Giustizia, il linguaggio corretto per la parità di genere

Le indicazioni dell'Accademia della Crusca: "No alla schwa e agli asterischi, no all’articolo davanti ai nomi, sì al femminile nelle professioni"

di BARBARA BERTI
21 marzo 2023
Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca

Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca

La Crusca spiega come scrivere gli atti giudiziari per rispettare la parità di genere. Sollecitata da una richiesta del Comitato pari opportunità del Consiglio direttivo della Cassazione, l’Accademia della Crusca - massima istituzione linguistica italiana, presieduta dal professore Claudio Marazzini – dà una serie di indicazioni su come scrivere correttamente gli atti formali. “A chi opera nel settore del diritto e dell’amministrazione della giustizia, così come a chi opera nella burocrazia delle istituzioni pubbliche è richiesto di scrivere in modo chiaro e sintetico, secondo regole che da tempo sono state indicate, per le quali è necessario un addestramento attento e continuo che ne renda naturale e automatico il rispetto” dice Marazzini, sottolineando che tali indicazioni non sono coercitive della lingua italiana bensì legate all’ambito di una scrittura professionale per darle omogeneità.
Il professore Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca

Il professore Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca

Stop alla schwa e agli asterischi

Da escludere assolutamente, nella compilazione degli atti giudiziari, “l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato”, come “l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico” dice Marazzini. Stesso discorso per la scevà o schwa, cioè l'ǝ dell'alfabeto fonetico internazionale che rappresenta la vocale centrale propria di molte lingue. “La lingua giuridica – aggiunge il professore - non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all'idioletto”

Sì all’uso del maschile plurale non marcato

In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, “lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza - sottolinea Marazzini - di quello che effettivamente è un modo di includere e non di prevaricare”. Marazzini ricorda che in contesti di pubblica oratoria “lavoratori e lavoratrici” va bene ma negli atti giudiziari, proprio per questioni di sintesi, è giusto utilizzare il maschile “o si possono scegliere altre forme neutre o generiche, per esempio sostituendo ‘lavoratori e lavoratrici’ con ‘dipendenti’”. La Crusca, quindi, dà il via libera al maschile non marcato che in molti casi è inevitabile: “se lo si volesse annullare interpretando il maschile in maniera assurdamente rigida, occorrerebbe rivedere tutti i testi scritti italiani, compresi quelli giuridici, occorrerebbe insomma riscrivere milioni di pagine, a cominciare dalla Costituzione della Repubblica, che parla di 'cittadini', senza reduplicare 'cittadini e cittadine', ma intendendo che i diritti dei cittadini sono anche quelli delle cittadine” ricorda Marazzini.

No alla Schwa e all'uso di asterischi

Sì al femminile nei nomi delle professioni

La massima istituzione linguistica italiana invita a fare “largo uso e senza esitazioni dei nomi di cariche e professioni volte al femminile”. Pertanto, in base all'applicazione delle normali regole di grammatica i nomi terminanti al maschile in -o hanno il femminile in -a: magistrato/magistrata; prefetto/prefetta; avvocato/avvocata; segretario/segretaria, segretario generale / segretaria generale; delegato/delegata; perito/perita; architetto/architetta; medico/medica; chirurgo/chirurga; maresciallo/marescialla; capitano/capitana; colonnello/colonnella. Anche per i nomi composti si può usare il femminile: “pubblica ministera” è corretto, così come “sostituta procuratrice”. “Suonano male? E’ solo questione d’abitudine” dice Marazzini annunciando che la Treccani ha già inserito anche la parola “medica”, ovvero la donna medico. L'Accademia della Crusca ricorda che i nomi terminanti in -e non suffissati sono ambigenere, cioè possono essere sia maschili che femminili e affidano l'indicazione del genere all'articolo (e stabiliscono l'accordo di altri elementi come aggettivi, participi…): il preside / la preside; il presidente / la presidente; il docente / la docente; il testimone / la testimone; il giudice / la giudice; il sottufficiale / la sottufficiale; il tenente / la tenente; il maggiore / la maggiore. Esempi con aggettivo: il consulente tecnico / la consulente tecnica; il giudice istruttore / la giudice istruttrice. Fanno eccezione forme ormai entrate nello standard come studente/studentessa, professore/professoressa.

La massima istituzione linguistica italiana invita a fare “largo uso e senza esitazioni dei nomi di cariche e professioni volte al femminile

Per i nomi composti con vice-, pro-, sotto-, sintagmi con vicario, sostituto, aiuto conta il genere della persona che deve portare l'appellativo: se è donna andrà al femminile secondo le regole del sostantivo indicante il ruolo, se è uomo andrà al maschile, senza considerare il genere della persona di cui è vice, vicaria/vicario, sostituta/sostituto.

Niente articolo davanti al nome

Un capitolo delle raccomandazioni della Crusca è dedicato all’uso dell'articolo con i cognomi di donne. “L’omissione dell’articolo determinativo di fronte al cognome si è negli ultimi anni particolarmente diffusa, non solo nel femminile, ma anche nel maschile. Oggi l’articolo è considerato discriminatorio e offensivo non solo per il femminile, ma anche per il maschile – dice il presidente della Crusca – Senza entrare nel merito delle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata, ormai si è diffusa nel sentimento comune e quindi il linguaggio pubblico ne deve tener conto”. “Il Manzoni” è scorretto così come non va bene “la Meloni”. Senza articolo si perdono alcune informazioni per cui è consigliato aggiungere il nome al cognome o eventualmente la qualifica.