Il teatro ti può fare uscire da una prigione mentale. Ti permette di affrontare paure, complessi, fantasmi. Ti fa uscire dai labirinti della solitudine. Ti fa capire che altri vivono i tuoi sogni e i tuoi timori. Il teatro – la pratica del teatro – può anche farti uscire da una prigione reale. O almeno, può rendere meno opprimenti le pareti di un carcere. Può contrastare l’effetto più silenzioso e devastante che il carcere produce: spegnere la vitalità, la creatività, la speranza. Armando Punzo da 35 anni cura laboratori teatrali con i detenuti del carcere di Volterra. Crea teatro insieme a loro. E forma degli artisti, che in molti casi hanno proseguito poi l’attività una volta usciti dall’istituto penitenziario. Gianfranco Pannone, uno dei più bravi e premiati documentaristi italiani, è andato con la sua telecamera a raccontare questa storia. Ne è nato un film che è stato presentato sabato 2 novembre, in anteprima italiana, al Festival dei Popoli, la più importante rassegna europea di cinema documentario. Il film si chiama “Qui è altrove”. “Conosco Armando Punzo da molti anni, ammiro il suo lavoro”, dice Pannone. “Insieme a lui e a Cinzia De Felice, abbiamo pensato di raccontare le storie del suo laboratorio, e quelle di altre quindici compagnie teatrali che, in tutta Italia, lavorano all’interno delle carceri”.
Qual è il centro del film, qual è il punto di partenza che la ha guidata, Pannone? “Il pensiero che molti fra noi cercano di allontanare l’idea dei detenuti e tutto ciò che li riguarda: dicono ‘Sono affari loro’. Beh, invece no. Quei detenuti non sono i ‘cattivi’, che stanno dall’altra parte della lavagna. In determinate circostanze, potremmo esserci noi, lì dentro”. Come si è regolato, nell’incontrarli, per intervistare i detenuti? “Non ho chiesto loro che cosa hanno fatto, non lo voglio sapere. Quelle sono persone, non sono ‘reati’. Io ero una persona fra altre persone”. Ha cercato un approccio delicato nelle loro vite. “Ho cercato di entrare in punta di piedi, mi sono sentito spoglio di sovrastrutture, di preconcetti. Ancora oggi, ci sono 70 persone che si suicidano ogni anno nelle carceri. Non è facile mantenere l’equilibrio mentale lì dentro”. Che cosa dice il film allo spettatore, secondo lei? “Dice che un altro carcere è possibile, se ti approcci all’altro come persona”. Dall’esperienza del teatro a Volterra è nato un attore di assoluto valore, Aniello Arena, protagonista di “Reality” di Matteo Garrone, e adesso di “Hey Joe” con James Franco. “Aniello ha ritrovato se stesso, è uscito dal carcere, ha ricevuto il perdono dal presidente della Repubblica Mattarella, è l’esempio di una vita che si è totalmente rigenerata grazie al teatro. Ma non è che la punta dell’iceberg. Altri hanno fornito prove magnifiche come attori, provenendo dal carcere – penso a Salvatore Striano, il protagonista di ‘Cesare deve morire’ dei fratelli Taviani – e molti altri stanno lavorando con ottimi risultati”. Che strada percorrerà il film? “Farà un percorso di festival, dal Med film festival di Roma al Palma film festival. Ma soprattutto, dal 22 novembre, iniziando simbolicamente da Volterra, sarà in diverse sale italiane, distribuito da Bartleby Film. Poi, essendo una coproduzione con la Svizzera, sarà nella tv della Svizzera italiana. Spero che venga accolto anche dalla tv italiana con lo stesso entusiasmo”.