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“Essere grassa non è una colpa”: Dalila Bagnuli e la liberazione dei corpi

Attivista e divulgatrice, autrice di “Anti manuale della bellezza” e di “Diario non conforme”, è stata ospite di Conversazioni sul corpo a Firenze per parlare di grassofobia, stigma, e falsi miti sulla body positivity

di MARIANNA GRAZI -
5 aprile 2024
Dalila Bagnuli (Instagram)

Dalila Bagnuli (Instagram)

Non diteci che siamo belle!”. Non è una provocazione, piuttosto l’invito che Dalila Bagnuli lancia al pubblico che l’ascolta a Firenze durante il terzo incontro delle Conversazioni sul corpo: una serie di appuntamenti della rassegna “Una lotta senza tempo”, organizzata da Cgil (e co-promossa dal Comune) a 70 anni dalla prima Conferenza della Donna lavoratrice. 

Si parla di corpi, quindi: corpi che sono politica ma fanno anche politica, che sono anche strumento rivendicazione di libertà. Corpi dissidenti, non conformi, ribelli. L’attivista e divulgatrice, nata a La Spezia e residente a Milano, si affronta il tema della fat acceptance e del fat shaming, di una politica che oggi esclude e colpevolizza i corpi grassi. Perché Bagnuli è sicura: siamo tutti e tutte – lei compresa nonostante viva in un corpo considerato dai più non conforme – ‘affetti’ da grassofobia. E allora invece di acclamare la body positivity agita come elemento di valorizzazione del sé, andando anche oltre l'auto accettazione, serve piuttosto la rivendicazione collettiva di spazi, tempi e opportunità, un vero e proprio movimento di liberazione dei corpi e per i corpi.

Dalila Bagnuli durante l'incontro "In movimento per la liberazione dei corpi"
Dalila Bagnuli durante l'incontro "In movimento per la liberazione dei corpi"

Di femminismo, body positivity e liberazione dei corpi

“Io sono diventata femminista necessità e per una gran botta di culo – esordisce Bagnuli a Firenze –. Il femminismo non è accessibile nella maggior parte delle province italiane come quella spezina, da dove vengo io. Mi ci sono avvicinata grazie a Internet e perché sono cresciuta in un contesto politico, si parlava di politica a tavola e sono stata educata a parlarne dai miei genitori. Quando sono andata a vivere da sola, quindi, ho cercato il motivo di una serie di rabbie che avevo dentro. La risposta l’ho trovata grazie al femminismo, nella discriminazione di genere e nella rivendicazione della non conformità estetica”.

Ma oggi questo movimento si occupa di persone grasse? “La lotta alla grassofobia è fanalino di coda delle lotte femministe: si sente sempre parlare ovviamente e giustamente di discriminazioni di vario genere, dall’omofobia all’abilismo, ma se ci fate caso mai o quasi mai si parla di quella che riguarda i corpi non conformi”. Beh per quello c’è la body positivity no? Per rivendicare la propria bellezza “per come si è”, per l’auto accettazione delle proprie forme, il famoso ‘self love’. 

Anche questo tipo di attivismo si è evoluto, spiega l’autrice: “È nato alla fine degli anni ‘60 a Central Park, quando un gruppo di donne nere queer, disabili fa un falò di libri sulla dieta, rivendicando il loro corpo qui e ora, un corpo che vogliono vivere in libertà, negli anni ‘90 per la prima volta si inizia a parlare di body positive non più solo in merito a corpi grassi, ma a tutti quelli che sono marginalizzati. Il problema sono gli standard di bellezza associati alla persone come valore – dice ancora Dalila –.

La svolta arriva poi nel 2004, quando Dove pubblica in tv ‘The real beauty campaign’: sul piccolo schermo appaiono una serie di donne normali, che però si scoprirà poi rientrano perfettamente nei canoni estetici standardizzati. È un’appropriazione e annacquamento del messaggio politico che era stato lanciato in precedenza: gli slogan che arrivano fino ad oggi (“Ama te stessa così come sei”) sono frutto di un capitalismo che lucra sui corpi delle persone per decenni. La lotta per la liberazione dei corpi annientata.

Poi, ancora un passaggio fondamentale è nel 2010: nasce Instagram. Da una parte con questo nuovo social si crea un nuovo standard di bellezza, coi filtri che sono realizzati da persone viziate da una grassofobia generalizzata. Dall’altra comincia un nuovo modo di fare attivismo, perché pubblicare corpi non conformi sul social della perfezione è un atto sovversivo. Qui la lotta per la liberazione dei corpi riacquista potere”. 

