Lavorare per vivere o vivere per lavorare? Quale sia il confine che separa le due definizioni ce lo chiediamo sempre più spesso negli ultimi anni, con i ritmi di vita che accelerano a perdita d'occhio e gli impegni che si cumulano a dismisura. Sempre più spesso, professionisti di vari ambiti commentano “Rispetto al passato -anche recente- si lavora il doppio e si guadagna la metà”. Ecco perché, verrebbe da dire, a queste condizioni siano in molti a decidere di mettere al primo posto un lavoro che piace e che abbia degli orari compatibili anche con la propria vita familiare, piuttosto che uno retribuito meglio.
Come sta cambiando il loro modo di considerare il lavoro?
È quanto emerso anche dalla survey condotta da Loriga&associati (società di ricerca e selezione) su oltre un migliaio di candidati di età compresa tra i 25 e i 60 anni, ai quali sono state poste domande del tipo “Quali sono le nuove priorità? Come sta cambiando il loro modo di considerare il lavoro? Cosa li spinge a cercare nuove opportunità professionali? Quali elementi li motivano nella scelta di un’azienda?”
“I risultati del nostro sondaggio – ha commentato Orazio Stella, senior partner di Loriga&associati – confermano un trend che è iniziato ormai un paio di anni fa, subito dopo la prima ondata della pandemia da Covid-19. Soprattutto i candidati più giovani scelgono un’azienda non soltanto sulla base della retribuzione, ma di un insieme di altre componenti che potremmo definire soft, come ad esempio il bilanciamento tra la vita privata e quella professionale e la coesione tra i propri valori e quelli dell’impresa. Ad oggi, il fatto che le aziende spesso fatichino a costruire un’offerta che metta insieme tutto, rappresenta un grosso problema che rischia di acuirsi sempre di più, rendendo i processi di selezione più lunghi e, in alcuni casi, non del tutto soddisfacenti per entrambe le parti”.
Dottor Stella, in base ai risultati emersi, quali elementi rendono un posto di lavoro giusto per i candidati?
“Se volessimo riassumere i risultati, potremmo dire che flessibilità, opportunità di sviluppo personale e professionale e attenzione alla sostenibilità e alla responsabilità sociale di impresa sono i tre elementi che, nella maggior parte dei casi, guidano le scelte dei candidati più giovani, ossia quelli di età compresa tra i 25 ed i 40 anni. In particolare, la flessibilità intesa come possibilità di avere il miglior work-life balance, è il driver più importante per più del 55% degli intervistati; seguono opportunità di crescita professionale (che si concretizza anche in percorsi di carriera studiati ad hoc per ciascuna risorsa) al 18% e responsabilità sociale al 15%.
Un discorso leggermente diverso, invece, per quel che riguarda le risorse che hanno alle spalle un percorso professionale più lungo: per questi candidati, infatti, l’aspetto economico è il motore che, più di altri, guida la scelta (65% dei casi), seguita da bilanciamento vita professionale – vita privata (14%) e possibilità di contribuire, in maniera diretta, alle scelte di lungo periodo dell’azienda al 12%.
Quale potrebbe essere, dunque, il corretto atteggiamento da parte di un'azienda che intenda colmare le proprie posizioni aperte?
“Dobbiamo iniziare a ragionare in modo diverso, perché come abbiamo fatto fino ad oggi, probabilmente, non funziona più: il lavoro ibrido è ormai diventato la normalità, quindi anche i manager hanno dovuto imparare a guidare le risorse anche a distanza (persino quelle più giovani, magari appena entrate nel mondo del lavoro), puntando tutto sulla produttività e sul raggiungimento degli obiettivi, piuttosto che sulle ore trascorse in ufficio. Questo significa ridisegnare le organizzazioni e renderle sempre più vicine a ciò che i lavoratori chiedono e desiderano”.