Cosa chiede di così assurdo la dichiarazione Ue sui diritti Lgbt, che l’Italia non ha firmato?

Il nostro paese, al pari di Ungheria, Romania, Bulgaria etc… non ha voluto firmare la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore dei diritti Lgbtqi+. Il motivo è il solito: il terrore per il gender

di TERESA SCARCELLA -
18 maggio 2024
La premier Giorgia Meloni con la ministra Eugenia Roccella

La premier Giorgia Meloni con la ministra Eugenia Roccella

"Omofobia, bifobia e transfobia costituiscono un'insopportabile piaga sociale ancora presente e causa di inaccettabili discriminazioni e violenze, in alcune aree del mondo persino legittimate da norme che calpestano i diritti della persona". Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si era espresso ieri, in occasione della Giornata contro l’omolesbobitransfobia, per poi chiosare: “È compito delle istituzioni elaborare efficaci strategie di prevenzione che educhino al rispetto della diversità e dell'altro, all'inclusione”.

Strategie, appunto. Come quelle proposte a livello europeo e declinate dall’Italia. "Il Governo ribadisce il suo impegno contro ogni forma di discriminazione, violenza e intolleranza", aveva assicurato sempre ieri la premier Giorgia Meloni. Peccato però che quando c’era da firmare la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtiq+, non si è firmato. Perché? Il motivo è presto detto: il temuto gender

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L’Italia non firma insieme a Ungheria, Romania etc...

La dichiarazione, presentata dalla presidenza di turno belga ai Paesi membri dell'Ue, non è stata firmata da 9 Stati su 27. L’Italia, appunto, al pari di Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. 

La firma era un impegno ad attuare strategie nazionali per le persone LGBTQI+ e a sostenere la nomina di un nuovo Commissario per l'uguaglianza, con l’obiettivo di migliorare i diritti della comunità durante la prossima legislatura, stanziando risorse sufficienti e collaborando con la società civile. Ma dietro questa dichiarazione, per il nostro governo, si nasconde evidentemente un piano oscuro. “Non abbiamo firmato e non firmeremo nulla che riguardi la negazione dell'identità maschile e femminile, che tante ingiustizie ha già prodotto nel mondo in particolare ai danni delle donne – ha spiegato Eugenia Roccella, ministra alle Pari Opportunità – Se la sinistra ed Elly Schlein vogliono riproporre la legge Zan, il gender e la possibilità di dichiararsi maschio o femmina al di là della realtà biologica, abbiano il coraggio di dirlo con chiarezza. Se è il gender che vogliono, lo propongano apertamente". 

Una scelta che ovviamente ha fatto gridare allo scandalo la sinistra italiana, con proprio Schlein e Zan in prima linea. Ma entriamo nel merito della dichiarazione e cerchiamo di capire i motivi di questo assenteismo italiano. 

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Cosa prevede la dichiarazione

"L'uguaglianza e la non discriminazione sono valori centrali e diritti fondamentali nell'UE”, iniziano così le quattro pagine scarse della dichiarazione. Il documento poi prosegue sulla tutela dei diritti, sulla necessità di garantirli a chiunque, senza discriminazioni ed è qui che viene citata per la prima volta l’identità di genere. (La parola “gender” viene usata 5 volte, 3 se si escludono le ripetizioni).  "I trattati dell'Unione europea, la Carta e il diritto internazionale garantiscono il godimento dei diritti umani a tutti, indipendentemente dalle differenze basate su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale”. E fin qui, possiamo dire, nulla di nuovo. Poi prosegue: “Altri motivi, tra cui il genere, l'identità di genere, l'espressione di genere o le caratteristiche sessuali sono protette dalle leggi nazionali in vari Stati membri”. E’ un dato di fatto. 

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Andiamo quindi alle richieste che forse hanno fatto storcere qualche naso. “L’impegno a promuovere l'uguaglianza, a prevenire e combattere la discriminazione, in particolare sulla base dell'identità di genere, dell'espressione di genere, delle caratteristiche sessuali e dell'orientamento sessuale”. Il termine incriminato avrà fatto sobbalzare qualcuno dalla sedia, pur non riportando con sé niente di più che non sia già contenuto nel concetto base di rispetto. 

Poi, “prevedere uno status giuridico per le coppie dello stesso sesso”, che ad esser pignoli non significa approvare il matrimonio (anche se la Grecia ha dimostrato che è possibile perfino per un governo di centrodestra). Infine, tra gli inviti rivolti alla Commissione, quello di “continuare a lavorare per garantire la piena libertà di movimento per tutte le persone LGBTIQ e le loro famiglie”. Il che rimanderebbe alla proposta del famoso certificato europeo di genitorialità, ovvero il riconoscimento a una coppia dello stesso sesso dello status di genitori, così come acquisito in un Paese dell'UE, anche negli altri Stati membri. Una porta, secondo il nostro governo, sulla legittimazione della maternità surrogata. 

Quindi nulla. Un paese come il nostro, che si piazza al 35esimo posto in Europa per uguaglianza e tutela dei diritti Lgbt (tra Lituania e Georgia, dopo l’Ungheria), non sente il bisogno di fare passi avanti.