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Home » Scienze e culture » Quando l’amore diventa morte: alla Gam di Torino il primo dipinto sul femminicidio

Quando l’amore diventa morte: alla Gam di Torino il primo dipinto sul femminicidio

E al cinema un film con Serra Yilmaz: a novembre uscirà il film ‘La sposa nel vento’ uno sguardo d’autore sulla violenza di genere e sulla ferocia del femminicidio

Maurizio Costanzo
16 Ottobre 2022
La femme de Claude, una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere L’adultera. L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il “dramma moderno” di una giovane donna vittima della violenza del marito

"La femme de Claude" (1877), una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere L’adultera. L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il “dramma moderno” di una giovane donna vittima della violenza del marito

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Le donne vittime di femminicidio hanno nomi comuni: Anna, Roberta, Chiara, Paola, Maria… Nomi che pronunciamo a scuola o in ufficio, in famiglia o tra amici. Nomi comuni a ricordarci che una donna uccisa per mano di un uomo può essere chiunque: una madre, una sorella, una cugina, un’amica. Anche le loro storie d’amore molto spesso sono storie comuni, iniziate come molte ma finite nel sangue e nel modo più atroce. Iniziano in un locale, o a cena, o in un cinema. Una rosa regalata, una passeggiata mano nella mano.

Fermarsi a chiacchierare sotto casa, lui che le strappa un sorriso, lei che pensa che può essere l’uomo giusto, per mille ragioni che non si sa spiegare. Perché la fa ridere, perché non è come con gli altri, perché con lui le parole non si asciugano subito. Perché viene talmente facile abbracciarsi, e poi perché il tempo insieme non passa, vola e non è mai abbastanza.

Difficile immaginare il precipizio, quando si è stati catapultati a tre metri dal cielo dall’ascensore della felicità. Ma poi l’amore cambia faccia, diventa qualcos’altro. L’ascensore s’inceppa e quell’uomo diventa qualcun altro, spaventoso e irriconoscibile. Panico su panico: si spezza un cavo e l’ascensore inizia a precipitare. Farla finita a parole non basta, non vedersi più non serve. I ricordi restano impigliati in mille cose, a cominciare dalla fotografia da sposa incorniciata nella grande cornice d’argento. Schegge di vita insieme restano nella musica che ora fa male anche ascoltare, la stessa che insieme avevano urlato a squarciagola ai concerti. I ricordi sono dappertutto, anche nella televisione, davanti alla quale lui guardava la partita e lei faceva finta di seguire il gioco. Sulle mensole, nella collezione di souvenir portati al ritorno da ogni viaggio. Nelle scarpe da ginnastica delle domeniche al parco, delle scampagnate nei boschi, dei giovedì in palestra. Tutto è così lontano, così diverso, pensa lei. Forse avrei dovuto mostrarmi più simpatica coi suoi amici, assecondarti di più, vestirmi come volevi tu, mettermi in posa quando volevi scattarmi una foto, essere più brava in cucina, a letto, coi figli, con tutto.
Intanto le carezze diventano pugni, i baci sulle labbra lasciano il posto ai lividi sulla pelle. Lei che lo lascia, lui che non si rassegna all’idea che pur vivendo separati si continua ad esistere lo stesso. Lui che si piazza sotto casa e lei che lo schiva e pensa: se adesso lo denuncio, chissà cosa ne sarà di me e dei miei figli. Intanto l’ascensore precipita, e mentre precipita qualcuno gli consiglia: “Perché non la richiami e cerchi di aggiustare le cose?”.

Più di una ogni 3 giorni, a comporre un dossier di sangue e violenza. A Ferragosto il Viminale

La fine di una storia si trasforma così in un duello atroce, per nulla onesto. Lui e lei che si allontanano, dandosi le spalle, per strade diverse, opposte. Lui che le dice “mi manchi, non so vivere senza di te, non ce la posso fare, torniamo insieme, giuro che cambio, mettimi alla prova, sarà tutto diverso…”. Lei che esita a voltarsi, perché ha giurato di non ricascarci più. Ma poi ci pensa a lungo e alla fine si chiede: che duello è mai questo, che finisce con due sconfitti e nessun vincitore? Così, anche se avverte il rischio nell’aria, anche se pensa al suo “mi manchi” come a cose che si dicono, sull’altare di quella famiglia infelice che pure aveva vissuto compleanni, vigilie di Natale, domeniche di festa e momenti di assoluta felicità, decide di concedergli l’ennesima opportunità.
Bene, pensa lei, mentre cede e si volta: facciamo come dici tu, ricominciamo tutto daccapo e sforziamoci di fare meglio. E invece tutto daccapo ricomincia, ma in peggio.

