“Diet culture” e cibi vegani ultraprocessati sono due facce di uno stesso problema. E riguarda soprattutto i giovani

Da una parte, il cibo processato a base vegetale è legato a rischio per la salute. Dall’altra, la cultura della dieta promossa sui social media può provocare disturbi alimentari. Intervista a Roberto Mele, del San Raffaele di Milano

di GUIDO GUIDI GUERRERA
12 febbraio 2025
Una ricerca pubblicata su Lancet sottolinea i rischi per la salute del cibo ultraprocessato a base vegetale

Una ricerca pubblicata su Lancet sottolinea i rischi per la salute del cibo ultraprocessato a base vegetale

Secondo un recente studio promosso dall’Imperial College di Londra in collaborazione con l’università San Paolo del Brasile il cibo ultraprocessato a base vegetale non sarebbe così sano come si crede, ma anzi responsabile di aumentare del 7% non solo il rischio di malattie cardiovascolari, ma anche di provocare cancro e diabete. Gli interessi sulla produzione di questo tipo di alimenti sono enormi con un mercato vastissimo in mano a colossi multinazionali pronti a speculare su certi orientamenti diventati oggi assai diffusi soprattutto fra i consumatori più giovani.

La ricerca, pubblicata su The Lancet Discovery Science, è dunque soprattutto finalizzata a definire fino a che punto determinate scelte possano essere ritenute le migliori per la tutela della nostra salute. In poche parole: è proprio detto che consumare carne o altri alimenti legati alla tradizione gastronomica occidentale possa essere sempre condannabile? E fino a che punto invece questi cibi apparentemente sani ma spesso sottoposti a processi di dubbia natura possono davvero rappresentare una valida e sostenibile alternativa agli alimenti legati a una dieta onnivora in cui la carne, com’è ovvio, è presente?

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Domande piuttosto complesse alle quali solo un esperto può dare una risposta scientificamente attendibile. Il dottor Roberto Mele, nutrizionista e coordinatore dell’area di Biologia della Nutrizione dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano studia e affronta da anni questo genere di tematiche, occupandosi di gestione della malnutrizione per difetto e per eccesso, tanto in condizioni fisiologiche che patologiche, ma anche di obesità, nutrizione oncologica e valutazione in altre patologie.

Dotto Mele, qual è il suo parere a proposito degli ultimi studi in cui si afferma che mangiare cibi vegani equivale a nutrirsi di alimenti iperprocessati?

“Il dibattito attorno al tema è molto vasto e complesso. La stessa rivista (The Lancet) ha pubblicato due studi, uno ad agosto e uno a dicembre del 2024, con i quali si affermava che il contributo alimentare derivante da alimenti di origine vegetale non trattati industrialmente (non-UPF) è inversamente legato al rischio di malattie cardiovascolari, mentre il contributo degli alimenti vegetali trasformati (UPF) ha mostrato un'associazione positiva. Dunque, riconoscere il ruolo della trasformazione alimentare è fondamentale per ottenere esiti favorevoli in relazione alle malattie cardiovascolari, anche nelle diete a base di alimenti vegetali. Inoltre, nel Regno Unito è stato registrato un consumo più elevato di alimenti trasformati industrialmente nelle diete vegetariane e un consumo inferiore nelle diete con una quantità moderata di carne o pesce. Il lavoro concludeva che è importante che le politiche che incoraggiano la transizione urgente verso modelli alimentari più sostenibili promuovano anche un riequilibrio delle diete verso alimenti minimamente lavorati. In ogni caso alcuni studi mostrano che una dieta ultraprocessata porta a un maggiore apporto energetico rispetto a diete minimamente processate, ma non è chiaro se queste differenze dipendano da specifiche caratteristiche degli UPF, mancando prove solide sugli effetti a lungo termine”.

Da nutrizionista ritiene che una dieta vegana o vegetariana, fatte le dovute distinzioni, sia raccomandabile?

“La scelta di diventare vegetariani o vegani può essere sostenuta da ragioni etiche o salutistiche. Se le ragioni etiche sono personali e non si possono mettere in discussione, quelle salutistiche possono essere dibattute. Ma oggi sappiamo con certezza che per un soggetto sano, con i dovuti accorgimenti, un regime alimentare vegetariano o vegano è assolutamente adeguato, contribuendo peraltro a ridurre il rischio di sviluppare patologie croniche non trasmissibili, come quelle cardiovascolari, il diabete o numerosi tumori. In presenza di patologie già diagnosticate la questione va invece discussa caso per caso con il nutrizionista. Nei regimi vegetariani l’assunzione di proteine, ferro, calcio, vitamina D, omega-3 e vitamina B12 va calibrata attentamente e in alcuni casi potrebbe essere necessario procedere a integrazioni specifiche. Nel caso degli alimenti industriali ricchi in grassi, specie se saturi, e contenenti zuccheri è importante avere uno sguardo critico imparando a leggere l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale presente sempre in etichetta”.

Quali sono i casi in cui sarebbe bene evitare questo tipo di scelta?

