei gruppi paramilitari chiamati a sedare i tumulti. Anche, Majidreza Rahnavard è stato ucciso per aver preso parte alle violente proteste di novembre, avendo ferito mortalmente due soldati, e in modo grave altri quattro commilitoni appartenenti a una milizia religiosa parastatale. L'Ayatollah Ali Khamenei, in risposta al personale ferito nella repressione, ha apertamente pregato per loro in un'azione di disapprovazione morale e politica nei confronti dei rivoltosi.
Il padre di Masha Amini si stringe per mano con il padre di Mohammed Hemhdi Karimi, uno dei primi ragazzi impiccati in seguito alle proteste