Le prime vittime di femminicidio del 2022
Le prime vittime di femminicidio del 2022

Dopo poco l’aria pesante ricomincia a soffiare sulle loro giornate. Lui che torna ad infiammarsi per un niente, le nubi che tornano ad addensarsi anche nelle giornate di sole, la tensione che sale giorno dopo giorno. E proprio come una volta ricominciano le botte, le violenze, le liti, le gelosie. E poi di nuovo lacrime e lividi, schiaffi e urla. I vicini che sentono tutto, che notano che sul viso di quella donna il sorriso è sparito, finito chissà dove. Pestato dalle mani di lui, sempre più violento; ammutolito dal silenzio di lei, che tiene tutto dentro e non si fa vedere in giro da un po’. Lei che quando esce, magari per correre a fare la spesa o a prendere i figli a scuola, lo fa come una scappata di casa, mascherando gli occhi neri dietro un paio di occhiali scuri. Lui che senza rimorsi trasforma la loro vita in un film dell’orrore, lei che piange lacrime e sangue, che non ce la fa più, che vuole uscirne ma non sa come, e non sa se denunciare, perchè non sa se basterà, non sa che fine farà, che fine faranno i suoi figli, dove vivranno, quando finirà quell’incubo. Fino a che un giorno quell’incubo finisce, nel peggiore dei modi: nel sangue, con la morte.

Il resto sono scene viste mille volte, il funerale in chiesa, le lacrime, il lancio di palloncini, i telegiornali che parlano dell’ennesima vittima, l’indignazione generale, le parole di chi la conosceva, di chi la descrive come una ragazza sempre col sorriso sulle labbra e gentile con tutti.

La femme de Claude, una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere L’adultera. L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il “dramma moderno” di una giovane donna vittima della violenza del marito
“La femme de Claude” (1877), una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere “L’adultera”. L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il dramma  di una giovane donna vittima della violenza del marito

“La femme de Claude” di Francesco Mosso

Per sensibilizzare sul tema, l’arte è, pe sua natura, uno strumento fondamentale. Lo sa bene la Gam Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, che ha deciso di mettere in mostra primo dipinto sul femminicidio. La Gam ha inaugurato così la stagione con la mostra ‘Ottocento’, un’occasione per riscoprire parte della collezione del museo, da quasi quattro anni non visibile al pubblico. Tra le opere c’è La femme de Claude, una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere L’adultera. L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il “dramma moderno” di una giovane donna vittima della violenza del marito, una delle prime immagini di un femminicidio, in cui la protagonista è colta in modo conturbante con il corpo contratto e lo sguardo colmo di terrore. Curata da Riccardo Passoni, direttore della Gam, e da Virginia Bertone, conservatore capo delle raccolte, la mostra presenta settantuno opere tra dipinti, pastelli, grandi disegni a carbone, sculture in marmo, delicati gessi e cere. Il tema della donna è una delle tracce per visitare la mostra: da soggetto letterario dell’età romantica, la figura femminile diviene nel corso del secolo il fulcro di immagini sempre più aderenti alla realtà contemporanea. Attiva in campo culturale come nel caso della maestra elementare raffigurata ne Il dettato di Demetrio Cosola, o ancora creature mitologiche ma cariche di inquietudini moderne come la Sirena tratteggiata da Giulio Aristide Sartorio.

Violenza di genere

Uno scatto dal backstage del set del film "Una sposa nel vento"
Uno scatto dal backstage del set del film “Una sposa nel vento”

Uno sguardo d’autore sulla violenza di genere e sulla ferocia del femminicidio lo punta anche il cinema col nuovo film di Giovanni Coda, La sposa nel vento. Nel cast spiccano i nomi di Serra Yilmaz, amata interprete dei film di Ferzan Ozpetek, e dell’attore romano Lorenzo Balducci, voci narranti per lo più fuori campo. “C’è più che mai bisogno di film che affrontino il dramma dei femminicidi, perché non sono affatto diminuiti, al contrario, sono più numerosi di una volta”, afferma l’attrice di teatro e cinema, da sempre impegnata nel campo dei diritti civili. Che rivolgendosi idealmente ai genitori e ribaltando gli stereotipi culturali dice: “Non dire a tua figlia di vestirsi in maniera meno provocante, dì piuttosto a tuo figlio di comportarsi bene, da galantuomo, di avere una relazione paritaria, perché quando non c’è consenso c’è violenza”, spiega. Giovanni Coda crea differenti piani narrativi, accosta la ricerca documentaria a una dimensione simbolica, le testimonianze delle vittime alle vite straordinarie ed esemplari di alcune icone della cultura del ‘900. Un racconto per immagini, “un docufilm neosperimentale” – lo definisce il regista – in cui le diverse arti si intrecciano, con una cifra personale e potentemente evocativa. Il film è un drammatico itinerario nella memoria. Un’opera in otto episodi per un racconto a più voci, lucido e feroce, visionario e poetico, nello stile di Coda. Prodotto da Movie Factory Roma, è l’ultimo capitolo della trilogia cinematografica firmata dal regista cagliaritano sulla violenza di genere. Arriva dopo i pluripremiati “Il Rosa Nudo”, sulla persecuzione nazista contro gli omosessuali e “Bullied To Death”, sul cyberbullismo omofobo.

