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Home » Politica » Il lungo cammino contro la violenza sulle donne: c’era una volta e purtroppo c’è ancora

Il lungo cammino contro la violenza sulle donne: c’era una volta e purtroppo c’è ancora

In passato il matrimonio riparatore e il delitto d'onore, oggi i reati di stalking, revenge porn e i femminicidi. I crimini di genere non si arrestano ma anche le tutele aumentano. Ma per cambiare mentalità e cultura il percorso è ancora lungo

Gianna Conti
8 Febbraio 2022
A hand-drawn frightening woman's face and hands. Red and black.

A hand-drawn frightening woman's face and hands. Red and black.

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C’erano una volta, in Italia e in tutto il mondo (e purtroppo ci sono ancora), uomini che odiano le donne. C’erano una volta, in Italia e in tutto il mondo (e fortunatamente ci sono ancora), lotte e battaglie per garantire i diritti delle donne.
Nel 1965 esisteva ancora il matrimonio riparatore, che ‘metteva in sicurezza’ rapitori e violentatori in cambio delle nozze con le loro vittime: ma una ragazza di 17 anni, Franca Viola, osò sfidare la società, la legge scritta e quella non scritta, e denunciò il violentatore. Dal 1981, grazie a lei e a tutte le donne che hanno detto no – ispirate dal suo coraggio – non esiste più il concetto del matrimonio riparatore e la scappatoia che prevedeva; non esiste più il delitto d’onore, abrogato anch’esso nel 1981.

La violenza sulle donne è un “problema reale”

Nel 1975 ricordiamo il lungo cammino che fu intrapreso a partire dalle manifestazioni seguite allo “stupro del Circeo“, in cui due ragazze giovanissime, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, furono sequestrate, violentate e torturate da tre giovani della Roma bene. La Lopez fu uccisa, la Colasanti riuscì a salvarsi fingendosi morta. Vi furono cortei notturni, caratterizzati dal suggestivo slogan “riprendiamoci la notte”; vi furono presidi del Movimento delle donne nelle aule di tribunale, dove le vittime (donne) di violenza di fatto venivano trattate come imputate; vi fu l’inizio della lunga gestazione della legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale (entrata in vigore solo vent’anni dopo) e la creazione di centri anti-violenza in cui potessero trovare rifugio anche le donne vittime di violenza domestica.

Valeria Valente, presidente della Commisione di inchiesta sui femminicidi e la violenza di genere al Senato

Tanti atti di coraggio, singoli o collettivi. Passi avanti per trasformare ogni oppressione in indipendenza, ogni violenza in liberazione. Lucia Annibali ha trasformato la tragedia personale dello sfregio con l’acido, organizzato dal suo ex fidanzato, in impegno politico e parlamentare; la sua vicenda ha dato un grande risalto mediatico al reato di atti persecutori o stalking, che già dal 2009 condanna chi perseguita la propria ex, con telefonate, mail, appostamenti, fino a condurla in uno stato di terrore e di angoscia. Ci sono voluti altri passi, altre sofferenze, altre vittime. Tiziana Cantone nel 2016 si tolse la vita perché non ce la fece a sopportare la vergogna ed il dolore che le causò chi l’aveva tradita, mettendo in Rete sue immagini intime: anche l’orrore suscitato dal suo gesto ha portato alla legge del 2019 contro il revenge porn o ‘porno vendetta’. In tal modo è stato riempito un vuoto legislativo, seguendo l’esempio di Germania, Israele e Regno Unito, e di trentaquattro Stati degli Usa. Siamo passati dal silenzio e dalla vergogna per le violenze, le avances, le molestie subite, alle battaglie condotte nel 2017 dal movimento #MeToo e “ni una menos”; dalla lunga scia di femminicidi alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra in tutto il mondo il 25 novembre.

Un cammino ancora lungo da compiere: da condurre nelle pieghe della società che ancora oggi mostra anche giovani e giovanissimi, perfino donne e ragazze, imbrigliati in un retaggio culturale che fa loro identificare la donna come unica colpevole; e da condurre nelle aule di tribunale, dove le leggi dovrebbero essere applicate senza gettare lo sguardo ad un passato di discriminazione che sembra tornare troppo spesso.

violenza-donne-braccialetto-elettronico
La violenza sulle donne è frutto di un retaggio culturale ben radicato nel nostro Paese

Le leggi

  • Nel 1996 entra in vigore la legge n. 66 (e seguenti) che sposta i reati di natura sessuale da reati contro la morale pubblica e il buon costume, a reati contro la persona, modificando di conseguenza il Codice penale con l’aggiunta di ben undici articoli (dal 609 bis al 609 duodiecies) e disciplinando, inoltre, come aggravante che inasprisce le pene dai sei ai dodici anni, le violenze commesse facendo ricorso all’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa. Viene normato anche lo stupro di gruppo, definendo tale “la violenza sessuale di gruppo (che) consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis”, e pertanto soggetta ad aggravante.
  • Nel 2009, con la legge n. 38, ancora una modifica al Codice penale, che introduce all’art 612 bis il reato di atti persecutori (o stalking), intendendo per tali tutte quelle azioni comprese nella “minaccia o molesta in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura” e stabilisce una pena da sei mesi a cinque anni, pena aumentata “se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”. 
  • Nel 2019, un’ulteriore modifica al Codice penale, con l’aggiunta dell’art. 612 ter che introduce il reato di revenge porn o vendetta sessuale, e punisce  con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000 “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
C’erano una volta, in Italia e in tutto il mondo (e purtroppo ci sono ancora), uomini che odiano le donne. C’erano una volta, in Italia e in tutto il mondo (e fortunatamente ci sono ancora), lotte e battaglie per garantire i diritti delle donne. Nel 1965 esisteva ancora il matrimonio riparatore, che 'metteva in sicurezza' rapitori e violentatori in cambio delle nozze con le loro vittime: ma una ragazza di 17 anni, Franca Viola, osò sfidare la società, la legge scritta e quella non scritta, e denunciò il violentatore. Dal 1981, grazie a lei e a tutte le donne che hanno detto no - ispirate dal suo coraggio - non esiste più il concetto del matrimonio riparatore e la scappatoia che prevedeva; non esiste più il delitto d’onore, abrogato anch’esso nel 1981.
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  • Nel 1996 entra in vigore la legge n. 66 (e seguenti) che sposta i reati di natura sessuale da reati contro la morale pubblica e il buon costume, a reati contro la persona, modificando di conseguenza il Codice penale con l’aggiunta di ben undici articoli (dal 609 bis al 609 duodiecies) e disciplinando, inoltre, come aggravante che inasprisce le pene dai sei ai dodici anni, le violenze commesse facendo ricorso all'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa. Viene normato anche lo stupro di gruppo, definendo tale “la violenza sessuale di gruppo (che) consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'articolo 609-bis”, e pertanto soggetta ad aggravante.
  • Nel 2009, con la legge n. 38, ancora una modifica al Codice penale, che introduce all’art 612 bis il reato di atti persecutori (o stalking), intendendo per tali tutte quelle azioni comprese nella “minaccia o molesta in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura” e stabilisce una pena da sei mesi a cinque anni, pena aumentata “se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”. 
  • Nel 2019, un’ulteriore modifica al Codice penale, con l’aggiunta dell’art. 612 ter che introduce il reato di revenge porn o vendetta sessuale, e punisce  con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000 “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”.
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