Dopo l’esito delle elezioni regionali che, nei giorni scorsi, ha confermato il centrodestra alla guida della Liguria per i prossimi cinque anni, l’ex sindaco di Genova, Marco Bucci, ha ufficializzato assessori e assessore che lo accompagneranno nel corso della legislatura.
Una donna e sette uomini: lo squilibrio nella giunta ligure
Ma, per descrivere la composizione del gruppo, sarebbe più adeguato utilizzare il singolare per il numero di donne nominate, dal momento in cui il team sarà composto da una sola assessora a fronte di ben sette uomini che, assieme allo stesso Bucci, siederanno nella stanza dei bottoni di una regione contraddistinta da un elevato fermento politico.
Ad essere confermata con delega allo sport è stata Simona Ferro, eletta tra le fila di Fratelli d’Italia e detentrice della scrivania che si occuperà anche di scuola, università, formazione e politiche del lavoro. Un incarico che, per quanto importante, mostra ancora una volta come il gender gap influisca in modo rilevante in ogni ambito della società, da quello dirigenziale a quello economico, in questo caso passando anche per quello politico.
Il gender gap in politica
Secondo una ricerca condotta da Openpolis e aggiornata al 2020, a risultare più virtuose erano le regioni Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio che, rispettivamente, spaziavano tra 38,7% e 32,0% per percentuale conglomerata di donne presenti nelle rispettive giunte e nei rispettivi consigli regionali. Fanalini di coda, invece, Puglia, Liguria e Basilicata, con percentuali che non riuscivano, in nessuno dei tre casi, ad oltrepassare il 13%.
Una situazione già critica, dunque, per la giunta ligure che, nel corso del precedente mandato Toti II, presentava la stessa Simona Ferro come unica donna presente all’interno del gruppo di lavoro. Rimanendo sul centro Italia, invece, ad essere virtuoso è ancora una volta l’organo toscano, che si attesta su un chiaro 50%.
Quote rosa e meritocrazia
Ad ogni modo, l’importante è non confondere la luna con il dito. La norma che ha introdotto le quote rosa, infatti, non implica – come nel caso dei consigli regionali – precise percentuali di genere da rispettare, ma afferma unicamente che entrambi i generi debbano essere presenti al momento della nomina da parte del Presidente o della Presidente di regione. Una legge, quest’ultima, che dovrebbe assumere unicamente compiti temporanei, volti a garantire la presenza delle donne in organi decisionali o in ambienti lavorativi dai quali, a causa di una mentalità patriarcale che dedica loro meno spazio in società, verrebbero altrimenti escluse.
La speranza ultima, per quanto utopica, è che sia la meritocrazia – in condizioni di pari possibilità per ognuno e ognuna di intraprendere il proprio percorso di vita – a decidere la composizione degli organi detentori di un potere economico, politico e sociale, qualunque esso sia. Ma, in assenza di un mutamento valoriale che, alla luce dei fatti recenti, appare ancora molto lontano, le quote rosa detengono e continueranno a detenere il compito di colmare le differenze di partenza insite in un meccanismo meritocratico che, ad oggi, appare più figlio di pregiudizi che perfetto.