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Home » Attualità » Svolta arcobaleno in Giappone: aperto a Tokyo un registro per le unioni civili delle coppie omosessuali

Svolta arcobaleno in Giappone: aperto a Tokyo un registro per le unioni civili delle coppie omosessuali

L’iscrizione è aperta a tutti i cittadini maggiorenni residenti nell’area metropolitana della capitale. Ottenuto il certificato potranno godere di alcuni servizi pubblici, ma la parità dei diritti con le coppie etero è ancora lontana

Nicolò Guelfi
3 Novembre 2022
A Tokyo aperto il registro per le coppie omosessuali che si uniscono civilmente

A Tokyo aperto il registro per le coppie omosessuali che si uniscono civilmente

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Nel Paese del Sol Levante sorge l’alba dei diritti civili. Una bella notizia per la comunità Lgbtq+ in Asia: dal primo di novembre, a Tokyo, sono disponibili certificati per le unioni civili tra persone dello stesso sesso. L’11 ottobre la prefettura della capitale nipponica ha istituito un registro per il riconoscimento delle coppie omosessuali, divenuto poi attivo dall’inizio del mese successivo. L’iscrizione è aperta a tutti i cittadini maggiorenni residenti nell’area metropolitana della capitale, i quali, una volta ottenuto il certificato, avranno la possibilità di vivere insieme al partner negli alloggi di proprietà del Comune. Procedure simili sono già operative in altre sedici prefetture ma secondo gli attivisti l’applicazione dei sistemi di certificazioni a Tokyo è una pietra miliare per la comunità Lgbtq+ e per le minoranze sessuali nel Paese. Perché si tratta di una megalopoli che conta quasi 14 milioni di abitanti, circa il 10% dell’intera popolazione nipponica, e quindi la norma locale avrebbe un effetto su un numero importante di cittadini.

“Ma le sfide rimangono – sottolinea il quotidiano Tokyo Shimbun –. L’iscrizione nel registro non riconosce alle coppie omosessuali gli stessi diritti che il matrimonio garantisce a quelle etero, per esempio l’accesso ai trattamenti fiscali agevolati riservati ai nuclei familiari o la possibilità di nominare il partner erede legale”. Le relazioni tra persone dello stesso sesso non vengono quindi paragonate al matrimonio, ma sono grossomodo simili all’istituto delle unioni civili in uso anche in Italia. Il Giappone sposa una linea molto conservatrice sul tema del matrimonio e del riconoscimento della comunità arcobaleno, espressione di una cultura profondamente tradizionalista. Ciononostante, secondo i sondaggi, da tempo ormai la maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole a estendere pieni diritti anche alle coppie omosessuali, “ma il Giappone è molto indietro sul tema, soprattutto rispetto alle altre economie sviluppate. È l’unico paese del G7 a non aver riconosciuto alcun tipo di unione civile – scrive il anche il Japan Times –. Un fatto dovuto all’ostilità che molti politici conservatori continuano a mostrare verso la comunità Lgbtq+”.

Partecipanti al Tokyo Rainbow Pride 2018

Un sondaggio del 2021 del quotidiano Asahi rivela che il 65% degli intervistati è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso: nel 2015 lo era appena il 41%. Il governo conservatore resta però molto cauto sulla possibilità di modifiche legislative che riconoscano le unioni a livello nazionale. Per non parlare del matrimonio vero e proprio. Anche le sentenze degli ultimi anni sono contrastanti: nel 2021 la Corte di Sapporo aveva stabilito che il divieto di sposarsi viola il diritto all’uguaglianza garantito dalla Costituzione, ma nel giugno scorso un tribunale di Osaka aveva invece respinto la causa intentata da tre coppie omosessuali contro lo Stato, stabilendo che il mancato riconoscimento del matrimonio gay non è contrario alla Carta.
La battaglia per i diritti che ha condotto alla decisone storica di Tokyo è stata portata avanti nei mesi scorsi dalla governatrice della capitale, Yuriko Koike, la quale aveva presentato un disegno di legge apposito a maggio. Il documento – che non equipara le unioni civili al matrimonio – consentirà comunque alle coppie l’accesso ad alcuni servizi pubblici relativi all’alloggio, alla salute, a consentire le visite in ospedale al partner ricoverato, o all’assistenza sociale. Anche i figli potranno essere inseriti nella registrazione della coppia.

