Serviva Gino Cecchettin per avere l’educazione affettiva in classe. Doveva morire l’ennesima ragazza per far capire che la scuola può e deve educare al rispetto. Solitamente è meglio tardi che mai, ma in questo caso era decisamente meglio prima (visto che per lei e per le molte altre ormai è tardi). In ogni caso, al di là delle polemiche, ben venga l’idea messa sul tavolo dalla Fondazione Giulia, che verrà presentata ufficialmente il 16 novembre alla Camera dei Deputati, e ben venga la risposta positiva del ministero. Ora ci aspettiamo che le parole prendano forma e concretezza.
“L’educazione al rispetto verso le donne – ha dichiarato Valditara al Corriere del Veneto – deve permeare l’intera attività didattica, non limitarsi alle 33 ore annuali di educazione civica previste per legge, anche attraverso laboratori”. Noi aggiungiamo che porre limiti – di qualsiasi natura, quindi anche di genere – al rispetto è riduttivo. Le parole “educazione affettiva” (da sole e insieme) contengono migliaia di sfumature e sarebbe auspicabile non perderne nemmeno una.
In cosa consisterebbe
Il progetto, così come pensato, dovrebbe essere coordinato da Paolo Crepet con la collaborazione di esperti e magistrati delle Procure minorili, e si articolerebbe in laboratori e attività. L’anno scorso il Ministero – prima che scoppiasse la polemica intorno alla nomina delle coordinatrici – aveva annunciato percorsi educativi extra-curriculari di 30 ore all’anno (laboratori e attività multidisciplinari). L’adesione, facoltativa per le scuole e subordinata al consenso dei genitori, prevede una partecipazione attiva dei docenti, che dovrebbero essere formati a loro volta dall’Indire e da professionisti qualificati. Agli insegnanti spetterebbe poi il compito di moderare confronti e dibattiti in classe, tra studenti e studentesse.
Sarebbe previsto – e menomale – anche un coinvolgimento delle famiglie attraverso la collaborazione tra il Fonags e la Direzione generale per lo studente.
Il commento del governatore Zaia
“I ragazzi vanno lasciati liberi di esprimersi nei modi leciti che ritengono e noi adulti dobbiamo ascoltare i loro messaggi. Non importa se espressi con un minuto di silenzio o con uno di rumore – ha detto il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia – È giusto lasciar loro la libertà di decidere, ognuno se sia più significativo fare silenzio o rumore. Come adulti abbiamo il dovere di ricercare una nuova sintonia con loro indicando la strada giusta, ma lasciando che la percorrano a modo loro”.