L’universo del K-pop, dove ambizione e disciplina si mischiano a depressione e suicidi

Intervista a Paola Laf. Tra training, aspettative sociali e il ruolo dei fan, l’autrice di “Fattore K. L'ascesa della cultura pop coreana” racconta le sfide e i miti da sfatare dell'industria dell’intrattenimento in Corea del Sud

di CLARA LATORRACA
16 febbraio 2025
Gli Stray Kids sono un gruppo musicale sudcoreano formatosi a Seul nel 2017 tramite l'omonimo reality show

Gli Stray Kids sono un gruppo musicale sudcoreano formatosi a Seul nel 2017 tramite l'omonimo reality show

Mentre la cosiddetta Korean Wave (ovvera la diffusione a livello globale della cultura pop coreana) sembra inarrestabile e la band K-pop scalano le classifiche, conquistando fan (ma anche ‘stan’, come si definiscono gli ammiratori più irriducibili) e premi internazionali, si parla sempre più spesso del lato oscuro dell’industria musicale coreana. Il cosiddetto “training”, ovvero il percorso che gli artisti seguono prima di debuttare, che consiste in corsi di canto, ballo, composizione, ma anche di lingue, viene descritto sui media occidentali come estremamente (e anche incomprensibilmente) duro.

Il sistema viene criticato per la sua “inautenticità”, ovvero per il fatto di creare degli artisti “a tavolino”, non genuini. E a questo si aggiungono le notizie del divieto di avere relazioni romantiche durante il periodo di formazione, ma anche quelle ben più gravi di casi di depressione e – nei casi più estremi – di suicidio che compaiono spesso sui giornali internazionali. Tuttavia, la vera comprensione di queste notizie non sempre è facile, perché tendiamo ad interpretarle con un un punto di vista italiano (o occidentale) che non ci permette di capire fino in fondo le ragioni che stanno dietro agli avvenimenti.

Paola Laforgia, autrice di “Fattore K. L’ascesa della cultura pop corena”, dal 2021 vive a Seoul e lavora nell’ambiente discografico coreano. Con la sua posizione di osservatrice privilegiata, che le permette di avere uno sguardo lucido sull’industria musicale del K-pop, Paola ci ha aiutate a comprendere meglio alcuni aspetti riguardanti il mondo degli idol. E anche a sfatare alcuni pregiudizi. Nel tuo libro, “Fattore K. L’ascesa della cultura pop coreana”, affronti diversi aspetti della storia del K-pop, tra cui la nascita del sistema di training, conosciuto per il fatto di essere estremamente duro. Come nasce questo sistema e perché?

Il sistema di training nasce negli anni 90 per opera di Lee Soo-man, che è colui che poi fonderà la SM Entertainment (l’agenzia di intrattenimento che ha “inventato” uno dei primi gruppi K-pop, gli H.O.T., e che al momento ha nel suo roster, tra le altre, le Girls’ Generation, le Red Velvet). Leggenda vuole che l'abbia fatto perché la sua prima esperienza da manager di un cantante, Yoo Yong-jin, era finita male perché l’artista poi era finito nei guai con la legge per questioni legate all’uso di sostanze stupefacenti. Quindi Lee Soo-man avrebbe deciso di iniziare a formare da zero i propri artisti, così da evitare che ci fossero ci potessero essere problemi di questo tipo. Questa è la versione un po' romanzata, ma sicuramente Lee So-man è colui che concepisce il sistema di training.

