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Home » Attualità » Stati Uniti, come scoprire un aborto? I dati personali nelle app potrebbero essere tracciati

Stati Uniti, come scoprire un aborto? I dati personali nelle app potrebbero essere tracciati

La sentenza della Corte Suprema, che elimina il diritto costituzionale, potrà avere degli impatti anche sui alcuni diritti fondamentali legati alla privacy

Edoardo Martini
29 Giugno 2022
Privacy

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Sono tanti gli esperti e gli attivisti americani che si interrogano se la sentenza della Corte Suprema, che elimina il diritto all’aborto negli Usa, potrà avere impatti anche su altri diritti, compresi quelli alla privacy.

I diritti alla privacy in America sono in pericolo?

L’attacco al diritto alla privacy

Secondo gli esperti, la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti oltre a invalidare il diritto federale all’interruzione di gravidanza, è anche un attacco al diritto alla privacy degli americani, strettamente legato al caso Roe v Wade, basato proprio sul diritto alla privacy garantito dalla clausola del giusto processo contenuta nel XIV emendamento della Costituzione. Invalidare il caso Roe v. Wade significa di fatto minare il diritto alla privacy degli americani, diritto che è stato usato per proteggere molti altri diritti considerati fondamentali.

Negli ultimi anni, però, negli Stati Uniti è aumentato il numero di aborti autogestiti, ovvero quelli che avvengono senza la supervisione formale di un operatore sanitario attraverso l’autosomministrazione di farmaci abortivi in modo sicuro ed efficace. Le gravidanze terminate con un aborto farmacologico spesso non possono essere distinte dagli aborti spontanei: per questo motivo esiste la possibilità che i procuratori decidano di indagare su qualsiasi donna che sia stata incinta ma non abbia portato a termine la gravidanza, anche in caso di aborti spontanei. Quanto sia concreta questa possibilità, e cioè che i pubblici ministeri locali decidano di investigare sulla causa dell’interruzione di una gravidanza, è in questi giorni oggetto di discussioni negli Stati Uniti.

Il caso più eclatante è stato quello di Latice Fisher, donna del Mississippi che nel 2017 era stata accusata di omicidio di secondo grado dopo aver partorito un bambino nato morto nel terzo trimestre perché, nelle settimane precedenti, aveva cercato online informazioni sulle pillole abortive. Non esisteva nessun’altra prova che Fisher avesse comprato le pillole, ma il caso è comunque durato fino al 2020, quando era stato archiviato.

Eva Galperin, direttrice per la sicurezza informatica della Electronic Frontier Foundation, è preoccupata per l’eccesso di sorveglianza digitale

“Viviamo in un’era di sorveglianza digitale senza precedenti”: la resa della direttrice per la sicurezza informatica

Stando a quanto ci dice la direttrice per la sicurezza informatica della Electronic Frontier Foundation Eva Galperin, “La differenza tra ora e l’ultima volta che l’aborto è stato illegale negli Stati Uniti è che viviamo in un’era di sorveglianza digitale senza precedenti”. Da anni infatti i pubblici ministeri e le forze dell’ordine, statunitensi ma non solo, usano i dati digitali personali dei sospettati nelle proprie indagini.

A questo si aggiunge una seconda strada che le autorità possono decidere di percorrere: quella di chiedere direttamente alle aziende di fornire i dati in loro possesso relativi a specifici utenti. Non si tratta soltanto di Google, Facebook, Instagram, TikTok o Amazon: a raccogliere dati che possono essere potenzialmente incriminanti sono anche i servizi di telefonia mobile, i provider di servizi Internet e qualsiasi app abbia accesso ai dati sulla posizione.

Di solito queste informazioni vengono raccolte a fini pubblicitari, ma possono anche essere acquistate da privati o da forze dell’ordine, nonché consegnate loro in caso ottengano un mandato per richiederle. Nonostante ciò In seguito al rovesciamento di Roe v. Wade, tutte le grandi aziende tecnologiche si sono rifiutate di rispondere alle richieste dei giornalisti che hanno chiesto loro se intendono o meno soddisfare le eventuali richieste di dati che potrebbero arrivare da parte delle forze dell’ordine all’interno di indagini relative ad interruzioni di gravidanza ritenute illegali.

Particolare attenzione in questo dibattito è stata rivolta alle applicazioni che permettono di tenere traccia del proprio ciclo mestruale o di altri dettagli legati alla salute riproduttiva, che secondo le stime vengono usate da un terzo delle donne statunitensi.

Negli ultimi giorni, infatti, molte donne americane hanno cancellato le applicazioni per il monitoraggio delle mestruazioni dai loro cellulari, nel timore che i dati raccolti dalle applicazioni possano essere usati contro di loro in future cause penali negli Stati in cui l’aborto è diventato illegale.

La tendenza era già iniziata il mese scorso, quando era trapelata una bozza di parere della Corte suprema che suggeriva che la Corte era pronta a rovesciare la sentenza Roe v Wade, e si è intensificata dopo che venerdì la Corte ha revocato il diritto federale all’aborto.

Queste preoccupazioni non sono infondate. Come altre applicazioni, i tracker ciclistici raccolgono, conservano e talvolta condividono alcuni dati dei loro utenti. In uno Stato in cui l’aborto è un reato, i pubblici ministeri potrebbero richiedere le informazioni raccolte da queste app per costruire un caso contro qualcuno. “Se stanno cercando di perseguire una donna per aver abortito illegalmente, possono chiedere un mandato di comparizione per qualsiasi app presente sul suo dispositivo, compresi i tracker mestruali”, ha dichiarato Sara Spector, avvocato penalista ed ex-procuratore con sede in Texas.

