Che la declinazione al femminile di parole e ruoli storicamente legati al genere maschile non piaccia alla destra, non è certo una novità. Basta vedere l’attaccamento di Giorgia Meloni al suo appellativo di (il) presidente. Non sorprende, quindi, il disegno di legge fresco di stampa con cui il partito di Salvini chiede di fermare questa novità linguistica.
Il disegno di legge porta la firma del leghista toscano Manfredi Potenti, dal titolo “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere”, e vuole mettere al bando, nei documenti pubblici, parole come ‘sindaca’, ‘questora’ o ‘rettrice’ che – a detta loro – minerebbero l’integrità della lingua italiana che, per certe cose, contempla solo e da sempre il maschile. Poco importa che la lingua si evolva, segua i cambiamenti sociali. Alcune cose non devono cambiare e chi ci prova è meritevole di sanzione. Il ddl, infatti, prevederebbe addirittura una multa fino a 5mila euro.
Nella premessa – come riportato da Adnkronos – il senatore toscano prende a esempio, come modello da non seguire assolutamente, l’ateneo di Trento che ha deciso di introdurre il femminile sovraesteso per le cariche e i riferimenti di genere, "con la conseguenza – sottolinea il leghista – che, ad esempio, si è utilizzato 'rettrice' anche per l’incarico di rettore rivestito da un uomo". Siamo di fronte, avverte il leghista a "personalismi non invocati dall’ordinamento il quale correttamente deve pretendere che gli aspetti privati di chi esercita funzioni pubbliche rimangano accantonati. Una decisione assunta da una 'sindaca' potrebbe essere addirittura impugnabile poiché non prevista dal nostro ordinamento".