Vuole un figlio con l’embrione dell’ex, ma la giudice dice ’no’

Lei ha presentato un ricorso d’urgenza, lui si è opposto diffidando la clinica. L’avvocato della donna: “Impostazione non aderente a quella della suprema corte”

7 luglio 2024
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Desidera diventare madre e per farlo vuole utilizzare gli embrioni crio-conservati dell’ormai ex marito. Ma la giudice Valentina Lisi del tribunale di Siena, competente territorialmente per la vicenda, il 27 giugno scorso ha detto no alla richiesta della donna di trasferire gli embrioni nell’utero a distanza di otto anni dalla fecondazione.

La coppia nel 2016 aveva fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita, quindi c’era stata la fecondazione di due embrioni in vitro, crio-conservati appunto in attesa dell’impianto. Ma il rapporto sentimentale fra i due si era spezzato e si erano separati, arrivando al divorzio. Quegli embrioni crio conservati, però, erano rimasti per anni presso la struttura a cui la coppia si era rivolta e la donna, superati i 40, ha deciso di utilizzarli per diventare madre.

La giudice Lisi ha stabilito invece con l’ordinanza del 27 giugno che non è possibile, andando dunque in controtendenza rispetto alla giurisprudenza che tende invece a tutelare le ragioni della potenziale madre, ritenendole prevalenti. Di conseguenza alla donna restano adesso tre possibilità: fermarsi e dunque accettare la decisione del giudice Lisi, oppure depositare un reclamo. O, in terzo luogo, introdurre un giudizio ordinario per accertare se esiste ancora il suo diritto a poter chiedere ed ottenere il transfer dell’embrione. Con tempi, in quest’ultimo caso, prevedibilmente abbastanza lunghi.

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"Non condividiamo l’impostazione del giudice che non corrisponde al recente orientamento della Suprema corte, arrivato la primavera scorsa. Ci riserviamo una valutazione più approfondita con la mia assistita”, si limita a commentare l’avvocato Gabriele Gragnoli che tutela la donna. Che aveva presentato un ricorso d’urgenza con il quale chiedeva al giudice di ordinare alla struttura clinica di provvedere al transfer e di effettuare dunque l’intervento.

“Avevamo depositato una memoria difensiva per spiegare le ragioni per cui il mio assistito, l’ex marito, si era opposto al trasferimento”, osserva l’avvocata Maria Grazia Di Nella di Milano. Secondo il giudice l’uomo non era a conoscenza del fatto che il proprio consenso fosse irrevocabile. In quello informato dell’epoca, era appunto il 2016, non sarebbe stato esplicitato. Inoltre, dopo la rottura, sembrava che entrambi fossero propensi a donarli, anche all’estero.

“Quali scenari si possono aprire alla luce della decisione? Occorre intervenire perché oggi è impensabile che non ci sia un termine, posta l’enorme incidenza delle separazioni nelle coppie. Anche il decreto di idoneità per adottare un bambino ha la durata massima di tre anni. Avevamo chiesto nella memoria difensiva – sottolinea l’avvocato Di Nella – anche il rinvio alla Corte costituzionale in merito appunto alla fissazione di un termine al proprio assenso. Incredibile che quello dell’uomo duri per sempre”.