Nel Paese del Sol Levante sorge l’alba dei diritti civili. Una bella notizia per la comunità Lgbtq+ in Asia: dal primo di novembre, a Tokyo, sono disponibili certificati per le unioni civili tra persone dello stesso sesso. L’11 ottobre la prefettura della capitale nipponica ha istituito un registro per il riconoscimento delle coppie omosessuali, divenuto poi attivo dall’inizio del mese successivo. L’iscrizione è aperta a tutti i cittadini maggiorenni residenti nell’area metropolitana della capitale, i quali, una volta ottenuto il certificato, avranno la possibilità di vivere insieme al partner negli alloggi di proprietà del Comune. Procedure simili sono già operative in altre sedici prefetture ma secondo gli attivisti l’applicazione dei sistemi di certificazioni a Tokyo è una pietra miliare per la comunità Lgbtq+ e per le minoranze sessuali nel Paese. Perché si tratta di una megalopoli che conta quasi 14 milioni di abitanti, circa il 10% dell’intera popolazione nipponica, e quindi la norma locale avrebbe un effetto su un numero importante di cittadini. "Ma le sfide rimangono – sottolinea il quotidiano Tokyo Shimbun –. L’iscrizione nel registro non riconosce alle coppie omosessuali gli stessi diritti che il matrimonio garantisce a quelle etero, per esempio l’accesso ai trattamenti fiscali agevolati riservati ai nuclei familiari o la possibilità di nominare il partner erede legale". Le relazioni tra persone dello stesso sesso non vengono quindi paragonate al matrimonio, ma sono grossomodo simili all’istituto delle unioni civili in uso anche in Italia. Il Giappone sposa una linea molto conservatrice sul tema del matrimonio e del riconoscimento della comunità arcobaleno, espressione di una cultura profondamente tradizionalista. Ciononostante, secondo i sondaggi, da tempo ormai la maggioranza dell’opinione pubblica è favorevole a estendere pieni diritti anche alle coppie omosessuali, “ma il Giappone è molto indietro sul tema, soprattutto rispetto alle altre economie sviluppate. È l’unico paese del G7 a non aver riconosciuto alcun tipo di unione civile – scrive il anche il Japan Times –. Un fatto dovuto all’ostilità che molti politici conservatori continuano a mostrare verso la comunità Lgbtq+”.
Un sondaggio del 2021 del quotidiano Asahi rivela che il 65% degli intervistati è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso: nel 2015 lo era appena il 41%. Il governo conservatore resta però molto cauto sulla possibilità di modifiche legislative che riconoscano le unioni a livello nazionale. Per non parlare del matrimonio vero e proprio. Anche le sentenze degli ultimi anni sono contrastanti: nel 2021 la Corte di Sapporo aveva stabilito che il divieto di sposarsi viola il diritto all’uguaglianza garantito dalla Costituzione, ma nel giugno scorso un tribunale di Osaka aveva invece respinto la causa intentata da tre coppie omosessuali contro lo Stato, stabilendo che il mancato riconoscimento del matrimonio gay non è contrario alla Carta. La battaglia per i diritti che ha condotto alla decisone storica di Tokyo è stata portata avanti nei mesi scorsi dalla governatrice della capitale, Yuriko Koike, la quale aveva presentato un disegno di legge apposito a maggio. Il documento – che non equipara le unioni civili al matrimonio – consentirà comunque alle coppie l’accesso ad alcuni servizi pubblici relativi all’alloggio, alla salute, a consentire le visite in ospedale al partner ricoverato, o all’assistenza sociale. Anche i figli potranno essere inseriti nella registrazione della coppia.
“Spero che così si accelereranno gli sforzi per creare una società in cui i diritti delle minoranze sessuali possano essere protetti”, dice in conferenza stampa Soyoka Yamamoto, storica attivista Lgbtq+. "Questo sistema è un passo verso il matrimonio omosessuale”, dice al quotidiano Asahi Shimbun il 74enne Takashi Otsuka, altro storico esponente della comunità gay: Otsuka, di professione scultore, ha lavorato anche in radio negli anni ‘70, parlando apertamente di omosessualità quando questa nel suo Paese era ancora un tabù. Pioniere fu, nel 2015, il distretto di Shibuya (proprio nella capitale Tokyo): il primo in Giappone a offrire un certificato del genere. Da allora più di 200 amministrazioni locali hanno seguito l’esempio. La scelta storica di Tokyo potrebbe essere il segnale per estendere in futuro la norma in tutto il Paese, anche se al momento non risultano progetti del governo centrale in tal senso.