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Home » Scienze e culture » Brasile primo Paese a dichiarare che l’accordo di Parigi è un trattato sui diritti umani

Brasile primo Paese a dichiarare che l’accordo di Parigi è un trattato sui diritti umani

Sentenza storica nello Stato sudamericano: "Non esiste alcuna opzione giuridicamente valida per omettere di combattere il cambiamento climatico"

Domenico Guarino
21 Luglio 2022
Brasile

Brasile

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Considerato tutto è una notizia che colpisce. Il Brasile di Bolsonaro (sì, proprio quello delle polemiche sul disboscamento dell’Amazzonia) è il primo Paese al mondo a dichiarare che l’Accordo di Parigi è un trattato sui diritti umani, e quindi si pone al di sopra di qualsiasi legge nazionale.

Jair Bolsonaro, presidente del Brasile

Le politiche opposte del Brasile

La Suprema Corte Federale, nella sentenza PSB et al. v. Brasile, ha infatti messo nero su bianco che: “I trattati sul diritto ambientale sono un tipo di trattato sui diritti umani e, per questo motivo, godono di uno status sovranazionale. Non esiste quindi alcuna opzione giuridicamente valida per omettere semplicemente di combattere il cambiamento climatico”. Un bel colpo in un Paese riguardo al quale nell’ultimo report di Amnesty international si legge che continua la tendenza a “promuovere iniziative contrarie ai bisogni della maggior parte della popolazione e dannose per l’ambiente e la giustizia climatica” stigmatizzando, tra le altre cose, dichiarazioni del presidente Bolsonaro “spesso diffamanti nei confronti di difensori dei diritti umani e attivisti, ha anche minacciato la costituzione e l’indipendenza della magistratura”.

Non solo, ma dopo l’adozione dell’Accordo di Parigi nel 2015, in cui i 197 Paesi firmatari si impegnarono a limitare il riscaldamento globale a 1,5° C entro la fine del secolo, il Brasile andò esattamente nella direzione opposta, promuovendo politiche che di fatto hanno portato all’indebolimento della strategia climatica, cercando, secondo le denunce delle opposizioni, di utilizzare manovre procedurali e legali per coprire le proprie decisioni. Tanto che le politiche climatiche del Brasile sono considerate “altamente insufficienti” al fine di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, con un punto particolarmente critico sulla deforestazione e sul tipo di agricoltura promossa e praticata.

Il Fundo Clima e la decisione dei giudici: la tutela del clima è un valore costituzionale

Ma vediamo come si arriva alla sentenza della Corte. Nel 2009 fu istituito, in Brasile, il Fondo Nazionale per i Cambiamenti Climatici (Fundo Clima) quale strumento della politica nazionale sui cambiamenti climatici. Tale istituto, dal 2019 non è stato mai operativo, non sono stati preparati piani annuali né erogati fondi per sostenere progetti che mitigassero il cambiamento climatico. In conseguenza di ciò quattro partiti di opposizione denunciarono l’esecutivo per aver abbandonato quello strumento così importante nella politica climatica nazionale. Il governo federale aveva sostenuto che il Fondo per il clima non li vincolava, poiché non era una legge brasiliana. Tuttavia, la maggioranza dei giudici della Corte ha stabilito che la protezione del clima è un valore costituzionale. La sentenza quindi chiarisce che i trattati di diritto ambientale costituiscono un tipo particolare di trattato sui diritti umani, che godono di uno status ‘sovranazionale’.

Inoltre, in conseguenza di quanto disposto, tutte le leggi emanate dal governo brasiliano non saranno valide se contraddicono l’Accordo di Parigi e la violazione di questa sentenza o dell’accordo di Parigi è una violazione della costituzione e dei diritti umani del Paese. Il dovere costituzionale di allocare i fondi in modo efficace significa che c’è il dovere di mitigare il cambiamento climatico considerando gli impegni internazionali nell’ambito del quadro del cambiamento climatico.

La foresta Amazzonica in Brasile

Le sentenze che avranno impatto al di fuori del Brasile

Quale può essere l’impatto della sentenza? Secondo Caio Borges, responsabile del portafoglio legge e clima presso l’Instituto Clima e Sociedade (iCS), la dichiarazione del tribunale secondo cui l’Accordo di Parigi è un trattato sui diritti umani gli conferisce uno status giuridico superiore al diritto nazionale. “Quindi, nei casi futuri, se ci sarà una contestazione di una politica o di una legge in relazione all’Accordo di Parigi, i tribunali applicheranno questa interpretazione e ci sarà la presunzione che il governo dovrà dimostrare che la legge contestata non è in conflitto con esso”, ha detto a ClimateHome. La Corte Suprema Federale del Brasile si pronuncerà presto su due ulteriori casi climatici: uno che sostiene l’attuazione del Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione in Amazzonia e l’altro che sostiene che il Governo non sia riuscito a gestire il Fondo per l’Amazzonia.
Ma la sentenza potrebbe aiutare a implementare più politiche climatiche sulla base dei diritti umani e, perché no, potrebbe avere un impatto anche al di fuori del Brasile.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown

Considerato tutto è una notizia che colpisce. Il Brasile di Bolsonaro (sì, proprio quello delle polemiche sul disboscamento dell’Amazzonia) è il primo Paese al mondo a dichiarare che l’Accordo di Parigi è un trattato sui diritti umani, e quindi si pone al di sopra di qualsiasi legge nazionale.