In oltre 200 amministrazioni locali giapponesi esistono i registri per le unioni civili delle coppie omosessuali

“Spero che così si accelereranno gli sforzi per creare una società in cui i diritti delle minoranze sessuali possano essere protetti”, dice in conferenza stampa Soyoka Yamamoto, storica attivista Lgbtq+. “Questo sistema è un passo verso il matrimonio omosessuale”, dice al quotidiano Asahi Shimbun il 74enne Takashi Otsuka, altro storico esponente della comunità gay: Otsuka, di professione scultore, ha lavorato anche in radio negli anni ‘70, parlando apertamente di omosessualità quando questa nel suo Paese era ancora un tabù. Pioniere fu, nel 2015, il distretto di Shibuya (proprio nella capitale Tokyo): il primo in Giappone a offrire un certificato del genere. Da allora più di 200 amministrazioni locali hanno seguito l’esempio. La scelta storica di Tokyo potrebbe essere il segnale per estendere in futuro la norma in tutto il Paese, anche se al momento non risultano progetti del governo centrale in tal senso.

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Instagram

  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

#lucenews #lucelanazione #dirittodivoto #womenrights #1febbraio1945
  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
  • La second hand, ossia l’oggetto di seconda mano, è una moda che negli ultimi anni sta diventando sempre più un’abitudine dei consumatori. Accumulare roba negli armadi, nei cassetti, in cantina, non è più un disagio che riguarda soltanto chi soffre di disposofobia, ossia di chi è affetto da sindrome dell’accumulatore compulsivo. Se l’acquisto è l’unica azione che rende felice l’uomo moderno, non riuscire a liberarsene è la condanna di molti.

Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Second-hand Economy 2021, realizzato da BVA Doxa per Subito.it, sono 23 milioni gli italiani che, nel 2021, hanno fatto ricorso alla compravendita di oggetti usati grazie alle piattaforme online. Il 52% degli italiani ha comprato e/o venduto oggetti usati, tra questi il 15% lo ha fatto per la prima volta. L’esperienza di compravendita online di second hand è quella preferita, quasi il 50% degli affari si conclude online anche perché il sistema di vendita è simile a un comune eCommerce: internet è il canale più veloce per quasi la metà dei rispondenti (49%), inoltre offre una scelta più ampia (43%) e si può gestire comodamente da casa (41%). Comprare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone, è al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%) – preceduto sempre dalla raccolta differenziata (94%) e l’acquisto di lampadine a LED (71%) –, con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 da parte dei laureati (68%), di chi appartiene alla generazione Z (66%), di chi ha 35-44 anni (70%) e delle famiglie con bambini (68%). 

Ma perché concretamente si acquista l’usato? Nel 2021 le prime tre motivazioni che inducono a comprare beni usati sono: il risparmio (56%, in crescita di 6 punti percentuali rispetto al 2020), l’essere contrari agli sprechi e credere nel riuso (49%) e la convinzione che la second hand sia un modo intelligente di fare economia e che rende molti oggetti più accessibili (43%). 

✍E tu? Hai mai comprato accessori oppure oggetti di seconda mano? Cosa ne pensi?

#lucenews #lucelanazione #secondhand #vintage
  • È iniziata come una sorta di sfida personale, come spesso accade tra i ragazzi della sua età, per testare le proprie capacità e resistenza in modo divertente. Poi però, per Isaac Ortman, adolescente del Minnesota, dormire nel cortile della sua casa è diventata una missione. 

“Non credo che la cosa finisca presto, potrei anche continuare fino all’università – ha detto il 14enne di Duluth -. È molto divertente e non sono pronto a smettere”. 

Tanto che ormai ha trascorso oltre 1.000 notti sotto le stelle. Il giovane, che fa il boy scout, come una specie di moderno Barone Rampante ha scoperto per caso il piacere di trascorrere le ore di sonno fuori dalle mura di casa, persino quando la temperatura è scesa a quadi 40 gradi sotto lo zero. Tutto è iniziato circa tre anni fa, nella baita della sua famiglia a 30 miglia da casa, diventando ben presto una routine notturna. Il giovane Ortman ricorda bene il giorno in cui ha abbandonato la sua camera da letto per un’amaca e un sacco a pelo, il 17 aprile 2020, quando era appena in prima media: “Stavo dormendo fuori dalla nostra baita e ho pensato: ‘Wow, potrei provare a dormire all’aperto per una settimana’. Così ho fatto e ho deciso di continuare”. 

“Non si stanca mai: ogni notte è una nuova avventura“, ha detto il padre Andrew Ortman, 48 anni e capo del suo gruppo scout. 

Sua mamma Melissa era un po’ preoccupata quella notte, lei e il padre gli hanno permesso di continuare la sua routine. “Sa che deve entrare in casa se qualcosa non va bene. Dopo 1.000 notti, ha la nostra fiducia. Da quando ha iniziato a farlo, è cresciuto sotto molti aspetti, e non solo in termini di statura”, dice orgogliosa. 

“Non lo sto facendo per nessun record o per una causa, mi sto solo divertendo. Ma con il ragazzo che dorme in Inghilterra, credo si possa dire che si tratta di una gara non ufficiale”, ha detto Isaac riferendosi all’adolescente inglese Max Woosey, che ha iniziato la sua maratona di sonno all’aperto il 29 marzo 2020, con l’obiettivo di raccogliere fondi per un ospedale che cura un suo anziano amico.