Lee Soo-man
Lee Soo-man

Non si tratta tuttavia di un’idea del tutto originale: il fondatore di SM Entertainment riprende da un lato il modello del J-pop e degli idol giapponesi, che era stato creato da Johnny Kitagawa, e dall’altro si ispira anche al produttore statunitense Maurice Starr e ad alcune band afroamericane degli anni 80, come i New Edition e i New Kids on the Block. Lee prende questi due modelli e crea un sistema di training ‘alla coreana’ che si differenzia dagli altri due per l’idea di puntre al mercato internazionale. Agli aspiranti idol vengono infatti anche insegnate le lingue, in modo che possano promuovere se stessi anche in altri paesi, oltre che in Corea. Un altro parallelismo che si può fare per comprendere meglio il funzionamento del sistema ideato da Lee Soo-man è il sistema della danza classica europea, che è anche simile per diversi aspetti al training, dal momento che richiede di dedicare moltissimo tempo (e fin da giovanissimi) ad affinare le proprie capacità. Ma si potrebbe anche dire che è un percorso simile a quello di chi vuole diventare un atleta professionista. Quindi, anche se a primo impatto il training sembra qualcosa di completamente nuovo e lontano dall’Occidente, non è davvero così. La differenza è che non siamo abituati a vedere questo sistema applicato in un mondo come quello della musica pop.

La narrazione che circonda l’industria coreana nei media occidentali, che la descrivono come rigida e poco autentica, corrisponde al vero oppure è frutto di stereotipi?

Si tratta molto spesso di stereotipi. Sicuramente ci sono delle regole o dei modi di fare musica che ad un occhio non coreano possono sembrare rigidi o poco autentici, ma è necessario guardare a questi comportamenti e a queste regole attraverso la lente di quello che è la cultura coreana. Idee come la disciplina, il duro lavoro per raggiungere un obiettivo non sono una peculiarità del sistema di training, ma sono qualcosa di incorporato nella cultura coreana in generale. Ed è per questo normale che si ritrovano anche in questo ambito. Certamente il percorso di formazione del K-pop è duro e richiede di fare molti sacrifici e rinunce, soprattutto quando si è molto giovani: viene richiesto di rinunciare a relazione sentimentali e spesso anche a quelle amicali, bisogna allenarsi continuamente per imparare a cantare, a ballare e a farlo contemporaneamente. Ma per i giovani che seguono questo percorso, ha un senso perché si tratta di cercare di realizzare un sogno. Per questo dico che è qualcosa di simile all’inizio della carriera di atleti professionisti. Bisogna anche considerare che in Corea gli studenti – almeno fino alla fine del liceo – hanno pochissimo tempo libero e di conseguenza pochissima vita sociale, perché passano la maggior parte del tempo a scuola e a studiare. Considerando anche questo, l’idea che un giovane possa scegliere invece di investire tutto sul training è più semplice da comprendere. C’è anche da dire che non è solo l’industria musicale coreana ad avere molte regole, ma tutto il settore dell’intrattenimento, come la televisione mainstream. La narrazione che viene fatta in Occidente spesso tende a dipingere il mondo del K-pop come una fabbrica di robot, tutti uguali e senza capacità di intendere e di volere, perché non prendono in considerazione che le caratteristiche dell’industria musicale coreana derivano anche delle caratteristiche della società e della cultura coreane.

Ci sono degli aspetti problematici in termini di salute mentale per gli idol che affrontano il percorso di training?

Sicuramente ci sono degli aspetti problematici in questi termini, perché è un sistema che impone di fare dei sacrifici e inoltre si tratta di un lavoro per cui diventi una celebrità, costantemente sotto lo scrutinio di tutti. Ci sono molti casi di idol che hanno sofferto di depressione e che nei casi più gravi si sono purtroppo tolti la vita per problemi legati al cyberbullismo, al fatto di sentirsi sempre giudicati, scrutinati ma anche mal rappresentati e non compresi. Anche questo però va visto in un’ottica più ampia: il problema dei suicidi è un problema sociale in Corea del Sud, non riguarda solamente il mondo del K-pop.

Negli ultimi anni, diversi casi di depressione e suicidio tra gli idol hanno portato l’attenzione sul problema. Pensi che questi episodi abbiano portato a dei cambiamenti all’interno del sistema?

