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Consob: le donne toccano il 43% nei Cda, ma solo il 2% è al vertice

Florinda Scicolone, esperta in Strategia per le politiche di genere aziendali: “Occorre passare presto dall'obbligatorietà alla volontà di declinare al femminile le posizioni di vertice”

di CATERINA CECCUTI E MAURIZIO COSTANZO -
5 maggio 2023
Terre Des Hommes 8 marzo

Terre Des Hommes 8 marzo

A fine 2021, il 41% degli incarichi di amministrazione nelle società quotate era esercitato da una donna, un dato che all’epoca - secondo quanto emerso dal Rapporto Consob sulla Corporate governance - rappresentava il massimo storico osservato sul mercato italiano. Ma ora c’è un’altra buona notizia: le donne nei Cda delle società italiane continuano ad aumentare, addirittura di due punti percentuali. Raggiungono così un nuovo record alla fine del 2022, quello del 43%, in particolare per effetto dell'applicazione della quota di genere, la quale prevede che i due quinti dell'organo non siano occupati da uomini. Ma, per contro, c’è una notizia non propriamente buona: sono ancora poche le presenze femminili ai vertici, nel 2% dei casi amministratrici delegate e nel 4% presidenti. “In linea con le tendenze osservate negli anni precedenti, a fine 2022 le donne ricoprono il ruolo di Amministratrice delegata in 17 società di piccole dimensioni (il 2,1% della capitalizzazione di mercato) e presiedono l'organo amministrativo di 32 emittenti di più elevate dimensioni (il 27,4% della capitalizzazione complessiva)", si legge nel rapporto. I dati confermano anche che le donne sono titolari di più di un incarico di amministrazione con maggior frequenza rispetto agli uomini: tale situazione riguarda il 28,6% delle donne, rispetto al 21% dell'intera popolazione degli amministratori. Il dato del cosiddetto interlocking femminile mostra, tuttavia, una continua flessione negli anni recenti, dopo il valore massimo (pari al 34,9%) raggiunto nel 2019.

La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa è un'autorità amministrativa indipendente dotata di autonoma personalità giuridica e piena autonomia operativa

Consob: un rapporto tra luci e ombre

Abbiamo chiesto un commento a Florinda Scicolone, esperta in Strategia per le politiche di genere aziendali “La questione fondamentale, che emerge dal rapporto sulla Corporate governance delle quotate, è che la parità di genere nelle aziende italiane ancora non è decollata. O meglio, esiste solo dove viene applicata la normativa, ma non siamo passati ancora dalla 'obbligatorietà' della presenza femminile nei board aziendali alla ferma volontà di far decollare la parità di genere, conseguenza naturale - questa - dell'aver preso coscienza del fatto che, come dimostrano i dati statistici, le aziende in cui le donne rivestono posti apicali sono aziende che funzionano meglio”.

Florinda Scicolone, esperta in Strategia per le politiche di genere aziendali

Dottoressa Scicolone, a quale normativa si riferisce? "Alla legge Golfo-Mosca approvata nel 2011 e prorogata nel 2019, che ha appunto lo scopo di prevedere le quote di genere nei Cda e collegi sindacali delle quotate e partecipate. Se alla fine del 2022 le donne presenti nei Cda delle quotate sono salite al 43%, possiamo parlare di un successo di applicazione della norma (secondo un trend consolidato già da qualche anno, poiché nel 2021 avevano già raggiunto il 41%), ma dobbiamo anche ammettere che se non ci fosse un'apposita misura in materia, oggi purtroppo questi dati non sarebbero ancora decollati. Laddove la normativa è applicata possiamo celebrare un consolidato successo che supera il 40% auspicato dalla stessa, ma se ci spostiamo in ambiti nei quali la legge non c'è (pensiamo alle deleghe, pensiamo alle posizioni di Amministratore delegato o Presidente), i risultati non sono certamente gli stessi, tanto che la presenza femminile si attesta ad appena il 2% di Ceo donne e 4% Presidenti". Un dislivello enorme... "Appunto. Questi dati dimostrano, purtroppo, che nella stragrande maggioranza dei casi nella Governance non vi è la volontà di valorizzare i talenti femminili e sviluppare la parità di genere, ma solo l'obbligo di farlo quando vi è una normativa che lo impone, come nel caso della legge Golfo-Mosca. Abbiamo ancora tanta strada da fare, quindi, per sfondare il soffitto di cristallo ed ottenere finalmente la valorizzazione dei talenti femminili. Ciò deve avvenire non su base normativa ma su base volontaria, ricordando che Amministratrici delegate, Presidenti donne e posizioni apicali al femminile fanno bene ai bilanci dell'azienda. Stiamo vivendo un momento storico molto importante, nel quale l'Unione Europea ha approvato la direttiva sulle quote di genere nei board delle quotate, che vale per tutti i Cda di tutti i Paesi europei, e che dovrà essere ratificata entro il 2026. Qui è inserita anche la novità del 'merito', ossia le donne non dovranno essere poste nei Cda in modo automatico ma con merito; mi auguro che tale norma, però, per il principio dell’art. 3 della Costituzione venga estesa in modo uguale a uomini e donne".

Ad oggi, la presenza femminile nei ruoli amministrativi è fortemente vincolata alla legge Golfo-Mosca

Sarebbe certamente più giusto... "Indubbiamente, così come mi sembrerebbe più giusto che la presenza delle donne nei Cda non dipendesse da un'apposita legge. Eppure, purtroppo, se non ci fossero state le quote di genere obbligatorie non avremmo avuto alcun cambiamento in numeri e sarebbe ancora oggi irrisoria la presenza femminile nei consigli di amministrazioni e nei collegi sindacali delle quotate. Ecco, allora, che le normative diventano necessarie per permetterci di arrivare ad occupare ruoli di rilievo e dimostrare il nostro valore. Insomma, senza normativa non c'è decollo della parità di genere. Personalmente mi aspettavo, però, che a distanza di molti anni dall'approvazione della legge Golfo-Mosca, avremmo almeno potuto assistere al passaggio culturale dall'obbligatorietà alla volontà, da parte dell'impresa, di coinvolgere le donne in ruoli attivi di massimo rilievo". Cosa ci aspetta nel futuro? "Come ho evidenziato in precedenza, ad attenderci ci sono direttive importanti come quella sulle quote di genere nei Cda delle quotate e quella sulla parità salariale per abbattere le disparità di trattamento retributivo nelle aziende. In Italia abbiamo la normativa della certificazione di genere, destinata alle imprese che vogliono volontariamente investire in parità per ottenere un effetto premiale. Siamo sulla strada che dovrà portare agli obiettivi imposti dall'Agenda 2030, che prevede, sia da parte degli Stati che delle aziende, il raggiungimento della parità di genere all'obiettivo 5, e le aziende italiane devono farsi trovare pronte a quest’appuntamento storico per la realizzazione dello sviluppo sostenibile”.