Il mondo in bianco e nero di Frida Bollani Magoni, “semplicemente Frida”

A nemmeno 21 anni la figlia d’arte sperimenta un suono più personale al piano elettrico. Ha scritto un libro autobiografico con Piemme, è in tour con Mark Glentworth e ci svela il suo mondo, dallo studio del pianoforte in braille alla passione per i viaggi e per Ariana Grande

di GIOVANNI BALLERINI
7 aprile 2025
Frida Bollani Magoni

Frida Bollani Magoni

“Ho voluto chiamare il nuovo tour Semplicemente Frida perché da quest'anno artisticamente sarò soltanto Frida. Non è una scelta che vuole escludere i miei cognomi o cancellare il fatto che io sia figlia di due musicisti famosi, come Stefano Bollani e Petra Magoni, assolutamente no. È semplicemente un modo per essere più me stessa e sperimentare da questo tour il mio nuovo sound, che è molto diverso da quello che avete sentito negli anni scorsi e sicuramente più originale. Un suono personale, insomma mio, che mi consente di essere anche su un palco più autentica, essere me stessa, essere insomma più Frida”.

Non sarà Ray Charles o Stevie Wonder, ma anche Frida Bollani Magoni è davvero brava a legare le note con le emozioni. A causa dell'amaurosi congenita di Leber, questa musicista toscana è ipovedente dalla nascita e percepisce il mondo in bianco e nero, di cui riesce solo a scorgere luci e ombre. Eppure questa ragazza che compirà 21 anni a settembre, si sta imponendo come una delle artiste più sorprendenti del panorama internazionale. Frida crea magie con il pianoforte e la voce, anche se non disdegna di suonare la chitarra, l’armonica e ultimamente si sta appassionando al piano elettrico e all’elettronica.

Come si evince dal Semplicemente Frida Tour (che l’11 aprile fa tappa al Teatro Garybaldi di Settimo Torinese, il 12 giugno all’Auditorium Della Radio Nazionale Slovacca a Bratislava e il 18 giugno al Teatro Olimpico di Vicenza) in questa tournée Frida dona inaspettate vite alle note al piano elettrico con la complicità del compositore e polistrumentista britannico Mark Glentworth alle percussioni e al vibrafono, proponendo un repertorio intenso, moderno e completamente rinnovato.

Frida, ora si dedica al piano elettrico, invece che al pianoforte?

“Questo non vuol dire che a me non piace più il pianoforte acustico. Anzi. Sono cresciuta con il pianoforte, ho studiato come pianista prima di qualsiasi altra cosa e quindi usare il piano elettrico è per me soltanto un modo di poter sperimentare sonorità anche leggermente più moderne e poi c'è anche un altro motivo a cui però originariamente non avevo pensato, che è quello di poter suonare con il viso rivolto al pubblico. Essendo questo nuovo spettacolo più mio, più originale, più inedito anche dal punto di vista delle canzoni, mi propongo in una versione più matura, più autentica e adesso posso stabilire un rapporto più diretto tra me e il pubblico. Per fortuna sono nata nel 2004. Se fossi nata probabilmente negli anni ‘60-‘70 o anche prima avrei avuto molta più difficoltà”.

Come vive i rapporti interpersonali?

“Non ho mai avuto esperienze negative: posso solo dire che spesso la gente non sa come comportarsi con una persona non vedente: non sanno come accompagnarti se devi camminare, come farti entrare e uscire sul palco. Io posso dire che non è così complicato: noi non vediamo, ma siamo totalmente normali dagli altri punti di vista. Normali è una parola grossa, perché siamo diversi in tutto. Ma, come io posso essere non vedente qualcun altro può avere un altro problema. Secondo me non c'è un modo specifico per comportarsi con una non vedente: le persone sono tutte diverse tra loro. Ci sono per esempio i non vedenti che devono toccare tutto per capire dove sono, ma io non sono esattamente così. Ho trovato strano, ma mi è capitato un paio di volte, che qualcuno si arrabbiasse quando ordinavo a un bar o a un ristorante perché non li guardavo in faccia mentre parlavo. Questa purtroppo è una cosa che io non posso controllare. Non è un problema mio, ma di chi magari non ha mai visto una persona non vedente dal vivo. Per fortuna, come dicevo, ho avuto la fortuna appunto di essere nata in un'epoca in cui tutto è più organizzato per le persone con disabilità visive e la tecnologia rende tutto molto più accessibile”.

Ha studiato pianoforte in braille?

