“Difendo l’eutanasia, deve diventare un diritto”, diceva Pedro Almodovar, con il Leone d’oro fra le mani, lo scorso settembre a Venezia. Aveva appena trionfato alla Mostra del cinema con “La stanza accanto”, il film con Tilda Swinton e Julianne Moore uscito ieri nelle sale italiane.
“La stanza accanto”, tratto da un episodio del romanzo “Attraverso la vita” di Sigrid Nunez, edito da Garzanti, mette al centro della narrazione il personaggio di Martha, interpretato da Tilda Swinton, alla quale viene diagnosticato un cancro incurabile. Decide, così, di porre fine alla propria vita. E chiama l’amica Ingrid, interpretata da Julianne Moore, a vivere con lei gli ultimi giorni. Tilda Swinton, nel film, è lucidissima, pienamente consapevole di sé. E in qualche momento, si concede anche degli sprazzi di ironia.
Sul palco, durante la cerimonia di premiazione a Venezia, Almodovar ha ribadito: “Lasciare questo mondo deve essere un diritto. I governi devono legiferare per dare l’opportunità di prendere una decisione in momenti difficili, come questo”. Il film, il primo lungometraggio in lingua inglese di Almodovar, è già candidato a 4 Efa, gli Oscar europei. E in effetti, sembra davvero l’opera più matura del regista spagnolo. È un film sobrio, essenziale, asciutto, non ha niente di quell’idea di melodramma colorato, pop, anche un po’ isterico che si associa spesso al cinema di Almodovar. È un film limpido, che proprio per questo rende ancora più lancinante, tagliente, chiaro il tema di fondo. Il film diventa una riflessione razionale e insieme fortemente emotiva sul tema della eutanasia.
“Una delle amiche sta per morire. E l’altra imparerà a riconoscere e ad accettare la morte, purché sia decisa dalla persona”, dice il regista. “E’ difficile parlare della morte”, prosegue. “Anche se sono nato nella Mancha, dove esiste una grande cultura della morte. L’idea che qualcosa di vivo debba morire non l’accetto, anche se poi la morte è dappertutto”, ha detto il regista, che si dichiara ateo, ma dice di credere anche in una sorta di reincarnazione.
Lucidissima, implacabile nell’incontro stampa veneziano, Tilda Swinton: “So che a un certo punto la morte arriva. Sono sempre stata vicina agli amici che hanno dovuto affrontarla – e il pensiero corre al regista Derek Jarman, con cui Swinton ha lavorato a lungo, e che è morto di Aids nel 1994. “Amo molto anche l’idea dell’eutanasia. Il fatto che uno possa prendere la propria vita in mano è un trionfo”, ha detto l’attrice britannica. Alla fine, ci rimane un film sulla morte più vitale di molti altri film, che a Venezia è stato accolto da una standing ovation durata oltre dieci minuti. “Abbiamo parlato così tanto della vita, durante questo film, che alla fine mi sembra che ‘La stanza accanto’ parli davvero della vita più di ogni altra cosa”, ha detto Tilda Swinton. Alla fine, come scrive Gabriele Niola su Wired, il film di Almodovar è “la più ottimista delle tragedie”.