Jair Bolsonaro, presidente del Brasile

Le politiche opposte del Brasile

La Suprema Corte Federale, nella sentenza PSB et al. v. Brasile, ha infatti messo nero su bianco che: "I trattati sul diritto ambientale sono un tipo di trattato sui diritti umani e, per questo motivo, godono di uno status sovranazionale. Non esiste quindi alcuna opzione giuridicamente valida per omettere semplicemente di combattere il cambiamento climatico”. Un bel colpo in un Paese riguardo al quale nell’ultimo report di Amnesty international si legge che continua la tendenza a "promuovere iniziative contrarie ai bisogni della maggior parte della popolazione e dannose per l’ambiente e la giustizia climatica" stigmatizzando, tra le altre cose, dichiarazioni del presidente Bolsonaro "spesso diffamanti nei confronti di difensori dei diritti umani e attivisti, ha anche minacciato la costituzione e l’indipendenza della magistratura".

Non solo, ma dopo l’adozione dell’Accordo di Parigi nel 2015, in cui i 197 Paesi firmatari si impegnarono a limitare il riscaldamento globale a 1,5° C entro la fine del secolo, il Brasile andò esattamente nella direzione opposta, promuovendo politiche che di fatto hanno portato all’indebolimento della strategia climatica, cercando, secondo le denunce delle opposizioni, di utilizzare manovre procedurali e legali per coprire le proprie decisioni. Tanto che le politiche climatiche del Brasile sono considerate "altamente insufficienti" al fine di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, con un punto particolarmente critico sulla deforestazione e sul tipo di agricoltura promossa e praticata.

Il Fundo Clima e la decisione dei giudici: la tutela del clima è un valore costituzionale

Ma vediamo come si arriva alla sentenza della Corte. Nel 2009 fu istituito, in Brasile, il Fondo Nazionale per i Cambiamenti Climatici (Fundo Clima) quale strumento della politica nazionale sui cambiamenti climatici. Tale istituto, dal 2019 non è stato mai operativo, non sono stati preparati piani annuali né erogati fondi per sostenere progetti che mitigassero il cambiamento climatico. In conseguenza di ciò quattro partiti di opposizione denunciarono l'esecutivo per aver abbandonato quello strumento così importante nella politica climatica nazionale. Il governo federale aveva sostenuto che il Fondo per il clima non li vincolava, poiché non era una legge brasiliana. Tuttavia, la maggioranza dei giudici della Corte ha stabilito che la protezione del clima è un valore costituzionale. La sentenza quindi chiarisce che i trattati di diritto ambientale costituiscono un tipo particolare di trattato sui diritti umani, che godono di uno status 'sovranazionale'.

Inoltre, in conseguenza di quanto disposto, tutte le leggi emanate dal governo brasiliano non saranno valide se contraddicono l’Accordo di Parigi e la violazione di questa sentenza o dell’accordo di Parigi è una violazione della costituzione e dei diritti umani del Paese. Il dovere costituzionale di allocare i fondi in modo efficace significa che c’è il dovere di mitigare il cambiamento climatico considerando gli impegni internazionali nell’ambito del quadro del cambiamento climatico.

La foresta Amazzonica in Brasile

Le sentenze che avranno impatto al di fuori del Brasile

Quale può essere l’impatto della sentenza? Secondo Caio Borges, responsabile del portafoglio legge e clima presso l’Instituto Clima e Sociedade (iCS), la dichiarazione del tribunale secondo cui l’Accordo di Parigi è un trattato sui diritti umani gli conferisce uno status giuridico superiore al diritto nazionale. "Quindi, nei casi futuri, se ci sarà una contestazione di una politica o di una legge in relazione all’Accordo di Parigi, i tribunali applicheranno questa interpretazione e ci sarà la presunzione che il governo dovrà dimostrare che la legge contestata non è in conflitto con esso", ha detto a ClimateHome. La Corte Suprema Federale del Brasile si pronuncerà presto su due ulteriori casi climatici: uno che sostiene l’attuazione del Piano d’azione per la prevenzione e il controllo della deforestazione in Amazzonia e l’altro che sostiene che il Governo non sia riuscito a gestire il Fondo per l’Amazzonia. Ma la sentenza potrebbe aiutare a implementare più politiche climatiche sulla base dei diritti umani e, perché no, potrebbe avere un impatto anche al di fuori del Brasile.

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