Ci sono stati diversi casi di depressione e suicidio tra gli idol che hanno portato l'attenzione sul problema. Si parla di più di salute mentale negli ultimi tempi: ci sono idol che hanno parlato apertamente sia dei problemi del training e sia di questioni di salute mentale e di come cercare di proteggerla. Se ne è parlato molto quando uno dei membri della band Astro, Moonbin, si è tolto la vita nell’aprile del 2023, anche grazie a un membro di un altro gruppo, i Seventeen, che ha scritto un post pubblico esponendosi molto sulla questione.

Moon Bin
Moon Bin

È anche vero però che se ne parla di più all’estero che in Corea del Sud. E che bisognerebbe parlarne di più e trovare dei modi per prevenire queste tragedie. Tuttavia, ribadisco che è un problema più ampio della società coreana e che quindi non bisognerebbe parlarne solo riguardo al mondo del K-pop e dell’intrattenimento.

Quanto pesa la pressione sociale sulla vita degli artisti? Quali sono le caratteristiche della società coreana che rendono la pressione particolarmente alta (non solo in ambito musicale)?

La società coreana è una società collettivista, in cui c'è un senso del dovere diverso dal nostro e un senso della colpa e della vergogna diversi dai nostri. C’è l’idea che se fai male qualcosa, è difficile poi uscirne e riscattarsi e che tutte le persone intorno a te (i famigliari, gli amici) ne soffrono indirettamente, anche senza avere colpe. A questo si aggiunge anche un senso di debito, soprattutto quando si tratta di celebrità, per cui se qualcuno diventa famoso è perché ci sono delle persone che l'hanno sostenuto e quindi bisogna ripagare queste persone comportandosi in maniera corretta, ringraziandole e non deludendole. Chi diventa famoso, in generale in tutta l’industria dell’intrattenimento, deve essere sempre un modello da seguire.

Nel tuo libro emerge anche il ruolo molto importante dei fan. Quanto questi possono influenzare, nel bene e nel male, la stabilità emotiva e la salute mentale degli idol?

I fan possono sicuramente influenzare la stabilità emotiva ma anche il destino degli idol, perchè hanno moltissimo potere. A volte fin troppo. È capitato che il fandom di un gruppo avesse la capacità di incidere sulle sorti della band: un esempio è quello dei Riize, da cui è stato cacciato dal gruppo uno dei componenti per volere di una parte dei fan. Il cantante Seunghan aveva infatti debuttato con gli altri sei membri della band, ma era stato subito coinvolto in uno scandalo: era stato rivelato che durante il periodo di training aveva avuto una fidanzata ed erano state pubblicate delle foto in cui fumava una sigaretta. Si tratta di cose piuttosto normali dal nostro punto di vista, ma che dal punto di vista coreano significavano che non si era dedicato abbastanza al training, che non aveva davvero lavorato duro. Di conseguenza, la sua carriera era stata inizialmente messa in pausa per circa un anno. Poi, all’annuncio del suo rientro nella band, i fan coreani si sono lamentati così tanto che Seunghan è stato definitivamente cacciato dal gruppo. Ci sono differenze nel trattamento di idol uomini e idol donne all’interno dell’industria del k-pop? 

Sì, esistono differenze nel trattamento di uomini e donne all'interno del mondo del K-pop così come esistono all’interno della società coreana. Ma così anche come nel resto del mondo. Si tratta sicuramente di un problema ampio e diffuso. Un caso emblematico è quello di Sulli, ex membro delle f(x), che si è tolta la vita nel 2019. Il fatto che fosse una donna ha sicuramente influito, perché molte delle critiche che ha ricevuto erano legate al suo comportamento, considerato non conforme agli standard sociali coreani. Parlava apertamente di femminismo, affrontava temi controversi, come la scelta di non indossare il reggiseno, e tutto questo non era ben visto. Senza dubbio, questi fattori hanno avuto un peso significativo nella sua vicenda. È importante ricordare che anche molti idol uomini sono morti per suicidio, quindi i problemi di pressione e aspettative nell’industria dell’intrattenimento riguardano entrambi i generi. Detto ciò, è innegabile che esista una disparità non solo nel mondo del K-pop, ma nella società nel suo complesso.