Il potere della bellezza 

Dalila Bagnuli
Dalila Bagnuli

Eccola lì, la parola magica: potere. Perché il mito della bellezza perfetta, standard, conforme è uno strumento di potere: e allora il fatto che persone grasse abbiano la volontà di mostrarsi, di occupare uno spazio fino ad allora precluso, significa attaccare al cuore un sistema grassofobico che accomuna davvero tutti e tutte. “Persino le stesse persone grasse, che l’hanno interiorizzato come le altre”.

E allora cosa fare? “Serve creare consapevolezza sul perché, serve studiare, e provare a ricostruire relazioni. Perché il nostro sistema sociale è fatto per spingerci a consumare facendo leva sul senso di colpa – afferma Dalila –: le donne crescono con il pensiero della bellezza come valore. Devi essere sempre in ordine, devi essere carina, portare gioia entrando in una stanza. Ma essere belle costa. E io tante volte mi sono chiesta: cos’è la bellezza? E non lo so, mi piacciono cose che per altri potrebbero essere brutte o che sono considerate generalmente belle. Tutti inseguiamo un solito standard ma abbiamo tutti gusti diversi”.

Lo stigma: sei grassa è colpa tua

Senso di colpa e stigma sociale, per le persone con corpi grassi, non conformi, vanno di pari passo. Sei grassa? È colpa tua, significa che sei pigra, che non hai forza di volontà per non mangiare o per dimagrire. Prosegue Bagnuli: “La magrezza è un valore, la grassezza una colpa. Si parla spesso di Fat spectrum, si stabiliscono dei gradi di grassezza e a quelli sono legate le discriminazioni subite. Io che ho una taglia 52/54 posso viaggiare tranquillamente, ad esempio, una che ha una taglia 56 deve comprare un biglietto in più. Le discriminazioni in base al Fact spectrum variano e questo sfocia anche nel classismo: per vestirci spesso non possiamo far altro che rivolgerci alle grandi catene di fast fashion, che non rispettano i diritti dei lavoratori e inquinano, ma che sono anche le uniche ad avere abiti della nostra taglia. Quindi tante persone comprano lì perché non hanno alternative. Il classismo va a braccetto con tutte le scelte che sono dettate da un corpo non conforme, perché spesso appartiene alle persone più povere”.

Rappresentazione e salute

Allora anche solo marginalizzare questo tipo di corpi ha uno scopo educativo per una società che deve imparare a non ingrassare, educare i corpi conformi perché rimangano nella conformità, perché oggi la vera liberazione, “la vera autodeterminazione si ha prendendosi lo spazio che fino ad ora ci era stato negato”. E questo deve avvenire sui social e in tv, al cinema e a teatro, nei libri e nelle terapie, perché dove la rappresentazione non esiste va creata a forza di rivendicazioni della propria esistenza.

“Smettendo anche di associare la grassezza a una questione medica, quando lo stesso stigma medico impedisce tante volte a queste persone, a queste donne, di curarsi perché costantemente discriminate e aggredite dagli stessi dottori che invece di guardare al quadro generale consigliano loro di dimagrire come medicina di tutti i mali. Dev’essere una questione di rispetto invece”. 

Dalila Bagnuli
Dalila Bagnuli

Come riconoscere e combattere la grassofobia?

Intanto “arriva sempre qualcuno a rimetterti al tuo posto quando ti mostri. Ti devi nascondere, piuttosto iscriviti in palestra, smetti di mangiare. È una questione di educazione – dice sarcastica l’attivista –. Le persone grasse non solo solo private dell’autodeterminazione ma anche considerate stupide e la prima e principale fonte di dolore è la famiglia stessa”.

Ma Dalila Bagnuli non si limita alle constatazioni, va oltre e suggerisce anche qualche dritta su come agire per far sì che la grassofobia non detti anche l’agire quotidiano discriminante: “Smettere di fare commenti sui corpi, della serie: ‘Come sei bella/bello’. Ogni commento che va a toccare l’estetica della persona la porta quest’ultima a pensare al suo corpo e non sappiamo come questo la faccia stare. Possiamo provare a cambiare tipo di complimenti, magari legati al carattere o alla personalità del soggetto. E poi suggerire podcast, libri, video che parlano di grassofobia, portare la discussione sul tavolo”.

“Lo standard estetico va abolito, ma l’autodeterminazione dell’estetica è fondamentale, dobbiamo riappropriarci del nostro corpo – chiosa –. Accettare il proprio corpo con l’idea di riprenderselo. Voglio smettere di essere un oggetto per diventare soggetto”.