La sposa nel vento

L’uscita di “La sposa nel vento” è in programma il prossimo novembre. Documentazione, rievocazione storica e allegoria si intrecciano in questa trama in cui spiccano le figure di grandi donne come Tina Modotti, Gerda Taro, Diane Arbus, Francesca Woodman, Frida Kahlo. Coda parte da Orgosolo, in Barbagia, per ricordare la vicenda di Antonia Mesina, la giovane uccisa perché si opponeva a un tentativo di violenza sessuale e beatificata nel 1987 da Giovanni Paolo II. “Una mia amica subì un tentativo di violenza nell’androne del suo palazzo – ricorda – fu uno shock. Oltre alla violenza c’è tutto un carico emotivo che una donna si porta appresso difficile da risanare. Per questo non sono mai troppe le iniziative, i film, gli spettacoli, gli incontri, con al centro il tema della violenza di genere. Una vera e propria piaga sociale che si fa ancora fatica a debellare. Per tanti passi avanti se ne fanno altrettanti indietro”. La sposa nel vento si ispira a tante storie di donne di culture e origini diverse, tra denuncia e speranza.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Le donne vittime di femminicidio hanno nomi comuni: Anna, Roberta, Chiara, Paola, Maria… Nomi che pronunciamo a scuola o in ufficio, in famiglia o tra amici. Nomi comuni a ricordarci che una donna uccisa per mano di un uomo può essere chiunque: una madre, una sorella, una cugina, un’amica. Anche le loro storie d’amore molto spesso sono storie comuni, iniziate come molte ma finite nel sangue e nel modo più atroce. Iniziano in un locale, o a cena, o in un cinema. Una rosa regalata, una passeggiata mano nella mano. Fermarsi a chiacchierare sotto casa, lui che le strappa un sorriso, lei che pensa che può essere l’uomo giusto, per mille ragioni che non si sa spiegare. Perché la fa ridere, perché non è come con gli altri, perché con lui le parole non si asciugano subito. Perché viene talmente facile abbracciarsi, e poi perché il tempo insieme non passa, vola e non è mai abbastanza. Difficile immaginare il precipizio, quando si è stati catapultati a tre metri dal cielo dall’ascensore della felicità. Ma poi l’amore cambia faccia, diventa qualcos’altro. L’ascensore s’inceppa e quell’uomo diventa qualcun altro, spaventoso e irriconoscibile. Panico su panico: si spezza un cavo e l’ascensore inizia a precipitare. Farla finita a parole non basta, non vedersi più non serve. I ricordi restano impigliati in mille cose, a cominciare dalla fotografia da sposa incorniciata nella grande cornice d’argento. Schegge di vita insieme restano nella musica che ora fa male anche ascoltare, la stessa che insieme avevano urlato a squarciagola ai concerti. I ricordi sono dappertutto, anche nella televisione, davanti alla quale lui guardava la partita e lei faceva finta di seguire il gioco. Sulle mensole, nella collezione di souvenir portati al ritorno da ogni viaggio. Nelle scarpe da ginnastica delle domeniche al parco, delle scampagnate nei boschi, dei giovedì in palestra. Tutto è così lontano, così diverso, pensa lei. Forse avrei dovuto mostrarmi più simpatica coi suoi amici, assecondarti di più, vestirmi come volevi tu, mettermi in posa quando volevi scattarmi una foto, essere più brava in cucina, a letto, coi figli, con tutto. Intanto le carezze diventano pugni, i baci sulle labbra lasciano il posto ai lividi sulla pelle. Lei che lo lascia, lui che non si rassegna all’idea che pur vivendo separati si continua ad esistere lo stesso. Lui che si piazza sotto casa e lei che lo schiva e pensa: se adesso lo denuncio, chissà cosa ne sarà di me e dei miei figli. Intanto l’ascensore precipita, e mentre precipita qualcuno gli consiglia: “Perché non la richiami e cerchi di aggiustare le cose?”. Più di una ogni 3 giorni, a comporre un dossier di sangue e violenza. A Ferragosto il Viminale La fine di una storia si trasforma così in un duello atroce, per nulla onesto. Lui e lei che si allontanano, dandosi le spalle, per strade diverse, opposte. Lui che le dice “mi manchi, non so vivere senza di te, non ce la posso fare, torniamo insieme, giuro che cambio, mettimi alla prova, sarà tutto diverso…”. Lei che esita a voltarsi, perché ha giurato di non ricascarci più. Ma poi ci pensa a lungo e alla fine si chiede: che duello è mai questo, che finisce con due sconfitti e nessun vincitore? Così, anche se avverte il rischio nell’aria, anche se pensa al suo “mi manchi” come a cose che si dicono, sull’altare di quella famiglia infelice che pure aveva vissuto compleanni, vigilie di Natale, domeniche di festa e momenti di assoluta felicità, decide di concedergli l’ennesima opportunità. Bene, pensa lei, mentre cede e si volta: facciamo come dici tu, ricominciamo tutto daccapo e sforziamoci di fare meglio. E invece tutto daccapo ricomincia, ma in peggio.
Le prime vittime di femminicidio del 2022
Le prime vittime di femminicidio del 2022
Dopo poco l’aria pesante ricomincia a soffiare sulle loro giornate. Lui che torna ad infiammarsi per un niente, le nubi che tornano ad addensarsi anche nelle giornate di sole, la tensione che sale giorno dopo giorno. E proprio come una volta ricominciano le botte, le violenze, le liti, le gelosie. E poi di nuovo lacrime e lividi, schiaffi e urla. I vicini che sentono tutto, che notano che sul viso di quella donna il sorriso è sparito, finito chissà dove. Pestato dalle mani di lui, sempre più violento; ammutolito dal silenzio di lei, che tiene tutto dentro e non si fa vedere in giro da un po’. Lei che quando esce, magari per correre a fare la spesa o a prendere i figli a scuola, lo fa come una scappata di casa, mascherando gli occhi neri dietro un paio di occhiali scuri. Lui che senza rimorsi trasforma la loro vita in un film dell’orrore, lei che piange lacrime e sangue, che non ce la fa più, che vuole uscirne ma non sa come, e non sa se denunciare, perchè non sa se basterà, non sa che fine farà, che fine faranno i suoi figli, dove vivranno, quando finirà quell’incubo. Fino a che un giorno quell’incubo finisce, nel peggiore dei modi: nel sangue, con la morte. Il resto sono scene viste mille volte, il funerale in chiesa, le lacrime, il lancio di palloncini, i telegiornali che parlano dell’ennesima vittima, l’indignazione generale, le parole di chi la conosceva, di chi la descrive come una ragazza sempre col sorriso sulle labbra e gentile con tutti.
La femme de Claude, una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere L’adultera. L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il “dramma moderno” di una giovane donna vittima della violenza del marito
"La femme de Claude" (1877), una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere "L’adultera". L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il dramma  di una giovane donna vittima della violenza del marito

