
Tolulope Olabode Kuti, in arte Tommy Kuti? Tommy, è nato ad Abeokuta in Nigeria nel 1989
“Quando scrissi il brano “Afroitaliano” probabilmente mi sentivo molto solo. Ero uno dei pochissimi ragazzi afro-Italiani che faceva la loro cosa in Italia. Ora invece ci sono un sacco di persone come me, ragazzi afro-italiani di seconda generazione, che fanno la loro musica nel nostro paese. Rispetto al mondo che ho incontrato prima che facessi quella canzone l’orizzonte è certamente cambiato. Poi però, chiaramente, se si paragona l'Italia ad altri paesi, devo dire che siamo ancora un po’ indietro”.
Il poliedrico artista afroitaliano Tommy Kuti, torna sulle scene discografiche con il brano “Big Boy”. Prodotto da Freecom Hub, il pezzo che, imperversa in radio e in digitale, è un brano autobiografico che racconta il percorso di questo giovane rapper afroitaliano, le sconfitte e i successi che lo conducono da un contesto marginale e precario a conquistarsi una carriera indipendente, mettendo in evidenza l’importanza dell’autodeterminazione e della resilienza. Con riferimenti alle culture nigeriana e italiana, “Big Boy” si può considerare tanto un inno all’identità afroitaliana, quanto alla conquista di uno spazio significativo nella società.
"Big Boy è la mia storia – spiega Tommy Kuti – il racconto di come, da giovane afroitaliano, sono passato da lavori precari a fare le cose che sognavo. Attraverso esperienze personali e culturali celebro l’emancipazione e la determinazione nel superare le avversità”.
Cosa rappresenta in questo momento Big Boy?
“Per me sottolinea un momento di felicità per le cose che faccio. Da quando ero bambino, sognavo di fare questa musica, di vivere a Milano, di fare un pezzo con Fabri Fibra, di recitare in un film. Sognavo di rappresentare i ragazzi come me. E, piano piano tutto questo è successo, ed è un motivo di speranza per i ragazzi più giovani, A loro vorrei dire: “Anche se tu hai il mio stesso aspetto puoi realizzarti, anche tu puoi fare grandi cose”. L'importante è impegnarsi, darsi da fare. Sarei contento se questa canzone riuscisse a motivare tanti altri ragazzi a fare le loro cose. Intanto sto lavorando al mio terzo album che spero possa uscire questa estate”.

Ma, chi è Tolulope Olabode Kuti, in arte Tommy Kuti? Tommy, è nato ad Abeokuta in Nigeria nel 1989 e si è trasferito a soli due anni in Italia con la famiglia, crescendo a Castiglione delle Stiviere, dove ha studiato e ha cominciato a fare musica da giovanissimo, per poi trasferirsi nel Regno Unito. Dopo essersi laureato a Cambridge in Scienze delle comunicazioni, Tommy Kuti è tornato a Brescia dove formò con altri rapper il collettivo Mancamelanina, iniziando a puntare, in modo autoironico e provocatorio, su temi come il razzismo e l'integrazione nei suoi brani.
Il 2016 per lui è stato un anno importante, grazie anche alla collaborazione con Fabri Fibra nel brano “Su le mani”, ma è nel 2018 che si fa definitivamente notare con il suo primo album “Italiano Vero”, che contiene il singolo #Afroitaliano, ma anche diventando tra i primi speaker di TRX Radio, la web radio dedicata al mondo rap e partecipando a Pechino Express in coppia con Mirko Frezza.
Tommy, come si è trovato nel popolae adventure game televisivo?
“È stata un'esperienza fantastica. Abbiamo avuto modo di andare in Africa e stare veramente per un mese intero con le persone, però a stretto contatto, nelle loro case”.
Ci voleva Pechino Express per farla tornare in Africa?
“Torno spesso in Africa, ma con Pechino Express è stata diverso perché normalmente sono comunque un occidentale che torna in Africa, non vivo certe situazioni. Pechino Express invece mi ha aiutato a vivere un'esperienza africana più autentica”.
Come prosegue la sua attività di rapper?
“Bene e, oltre a fare musica e trasmettere in radio, faccio un sacco di altre cose. Ho recitato in uno spettacolo teatrale, organizzo degli eventi e l'anno scorso ero fra i protagonisti del film de Il Milanese Imbruttito “Ricomincio da taaac”. È stata una super esperienza, perché il team, il cast, erano formati da persone veramente disponibili e tranquille. Anche quest'anno, poi ho recitato in una serie tv della Rai “L'appartamento sold out”, che uscirà tra qualche mese”.
C’è il concertone del primo maggio nel suo orizzonte?
“Ancora non si sa”.
Si sente ancora un po’ testimonial di questa africanità-Italianità?
“Forse ne sono stato un esempio eclatante. Ho avuto una fortuna anagrafica in questo: ora ho 35 anni, ma sono stato tra i primi ragazzi che hanno avuto una piattaforma per farsi sentire. Per questa ragione sono molto più conosciuto di altre persone”.
Continua comunque a fare brani autobiografici, come Big Boy?
“Per me tutto è migliorato, ma c'è ancora molto bisogno di ricordare, di raccontare più che altro certe storie. Big Boy racconta la mia storia personale, ma da un punto di vista diverso dal brano “Afroitaliano”, che puntava sulle difficoltà che attraversavo. Con “Big Boy” invece si parla delle cose belle che ho fatto: sono in un film, recito in teatro e in tv, ho amici che fanno grandi cose. È insomma diversa la situazione”.
Come si trova oggi nel rap italiano?
“È un po' poco compreso se devo essere onesto. Vorrei che la gente capisse che il rap è un genere musicale che parte dai ghetti americani. Quindi è normale che le persone raccontino se stesse attraverso le canzoni. Ed è quello che io provo a fare. Solo che a volte mi sembra che, semplicemente perché racconto la mia realtà finisco per essere associato con l’attivismo e cose del genere, come se si volesse, no non so, dargli una connotazione molto più politica di quello che è in realtà. In fondo io racconto la mia storia come magari la raccontano Vasco Rossi o Sfera Ebbasta”.
I rapporti con Fabri Fibra come sono oggi?
“Buoni. Fabri Fibra è stato un mio grande mentore e gli sono grato. Ultimamente non sento più così tanto la necessità di far parte della scena rap italiana: io e i miei amici ci sentiamo a nostro agio a fare musica afrobeat, a sperimentare l’afrowave. Èil genere, molto in voga nelle classifiche di tutto il mondo, che sto provando a promuovere in Italia e non solo”.