Il grido d’allarme lo aveva lanciato l’Ocse nel gennaio 2021, quando il tasso di
disoccupazione giovanile in Italia aveva raggiunto il
33,8%. Nel novembre del 2022 il dato era calato di dieci punti, arrivando al 23%. Di contro erano aumentati gli
inattivi e quelli che non cercano lavoro: il 34,5%. E oggi, nella ricorrenza dedicata appunto a tutti i lavoratori, il
Primo Maggio, la situazione non appare certo migliorata.
Il lavoro in Italia non è un fatto per giovani
L'Italia ha il triste primato europeo di Neet, ragazzi e ragazze che non studiano, non lavorano né cercano attivamente un'occupazione
In particolare il nostro Paese detiene il triste
record dei Neet (Not in education, employment or training), quello cioè dei giovani che non studiano e non lavorano, ma che neppure cercano attivamente un impiego. Secondo i dati
Eurispes, in Italia sono il
25,1%, a fronte del 18,6% della Spagna, del 19% della Bulgaria e del 21% della Grecia. Per trovare percentuali peggiori alle nostre si deve uscire dall'Europa. Sono solo tre i Paesi dove i Neet sono in numero maggiore rispetto all'Italia: Turchia (33,6%), Montenegro (28,6%), Macedonia (27,6%).
Neet: chi sono e dove si trovano
Il rapporto Eurispes pone l'accento sul fatto che la situazione sia in gran parte dovuta alla
pandemia, che avrebbe scavato
un solco tra le varie generazioni. Non solo: il divario è anche
di genere e
geografico. Dei
3.085.000 Neet in Italia, ben 1,7 milioni sono infatti
donne. Mentre la maggior parte dei giovani senza lavoro si concentra al sud: Sicilia (30,3%), Calabria (28,4%), Campania (27,3%), Puglia (23,6%), Sardegna (21,8%), Molise (20,3%). Senza contare la "fuga dei cervelli", con numeri crescenti anno dopo anno: erano più di 50mila i ragazzi (15-34 anni) andati via soltanto nel 2019, alla vigilia della pandemia, secondo dati del Rapporto Migrantes sugli "Italiani nel mondo".
Degli oltre 3 milioni di Neet in Italia, ben 1,7 milioni sono donne e la maggior parte si concentra al Sud
E certamente a lenire questo quadro non servono le
aree professionali in cui il lavoro è soprattutto
giovanile. Tra queste al primo posto, ovviamente, gli atleti (hanno meno di 40 anni nel 98% dei casi), seguiti dai tecnici del web (76%) e dal personale non qualificato nei servizi ricreativi e culturali (74%). Al quarto posto si posizionano i bagnini (70%) e al quinto i camerieri (67%).
Un quadro preoccupante. Ma quali sono le cause?
Secondo gli esperti, innanzitutto un
tasso elevato di abbandono scolastico; e poi il fatto che pochi hanno competenze tecniche o quelle che hanno sono sbagliate, anche perché i programmi scolastici e universitari non possono cambiare alla stessa velocità delle evoluzioni scientifiche, tecnologiche, sociali ed economiche. E poi ci sono le condizioni stesse del mercato del lavoro in Italia, che sono decisamente
sfavorevoli per gli under 35. Qualora occupati, infatti,
guadagnano decisamente meno dei 50enni, 11.456 euro lordi se maschi e 8.063 se femmine tra i 20 e i 24 anni in media.
Tempo determinato, indeterminato e part time
Visto che la massima parte delle occasioni lavorative loro offerte sono soprattutto stage, tirocini, e lavori temporanei di poche ore o stagionali. In generale, nel nostro Paese il
45% degli occupati di 15-29 anni lavora con un
contratto a termine. Mentre la probabilità di un giovane in età 25-39 anni di passare da un contratto a termine a un contratto a tempo indeterminato è molto bassa: solo 7%, contro una probabilità più che tripla in Danimarca, Portogallo e Ungheria, e più che doppia in Bulgaria, Svezia, Spagna e Finlandia. Ovviamente il lavoro part-time non è necessariamente un male quando è volontario e i dati mostrano che anche tra i ragazzi italiani la quota di occupati a tempo parziale è sostanzialmente in linea con la media europea (23,8% contro 22,6%).
Gli under 35, oltre alle difficoltà nel trovare un impiego, qualora occupati lo sono a condizioni meno favorevoli dei dipendenti più anziani
Ma se consideriamo la sola
componente involontaria del part-time, ecco che il nostro Paese si posiziona nettamente al primo posto della graduatoria, e la distanza rispetto alla media europea aumenta a dismisura: 78,3% in Italia contro il 25,7% della media EU27. Anche in questo caso passare da un part time a un full time è spesso uno scoglio difficile da superare: solo il 7% in Italia ci riesce, contro una probabilità più che tripla in Danimarca, Portogallo e Ungheria, e più che doppia in Bulgaria, Svezia, Spagna, Finlandia e Belgio. Va ancor peggio per i
ruoli apicali e le
carriere più ambite. In Italia attualmente solo il 14% dei dirigenti ha meno di quarant’anni, contro il 31% della media europea. I nostri giovani manager sono meno della metà rispetto a quelli della Francia, dell’Austria, del Belgio, dell’Irlanda della Grecia e dei Paesi Bassi.