"La femme de Claude" di Francesco Mosso

Per sensibilizzare sul tema, l’arte è, pe sua natura, uno strumento fondamentale. Lo sa bene la Gam Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, che ha deciso di mettere in mostra primo dipinto sul femminicidio. La Gam ha inaugurato così la stagione con la mostra ‘Ottocento’, un’occasione per riscoprire parte della collezione del museo, da quasi quattro anni non visibile al pubblico. Tra le opere c’è La femme de Claude, una grande tela il cui vero titolo avrebbe dovuto essere L’adultera. L’artista Francesco Mosso, scomparso a 29 anni, rappresenta il “dramma moderno” di una giovane donna vittima della violenza del marito, una delle prime immagini di un femminicidio, in cui la protagonista è colta in modo conturbante con il corpo contratto e lo sguardo colmo di terrore. Curata da Riccardo Passoni, direttore della Gam, e da Virginia Bertone, conservatore capo delle raccolte, la mostra presenta settantuno opere tra dipinti, pastelli, grandi disegni a carbone, sculture in marmo, delicati gessi e cere. Il tema della donna è una delle tracce per visitare la mostra: da soggetto letterario dell’età romantica, la figura femminile diviene nel corso del secolo il fulcro di immagini sempre più aderenti alla realtà contemporanea. Attiva in campo culturale come nel caso della maestra elementare raffigurata ne Il dettato di Demetrio Cosola, o ancora creature mitologiche ma cariche di inquietudini moderne come la Sirena tratteggiata da Giulio Aristide Sartorio.

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La sposa nel vento

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