“In presenza di malattie infiammatorie croniche intestinali in fase acuta o in caso di diagnosi oncologiche è opportuno essere strettamente monitorati da un nutrizionista con esperienza clinica per evitare danni all’organismo. Nel caso di molte patologie esistono linee guida internazionali che vanno rispettate per garantire un supporto nutrizionale funzionale al percorso di cura. Se possibile, il nutrizionista clinico cercherà di assecondare la scelta etica del paziente, magari attraverso l’utilizzo di supplementi nutrizionali orali plant-based.”

La carne e i suoi derivati sono spesso sotto inchiesta come cause di possibili patologie. È sempre così?

“Nel caso delle carni ultraprocessate, come prosciutti e insaccati, ci sono evidenze che le associano certamente a un’aumentata incidenza di patologie cardiovascolari, oncologiche e endocrino-metaboliche come il diabete. In termini oncologici, in parte questo potrebbe essere legato alla presenza di specifici conservanti noti come nitriti e nitrati e che compaiono spesso in etichetta con la dicitura E249-252. Inoltre, è stato ipotizzato che anche la particolare forma del ferro contenuto negli alimenti di origine animale, e in particolare nella carne rossa, possa favorire la trasformazione in senso tumorale di cellule sane. L’importante è non eccedere e focalizzarsi anche su ciò che ci protegge da queste patologie, cioè gli alimenti di origine vegetale.”

Si parla sempre più di forme di disagio e disordine alimentare specialmente tra i giovani. Cosa raccomanda?

“In termini epidemiologici è ormai nota la polarizzazione a cui stiamo assistendo. Da un lato abbiamo l’aumento della prevalenza delle condizioni di sovrappeso e obesità in tutto il mondo occidentale, con numeri, specie nel sud Italia, tra i più preoccupanti: questo con particolare riferimento alla popolazione infantile. Senza contare l’incremento dell'incidenza dei disturbi del comportamento alimentare in senso restrittivo, di cui naturalmente osserviamo solo la punta dell'iceberg. I due fenomeni hanno una parziale genesi comune e questo è il riflesso della scarsa prevenzione delle nostre politiche sanitarie e della difficoltà per il sistema di comprendere l'importanza dell'intervento psicologico, oltre che di questioni irrisolte di ordine socio-economico e culturale. Anche alcuni nutrizionisti sono in parte responsabili del quadro, avendo favorito soprattutto sui social la cosiddetta ‘diet culture’, promuovendo approcci restrittivi spesso non necessari e tesi a conformarsi a presunti modelli estetici. Raccomando quindi di affidarsi a professionisti con comprovata esperienza e in più sottolineo l'importanza della valutazione e dell'analisi bioimpedenziometrica vettoriale, tecnica non invasiva per esaminare lo stato nutrizionale di una persona. Questo al fine di non incorrere in errori ed evitare di ‘ossessivizzare’ i pazienti su problemi che spesso non sussistono favorendo pericolosamente certi disturbi della nutrizione e dell'alimentazione”.

Vuol dirci il suo parere sulle nuove frontiere aperte alla creazione di prodotti realizzati in laboratorio, carne in primis?

“Si tratta di prodotti molto interessanti in termini nutrizionali e, soprattutto, di sostenibilità ambientale. Permangono tuttavia dubbi secondo alcuni studiosi circa i processi produttivi cui vengono sottoposti, dal momento che la qualità nutrizionale di un prodotto non è rappresentata solo dalla sua dichiarazione nutrizionale. Ad ogni modo, credo che la strada sia segnata e che si andrà sempre più verso un’alimentazione rispettosa dell’ambiente e della salute degli animali, secondo la visione One Health fondata sulla preservazione della salute umana, animale e dell’ecosistema. L’idea che un prodotto sia realizzato in laboratorio non deve spaventarci: gli occidentali consumano disinvoltamente bevande zuccherate, prodotti ricchi in grassi saturi e alcolici che fanno male, eppure nulla fa paura più delle novità”.

Qual è il suo consiglio da specialista per evitare rischi a tavola e rimanere in salute?

“Abbondare con gli alimenti di origine vegetale, come legumi e cereali integrali, oltre ai vegetali, limitando moltissimo i prodotti di origine animale e, in generale, quelli ricchi in grassi saturi e zuccheri, compresi i succhi di frutta in genere molto consumati dai bambini. Se possibile, abolire gli alcolici e ruotare continuamente gli alimenti consumati, in modo da consentire al nostro organismo di entrare in contatto con tutti i composti fitochimici bioattivi con caratteristiche protettive che si trovano soprattutto nei vegetali. Inoltre, è bene prendersi cura del proprio microbiota attraverso l’introduzione di fibra e di cibi fermentati come lo yogurt o il kefir. Gli italiani introducono pochissima fibra attraverso l’alimentazione, essenziale per raggiungere l’eubiosi, cioè la corretta proliferazione della flora batterica intestinale. La vera dieta Mediterranea è stata purtroppo abbandonata dai paesi occidentali, gli italiani consumano pasti iperglucidici e ipersodici, dobbiamo perciò alzare nuovamente l’indice di mediterraneità della nostra alimentazione, ispirandoci paradossalmente ai paesi dell’Estremo Oriente.”