Prospettive globali sulle disuguaglianze: di chi ci preoccupiamo e quanto ci interessano?

L'Ipsos Equalities Index ha preso in esame 33 Paesi e il modo in cui in essi la popolazione percepisce le differenze di trattamento riservate ad alcune categorie sociali

di FRANCESCA PETRELLA -
19 luglio 2023
ipsos equalities index

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Le disuguaglianze sono una realtà sempre più evidente nelle società contemporanee. Rappresentano una disparità significativa nelle opportunità, risorse e diritti tra individui e gruppi. Il problema delle disuguaglianze è una questione di grande rilevanza sociale ed economica, che richiede un'attenzione particolare. L'Equalities Index, il nuovo studio condotto da Ipsos in 33 Paesi, indaga il modo in cui le persone percepiscono le disuguaglianze, le discriminazioni subite da diversi gruppi, come valutano i progressi compiuti e chi pensano dovrebbe essere responsabile per rendere la società più giusta.

Chi viene maggiormente discriminato?

In media nei 33 Paesi presi in esame, il 52% delle persone considera le disuguaglianze una questione importante da affrontare (la stessa percentuale la registriamo anche in Italia).
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Ipsos Equalities Index 2023

Tra i gruppi considerati più discriminati, le persone con disabilità fisica sono indicate come quelli che subiscono la discriminazione più grande. A seguire troviamo donne, persone affette da disturbi mentali e persone appartenenti alla comunità Lgbt+. In Italia, sono le donne e le persone appartenenti alle minoranze sessuali quelle indicate come le più discriminate, seguite da persone con disabilità fisica e immigrati.

Parliamo di generazioni

Dall’Ipsos Equalities Index emerge (ma forse non è una sorpresa) che la GenZ (che comprende i nati tra il 1996 e il 2012), è la generazione più sensibile alle disuguaglianze rispetto alle altre. Nello specifico, però, ogni generazione successiva ha maggiori probabilità di considerare le disuguaglianze un problema importante nel proprio Paese rispetto alla precedente. I Baby Boomers (definiti qui come le persone nate tra il 1945 e il 1965) sono l'unica generazione in cui la maggioranza assoluta non le vede come un problema molto serio da affrontare. Se confrontate con le generazioni precedenti, per i più giovani sta venendo meno l’idea del “se vuoi puoi”: sono sempre più scettici riguardo l'idea di vivere in una società meritocratica e sono più propensi a credere che i fattori strutturali (cioè le cose che sfuggono dal proprio controllo diretto) siano più importanti nel determinare il successo che avranno nella vita.
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Ipsos Equalities Index 2023

La GenZ è anche più propensa a credere che una società veramente giusta sia quella che si basa sul principio di equità, piuttosto che su quello di uguaglianza. Infatti, mentre l'uguaglianza significa fornire lo stesso a tutti, l'equità significa riconoscere che non tutti partiamo dallo stesso punto e dobbiamo riconoscere e apportare modifiche agli squilibri. A queste tendenze generali ci sono alcune eccezioni degne di nota che riguardano l'ageismo e il genere. La prima vede i più giovani meno inclini a considerare gli anziani come un gruppo discriminato. In particolare, la GenZ è l'unica generazione a pensare che i giovani siano trattati peggio degli anziani. La seconda eccezione riguarda la parità di genere. Abbiamo scoperto che i più giovani sono meno propensi a credere che le donne siano tutt’oggi discriminate. Questo è un segnale che integra alcune delle scoperte fatte nel nostro sondaggio svolto in occasione della Giornata Internazionale della Donna, che conferma la crescente sensazione tra i più giovani che gli uomini siano trattati ingiustamente. Anche se a pensarlo è solo una piccola minoranza (la pensa così solo l'8% della GenZ), c'è una chiara tendenza se guardiamo alle varie generazioni: i Baby Boomers, ad esempio, hanno solo la metà delle probabilità di avere questa opinione (4%).

Uomini e donne: su pianeti diversi

In generale, se confrontiamo le opinioni delle donne con quelle degli uomini notiamo che le prime sono più sensibili ai temi relativi alle disuguaglianze. In particolare, indicano le persone con disabilità, neurodiversità, problemi di salute mentale e coloro che si identificano come Lgbt+, come i gruppi più discriminati. Mentre quando parliamo di razzismo e xenofobia, di ageismo, pregiudizio religioso non c'è alcuna differenza significativa nel modo in cui uomini e donne vedono questi problemi.
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Le donne sono più sensibili degli uomini, in generale, alle disuguaglianze

Razzismo: sotto i riflettori o in ombra?

La lunga impronta lasciata dalle ingiustizie storiche è molto chiara nei nostri dati: i Paesi in cui sono state sfollate popolazioni indigene significative (come la Nuova Zelanda, il Perù, il Brasile e il Sudafrica), quelli con una storia di schiavitù razziale e/o di discriminazione legalizzata su base razziale (come gli Stati Uniti, il Sudafrica e il Brasile) e quelli con un alto grado di diversità etnica (come l'Indonesia e i Paesi Bassi) tendono a essere più sensibili a questo tema. Al contrario, i Paesi più omogenei dal punto di vista etnico (come il Giappone e la Corea del Sud) sono molto più tranquilli al riguardo.

La conoscenza apre lo sguardo

A prima vista, uno dei risultati più sorprendenti è quello che vede le persone più ricche e con maggiore istruzione come quelle più sensibili alla questione delle disuguaglianze. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, non solo sono più propensi a riconoscere il problema, ma sono anche coloro che dichiarano che si dovrebbe fare di più per combatterle. Le persone più abbienti sono anche più propense nel pensare che sia giusto garantire che ogni individuo abbia un accesso equo alle risorse e alle opportunità necessarie per raggiungere risultati simili.
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Le persone più ricche e con maggiore istruzione sono più sensibili alle disuguaglianze

A che punto siamo con la lotta alle disuguaglianze?

In generale tutti i Paesi oggetto dell’indagine (tranne che in Polonia) sono concordi nel dichiarare che bisogna fare ancora molto per colmare le disuguaglianze. Questo “molto altro” ovviamente varia da Paese a Paese. I Paesi che hanno fatto molto in tema di parità di genere, diritti Lgbt+ e che fanno i conti con le storiche ingiustizie razziali sono anche quelli in cui abbiamo riscontrato la sensazione più marcata che qualche progresso si sia fatto. Guardando alla responsabilità di attenuare o risolvere le disuguaglianze nella propria società, uno dei risultati più chiari e crudi è stata la convinzione diffusa e forte che il governo debba assumere la leadership per risolvere questi problemi. È stata la risposta più comune in tutti i Paesi e spesso con un margine molto ampio (66% come media globale). Al contrario, ben poca importanza viene data ai comportamenti individuali: le persone ritengono che i propri sforzi siano insufficienti a rendere la società più equa e giusta.