Nel giorno in cui gli Stati Uniti hanno eletto, ancora una volta dopo il 2016, Donald Trump come presidente, gli americani erano chiamati a votare anche per un’altra questione estremamente importante: il referendum sul tema dell'aborto per inserire il diritto all'interruzione di gravidanza nelle Costituzioni statali. Nello specifico si è votato in Arizona, Colorado, Florida, New York, Maryland, Missouri, Montana, Nevada, Nebraska e South Dakota.
Il referendum è andato bene quasi dovunque, infatti in 7 stati su 10 gli elettori si sono schierati a favore del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.
Florida, Nebraska e South Dakota
Flop del referendum sull'aborto in Florida, dove resterà in vigore il divieto per le interruzioni di gravidanza dopo le sei settimane. L’emendamento 4, che avrebbe annullato il divieto attualmente in vigore e ampliato l’accesso, non ha infatti raggiunto il 60% dei voti necessari per il quorum. Per il governatore Ron DeSantis è una vittoria importante, essendo lui a favore dei limiti più stringenti per le interruzioni di gravidanza.
Nebraska e South Dakota hanno invece votato per il no al referendum. Il Nebraska, tra l’altro, era l’unico stato in cui si tenevano due referendum sull’aborto – uno per mantenere la situazione attuale, l’altro per inserire il diritto all’aborto nella Costituzione fino alla 24esima settimana – e ha vinto il primo. In pratica, l’interruzione di gravidanza sarà legale solo fino alla 12esima settimana e vi si potrà ricorrere dopo solo in casi di emergenze mediche o se la gravidanza è frutto di uno stupro o di un incesto.
I sette Stati dove vince il diritto all’aborto
Diversa la situazione negli altri Stati chiamati al voto dove invece ha prevalso il sì al referendum: in Missouri, dove l’aborto è attualmente vietato salvo poche eccezioni, è stato approvato il provvedimento elettorale che modificherebbe la Costituzione dello Stato per garantire il diritto alla libertà riproduttiva; anche in Nevada ha vinto il sì, ma la procedura non è conclusa. Ora infatti il diritto all'aborto entra nella Costituzione dello Stato, ma gli elettori dovranno approvarla di nuovo nel 2026. Qui le ivg sono già accessibili fino a 24 settimane di gravidanza, con eccezioni per proteggere la vita o la salute della madre.
Sì all’aborto anche in Arizona, dove l’emendamento approvato ripristina la possibilità di effettuare un aborto fino a 24 settimane di gravidanza invece delle attuali 15. Nello Stato progressista di New York, dove il diritto è attualmente garantito, è stato approvato un emendamento che vieta la discriminazione sulla base degli “esiti della gravidanza”. Favorevoli alla pratica anche gli elettori di Colorado e Montana dove l’aborto è già permesso e tutelato. Nel Maryland, dove ha vinto il sì, è stato garantito il “diritto alla libertà riproduttiva, incluso ma non limitato alla capacità di prendere e attuare decisioni per prevenire, continuare o porre fine alla gravidanza dell'individuo”.
Pro vita:
Sul tema dell’aborto nei vari referendum americani e in generale sull’esito del voto alle presidenziali, è intervenuto Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia onlus: “La netta vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti – le sue parole – rappresenta una durissima sconfitta per l'agenda radicale su aborto e gender promossa dalla presidenza Biden e sponsorizzata da vip e media mainstream schierati con Kamala Harris in campagna elettorale. Il movimento Pro Life americano ha inoltre vinto battaglie cruciali in Florida, Nebraska e Sud Dakota – aggiunge Brandi – dove sono stati bocciati gli emendamenti costituzionali per estendere la legislazione pro-aborto. Il risultato delle elezioni americane incoraggia Pro Vita & Famiglia a continuare in Italia l'impegno per il diritto universale a nascere e per tutelare bambini e adolescenti dai danni dell'ideologia fender, senza farci intimidire dall'assordante propaganda trans-femminista e Lgbtq, minoranza nell'opinione pubblica”.