“Sono nata in Versilia a Lido di Camaiore e ho iniziato a 7 anni con il maestro Paolo Razzuoli a imparare il pianoforte con le notazioni in braille, che sono scritte esattamente come sarebbe scritto un testo in braille. Non esiste il pentagramma, anche se il mio insegnate ha sempre cercato di spiegarmelo per farmi meglio interfacciare con gli altri musicisti vedenti. Io sono nata non vedente ed ero, come tutti, una bambina che non aveva voglia di stare delle ore a concentrarsi per imparare a leggere la musica. Il mio inizio di percorso con il maestro Razzuoli è stato il mio secondo tentativo. Due anni prima avevo provato senza successo a imparare a leggere notazioni musicali in braille, ma ho lasciato perdere perché ero piccola: avevo 5 anni e non avevo voglia. Anche dopo è stato molto difficile e posso dire che forse non sono stata la classica studentessa modello. Ora so leggere so scrivere la musica, però nel mio percorso è stato importante anche l'orecchio io ho esercitato tanto l'orecchio. Dicono che ho l'orecchio assoluto, cioè è la possibilità di riconoscere le note. Ma, poi identificare l'altezza assoluta di un suono, è soprattutto, in qualche maniera una questione di frequenze e dipende da quale scala di accordi hai come riferimento”.

Quando esce e come sarà il prossimo album?

“Stiamo riflettendo sulla forma, sul modo, sul come, il perché e su quando farlo uscire. Sarà un progetto in studio ricco di inediti, ma siamo ancora work in progress”.

Intanto ha scritto un libro che è quasi un’autobiografia?

“Sì per Edizioni Piemme, si chiama “La mia musica. Quella che suono, quella che ascolto, quella che vi consiglio” e l'idea originale era quella di inserirci degli elementi autobiografici, ma il libro doveva essere un modo per rispondere alla semplice e, allo stesso tempo non così semplice, domanda cos'è la musica? In realtà è un modo semplice e diretto per spiegare i generi musicali e quello che ci gira intorno, almeno dal mio punto di vista. La giornalista Paola Giannelli mi ha aiutata nella stesura. Alla fine è diventata un'autobiografia perché il libro per come è stato scritto, si è arricchito naturalmente di elementi autobiografici”.

Ma lei musicalmente ha preso più dal babbo o dalla mamma?

“Suono esattamente gli stessi strumenti che suonano i miei genitori e ho chiaramente la voce di mia mamma, ma questo non vuol dire che abbiamo lo stesso modo di cantare. E non ho nemmeno esattamente lo stesso modo di suonare di mio papà, anche se abbiamo uno stile simile e, come lui, faccio mia, con una certa semplicità, la musica degli altri. Forse poi una cosa che abbiamo in comune è l'uso della mano sinistra sul pianoforte, però qui andiamo proprio sulla tecnica. Posso dire che se sento un disco in cui mio padre sta suonando lo riconosco subito. L'unico pianista con cui mi è capitato di confondere mio papà è Chick Corea, perché dal punto di vista del suono forse si assomigliano, poi so che Corea è stato di grande ispirazione per mio papà, quindi ecco tutto torna”.

Per lei quali musicisti sono stati fonte d’ispirazione?

“Ho sempre ascoltato tanta musica e non ho necessariamente qualche artista che ascolto continuamente, vado a periodi. Dal punto di vista della produzione, della scrittura musicale e dell’armonia un punto di riferimento è sicuramente Jacob Collier, che ha pochi anni più di me, ma da cui musicalmente vorrei imparare. Potrei citare anche Oren Lavie, un artista israeliano con cui ho avuto il piacere di esibirmi dal vivo in un mio concerto a Piano City a Milano qualche anno fa: le sue sonorità mi hanno ispirato tantissimo anche per questo nuovo progetto. Ascolto anche tanto pop, tanta musica anglosassone e per la musica italiana sento il festival di Sanremo per aggiornarmi su cosa sta succedendo musicalmente nel nostro paese. Però, ecco, ho sempre ascoltato molta più musica anglofona e canto principalmente in inglese per lo stesso motivo e perché noi giovani o comunque molti di noi oggi ci sentiamo cittadini del mondo. E, mi piace viaggiare: mi è sempre piaciuto andare in Inghilterra, in America quindi ecco forse è una cosa naturale per la mia età di voler cantare e ascoltare canzoni in inglese, soprattutto quelle di Ariana Grande, che è una cantante a cui io mi ispiro un po’ vocalmente, anche se poi insomma, a periodi, ascolto di tutto e i gusti cambiano in fretta”.