Franco Mussida, l’ambasciatore della musica controcorrente che crea ponti per l’integrazione

Dopo i successi con la PFM il chitarrista continua a sperimentare un percorso musicale che guarda al sociale. Ne parla nell’autobiografia “Il bimbo del carillon”, proseguendo coi laboratori musicali in carcere e sta per inaugurare il progetto Arca Milano, la prima audioteca per migranti

di GIOVANNI BALLERINI
23 novembre 2024

Franco Mussida

“Nel mio cuore mi sento un ambasciatore della musica, è questa forse la formula che mi autodefinisce meglio”.

Ci sono artisti che sconfiggono il tempo con la creatività e l’impegno. È il caso del chitarrista milanese e cofondatore della PFM Franco Mussida, che a 77 anni continua con estro e passione a sperimentare un percorso musicale che si specchia nel sociale, lancia ponti verso l’integrazione fra i giovani di ogni età, anche fra detenuti e migranti, inventandosi attività nelle comunità e negli istituti di pena, dove dal 1987 conduce laboratori musicali.

Ma, non solo, visto che il 28 novembre Mussida inaugura nella città meneghina, con il progetto Arca Milano, la prima audioteca per migranti. L’ex PFM ripercorre queste esperienze, insieme al resto della sua fantastica vita artistica (e non) nel romanzo autobiografico “Il bimbo del carillon”, edito da Salani Editore nella collana Le Stanze.  

Ma partiamo dal progetto Arca Milano... “È un’audioteca creata per sviluppare in maniera diversa un senso di accoglienza per migranti che partendo dalle loro musiche sarà un punto di ristoro musicale per l'anima di questa gente. Ho fatto anche 35 anni di lavoro nelle carceri, portando avanti un progetto di audioteche divise per stati d'animo prevalente, a cui tengo molto e che prosegue ancora oggi in 12 carceri in Italia. I primi laboratori, quando li feci nel carcere di San Vittore, furono i primi in assoluto in Italia e mi ricordo che non si poteva portare dentro con noi né strumenti, né altre cose”.

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro? “L’idea di ripercorrere le tappe essenziali delle esperienze che ho avuto e degli incontri che ho fatto. Sono figlio di un periodo storico che va dal 1967 al 1974 che per la mia generazione era il momento del noi, del cercarsi, un periodo in cui la voglia di fare le cose insieme era straordinariamente accesa. In quegli anni nascevano tante band musicali, ma si viveva attivamente anche tutta la parte sociale legata ai movimenti biologici, biodinamici. Era tutto un fiorire di associazioni. Durante i vari capitoli del libro cerco di coniugare questa mia propensione al sociale con una vita che continua a cercare, attraverso la musica, relazioni, incontri, come quelle che dettero vita alla Premiata Forneria Marconi. Ci siamo trovati nel 1971, ci siamo raccordati e ognuno ha messo a disposizione le proprie differenze e abbiamo creato qualcosa di bello”.

Franco Mussida
Franco Mussida

Ma dieci anni fa le vostre strade si sono separate? “Quella della PFM è stata una storia di grande amicizia. Io ero già uscito nella PFM nel 1986 quando ho creato il CPM Music Institute che è una realtà, una scuola di eccellenza del nostro paese e rappresenta la musica anche attraverso l'arte visiva. Dopo dieci anni lontano dal gruppo, io e gli altri della Premiata abbiamo immaginato di poter fare un altro pezzo di strada insieme.

È stato bello, ma non è stato come agli inizi, quando noi sei eravamo uniti dai crismi di una fioritura istintiva, ma è diventato qualcosa di più pensato e siamo andati avanti per tanto tempo. Io a parallelamente avevo diverse attività che avevo già messo in cantiere e che proseguite anche quando, dieci anni fa, ho lasciato di nuovo la PFM. Da allora proseguo un’attività più legata alla formazione che alla musica dal vivo. Sono una persona pigra, anche se faccio tante cose mi sento pigro, ma non ho abbandonato l’esperienza musicale diretta, quella con la chitarra, con la composizione e quant'altro”.

Tornando al libro, c'è anche una parte dedicata alla Milano della malavita? “Quella finita in carcere, che poi sono andato a frequentare con i laboratori musicali. Lì ho conosciuto i ragazzi che facevano i magnaccia e ho cominciato un lavoro anche con loro. E’ una vita piuttosto strana la mia, sempre in evoluzione e in sintonia con la musica. E’ straordinario come la musica offra la possibilità, la capacità di portare amicizia, portare conforto, sollievo alla gente. I musicisti hanno in mano una chiave meravigliosa straordinaria e dovrebbero utilizzarla con più coscienza e con più efficacia”.

Lei di sicuro continua a farlo? “Con piacere. Ho scritto un sacco di musica dal 2015 a oggi. Il primo progetto discografico è uscito nel 2022 è il disco ‘Il pianeta della musica e il viaggio di Iotu’ e mette insieme musica e parola, note e recitazione. Ma, per una volta, i temi del lavoro, invece che essere l'amicizia, l'amore per gli altri, la passione, la politica, il quotidiano, si parla direttamente della musica. Ho immaginato di fare emozionare le persone parlando di quest’arte che in tutta la mia vita ho utilizzato per raccontare storie e tante cose. Fare musica è un'attività accesa, viva, l’ho ribadito nel concerto che ho fatto recentemente allo IULM a Milano nell'università della scienza della comunicazione perché ritengo che la musica sia un elemento fondamentale per la comunicazione emotiva”.