#lucenews #isaacortman #minnesota #boyscout
Nel Paese del Sol Levante sorge l’alba dei diritti civili. Una bella notizia per la comunità Lgbtq+ in Asia: dal primo di novembre, a Tokyo, sono disponibili certificati per le unioni civili tra persone dello stesso sesso. L’11 ottobre la prefettura della capitale nipponica ha istituito un registro per il riconoscimento delle coppie omosessuali, divenuto poi attivo dall’inizio del mese successivo. L’iscrizione è aperta a tutti i cittadini maggiorenni residenti nell’area metropolitana della capitale, i quali, una volta ottenuto il certificato, avranno la possibilità di vivere insieme al partner negli alloggi di proprietà del Comune. Procedure simili sono già operative in altre sedici prefetture ma secondo gli attivisti l’applicazione dei sistemi di certificazioni a Tokyo è una pietra miliare per la comunità Lgbtq+ e per le minoranze sessuali nel Paese. Perché si tratta di una megalopoli che conta quasi 14 milioni di abitanti, circa il 10% dell’intera popolazione nipponica, e quindi la norma locale avrebbe un effetto su un numero importante di cittadini. "Ma le sfide rimangono – sottolinea il quotidiano Tokyo Shimbun –. L’iscrizione nel registro non riconosce alle coppie omosessuali gli stessi diritti che il matrimonio garantisce a quelle etero, per esempio l’accesso ai trattamenti fiscali agevolati riservati ai nuclei familiari o la possibilità di nominare il partner erede legale". Le relazioni tra persone dello stesso sesso non vengono quindi paragonate al matrimonio, ma sono grossomodo simili all’istituto delle unioni civili in uso anche in Italia. Il Giappone sposa una linea molto conservatrice sul tema del matrimonio e del riconoscimento della comunità arcobaleno, espressione di una cultura profondamente tradizionalista. Ciononostante, secondo i sondaggi, da tempo ormai la maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole a estendere pieni diritti anche alle coppie omosessuali, “ma il Giappone è molto indietro sul tema, soprattutto rispetto alle altre economie sviluppate. È l’unico paese del G7 a non aver riconosciuto alcun tipo di unione civile – scrive il anche il Japan Times –. Un fatto dovuto all’ostilità che molti politici conservatori continuano a mostrare verso la comunità Lgbtq+”.
Partecipanti al Tokyo Rainbow Pride 2018
Un sondaggio del 2021 del quotidiano Asahi rivela che il 65% degli intervistati è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso: nel 2015 lo era appena il 41%. Il governo conservatore resta però molto cauto sulla possibilità di modifiche legislative che riconoscano le unioni a livello nazionale. Per non parlare del matrimonio vero e proprio. Anche le sentenze degli ultimi anni sono contrastanti: nel 2021 la Corte di Sapporo aveva stabilito che il divieto di sposarsi viola il diritto all’uguaglianza garantito dalla Costituzione, ma nel giugno scorso un tribunale di Osaka aveva invece respinto la causa intentata da tre coppie omosessuali contro lo Stato, stabilendo che il mancato riconoscimento del matrimonio gay non è contrario alla Carta. La battaglia per i diritti che ha condotto alla decisone storica di Tokyo è stata portata avanti nei mesi scorsi dalla governatrice della capitale, Yuriko Koike, la quale aveva presentato un disegno di legge apposito a maggio. Il documento – che non equipara le unioni civili al matrimonio – consentirà comunque alle coppie l’accesso ad alcuni servizi pubblici relativi all’alloggio, alla salute, a consentire le visite in ospedale al partner ricoverato, o all’assistenza sociale. Anche i figli potranno essere inseriti nella registrazione della coppia.
In oltre 200 amministrazioni locali giapponesi esistono i registri per le unioni civili delle coppie omosessuali
“Spero che così si accelereranno gli sforzi per creare una società in cui i diritti delle minoranze sessuali possano essere protetti”, dice in conferenza stampa Soyoka Yamamoto, storica attivista Lgbtq+. "Questo sistema è un passo verso il matrimonio omosessuale”, dice al quotidiano Asahi Shimbun il 74enne Takashi Otsuka, altro storico esponente della comunità gay: Otsuka, di professione scultore, ha lavorato anche in radio negli anni ‘70, parlando apertamente di omosessualità quando questa nel suo Paese era ancora un tabù. Pioniere fu, nel 2015, il distretto di Shibuya (proprio nella capitale Tokyo): il primo in Giappone a offrire un certificato del genere. Da allora più di 200 amministrazioni locali hanno seguito l’esempio. La scelta storica di Tokyo potrebbe essere il segnale per estendere in futuro la norma in tutto il Paese, anche se al momento non risultano progetti del governo centrale in tal senso.
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