Per cercare di tutelare i milioni di donne che ora vivono in stati dove l’aborto è vietato, diversi esperti e organizzazioni hanno pubblicato guide per evadere la sorveglianza, per quanto possibile. La giornalista Rae Hodge ha scritto però sul sito di notizie tecnologiche CNET che “escludere i tuoi dati dalle collezioni di tutti i data broker è diventato quasi impossibile per la maggior parte delle persone.”

 

 

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  • “I nostri animali rischiano una fine orribile.”

La scure del Tar del Lazio ha infranto le speranze della “Sfattoria degli Ultimi”, centoncinquanta tra maiali e cinghiali rischiano di morire. 

L’8 agosto l’Asl 1 ha notificato alla Sfattoria la decisione di abbattimento degli animali perché si trovano nella cosiddetta "zona rossa"(ovvero zona infetta in relazione alla peste suina africana) che comprende tutto il territorio romano. L’associazione ha contestato la decisione, sostenendo che essendo animali Dpa (ovvero non destinato alla produzione di alimenti) e quindi da affezione, non possono essere abbattuti secondo legge. Il Tar però “ha rigettato la richiesta di sospensiva urgente e per questo l’ordinanza di abbattimento può diventare esecutiva”. 

Anche il commissario nominato per l’emergenza, Angelo Ferrari, ha ritenuto non accoglibile la richiesta di non procedere all’abbattimento dei suini in questione perché, secondo quanto riferito dall’Asl, le strutture che ospitano gli animali sono state occupate abusivamente e gli animali non sono tracciati e non ci sono certificazioni di provenienza. Accuse respinte al mittente dalla Sfattoria.

Numerosi gli appelli a sostegno della Sfattoria a cominciare dalla petizione su change.org. Ma anche quelle di altre associazioni come Enpa, Leidaa, Lndc e Oipa che annunciano una dura battaglia legale con l’intenzione di trasformare la richiesta di sospensiva in ricorso ordinario. E gli appelli di supporto misti allo sdegno si sono diffusi anche via social dove centinaia di utenti hanno “urlano" contro la decisione dell’azienda sanitaria. 

#lucenews #lucelanazione #sfattoriadegliultimi #salviamoglianimali #protezioneanimali
  • Buone notizie per i neogenitori. Scattano da oggi, 13 agosto, le nuove regole sui congedi parentali previste dal decreto 105/2022. 🔻

La novità più importante è l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni al 100% della retribuzione (in precedenza erano solo 5), che sostituisce il congedo obbligatorio del padre e il congedo facoltativo del padre. 

Tale congedo sarà accessibile dal padre lavoratore dipendente tra i due mesi precedenti e i cinque successivi alla nascita, anche in caso di morte perinatale del bambino. I giorni di congedo possono essere sovrapposti anche a quelli della madre lavoratrice (pari a 5 mesi) e, in caso di parto gemellare, la durata del congedo è aumentata a 20 giorni lavorativi.

Oltre a questi 10 giorni obbligatori e completamente pagati, entrambi i genitori con figli di età inferiore ai 12 anni avranno diritto a un ulteriorecongedo facoltativo della durata di tre mesi con un’indennità del 30% dello stipendio. Tale congedo non è trasferibile da un genitore all’altro. I genitori hanno anche diritto, in alternativa tra loro, ad un ulteriore periodo di congedo della durata complessiva di tre mesi, per i quali spetta sempre un’indennità del 30% della retribuzione. 

Al genitore solo, sono riconosciuti 11 mesi continuativi o frazionati, di congedo parentale, di cui 9 mesi (e non più 6 mesi) indennizzabili al 30% della retribuzione.

I limiti massimi restano invariati per entrambi i genitori: 6 mesi per la madre e 6 per il padre (elevabili a 7 mesi nel caso in cui si astenga per un periodo intero o frazionato non inferiore a 3 mesi) per ogni figlio. 

Di Nicolò Guelfi ✍

#lucenews #lucelanazione #congedoparentale #maternitàepaternitàaconfronto #genitorifigli
  • Un episodio orribile quello accaduto a Salerno dove due donne lesbiche sono state accoltellate dal padre di una di loro. Le due giovani hanno deciso di denunciare il fatto ai carabinieri e la vicenda è stata resa nota dal consigliere regionale campano di Europa Verde Francesco Borrelli, che ha parlato di “storia folle e agghiacciante”.

La vicenda è iniziata quando le due ragazze, Francesca e Immacolata, la prima 39enne di Crotone e la seconda 23enne della provincia di Napoli, sono arrivate a Salerno per lavorare; nel capoluogo campano sono state ospitate a casa di una parente di Immacolata, il teatro dell’aggressione. 

“Mio padre ci ha detto ‘Voglio fare 30 anni di carcere: volete morire insieme? È arrivato il momento’ e poi ci ha colpito. Mia madre ha assistito all’aggressione e non ha fermato mio padre, anzi ha provato a bloccarci mentre scappavamo”, ha raccontato la più giovane. 

“Entrambe abbiamo riportato qualche ferita, ma siamo riuscite a scappare. Fino alle 5 del mattino però mio padre ci ha inseguite e minacciate. Abbiamo chiamato il 112 e i carabinieri sono intervenuti accompagnandoci nel nostro domicilio di Salerno per fare le valigie e tornare poi a Crotone in sicurezza. Lui a oggi nega tutto, ma abbiamo le prove di quello che ha fatto”, ha raccontato Immacolata.

Le due ragazze sono quindi tornate in Calabria e si sono anche recate al Pronto Soccorso dell’ospedale di Crotone per farsi medicare, sul corpo avevano numerose escoriazioni e ferite lievi di arma da taglio. 

#lucenews #lucelanazione #lgbtqitalia #aggressioneomofoba #salerno
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