Progetto Happiness tra gli Hadzabe, dove “umanità fa rima con felicità”

Doppio sold out per la prima volta di Giuseppe Bertuccio D’Angelo al cinema, con un documentario sulla ‘tribù dimenticata dal tempo’. “Mi sono sentito davvero umano grazie a un’esperienza animalesca”

di MARIANNA GRAZI
21 gennaio 2025
La tribù Hadzabe è tra le più antiche dell'Africa Orientale e vive ancora in perfetta armonia con la natura, di caccia e raccolta (Progetto Happiness)

La tribù Hadzabe è tra le più antiche dell'Africa Orientale e vive ancora in perfetta armonia con la natura, di caccia e raccolta (Progetto Happiness)

Trovare la felicità nell’essenza: un viaggio non solo spaziale, nella savana, in una comunità che non potrebbe essere più lontana dagli standard di oggi, ma anche viaggio in sé stessi, per riscoprire il vero senso dell’essere umani, l’istinto primitivo e animale della vita

Con il documentario “Hadzabe – La tribù dimenticata dal tempoProgetto Happiness arriva per la prima volta sul grande schermo e fa registrare un’incredibile e entusiasmante tutto esaurito in entrambi gli speciali appuntamenti a Roma, nelle sale The Space.

Giuseppe Bertuccio D’Angelo, l’ideatore e anima del progetto che gira il mondo alla ricerca della ricetta per la felicità, in questo caso ne ha trovato un esempio eclatante quanto semplice, incontrando una popolazione di circa mille persone, di cui 300-400 vivono ancora come cacciatori-raccoglitori, considerati tra i più antichi abitanti dell'Africa orientale, con una storia che risale a migliaia di anni fa. 

"Hadzabe  - La tribù dimenticata dal tempo" è il primo documentario di Progetto Happiness al cinema
"Hadzabe - La tribù dimenticata dal tempo" è il primo documentario di Progetto Happiness al cinema

Definita spesso “la tribù della felicità”, gli Hadzabe vivono ancora in completa armonia con la natura e ha un linguaggio unico. E “Ci mostrano una vita di semplicità e connessione con la terra, offrendo lezioni preziose in un'epoca dominata dalla tecnologia e dalla frenesia”, dice l’autore.

Le proiezioni sono per questa sera, martedì 21 gennaio alle ore 20 al The Space Cinema Roma Moderno (Piazza della Repubblica 43/45) e mercoledì 22 gennaio al The Space Cinema Roma Parco De Medici alle ore 21. Al termine della visione ci sarà anche la possibilità di incontrare Bertuccio D’Angelo che risponderà alle domande e curiosità del pubblico presente.

Noi lo abbiamo avuto la fortuna di sentirlo in anteprima.

Giuseppe, che bella sorpresa sapervi al cinema. E in meno di 24 ore avete fatto un incredibile doppio sold out!

“In realtà, se vogliamo essere precisi ci abbiamo messo due ore. Sono davvero felice. Anche perché poi diventa un volano positivo, il cinema voleva la fiducia di poterlo rifare e adesso ce l’ha”.

Evidentemente c’è un pubblico interessato a certi temi e a certi prodotti: il qualcosa in più è dato dal poter incontrare gli autori?

“Sicuramente è così. Noi, io e i ragazzi che lavorano e viaggiano con me, non facciamo tante cose in presenza non perché io non voglia ma perché non ci fermiamo mai, non c’è il tempo. Quindi quando ci sono queste occasioni - rare - non sai mai se le persone poi sono interessate, hanno voglia di farti domande; te lo puoi immaginare, perché comunque ricevo tanti messaggi via social, però finché non metti alla prova questa tua capacità non puoi sapere come va. Quando abbiamo lanciato il documentario eravamo ottimisti ma poteva andare tutto male. Penso che nemmeno il cinema si aspettasse questo, era un primo esperimento. E invece…”

E invece è andata oltre le aspettative?

“È sì. Avevamo fatto un piano editoriale, dovevamo far uscire informazioni ogni tot per rilanciare la notizia, per rilanciare i biglietti, e invece abbiamo dovuto buttare tutto perché sono finiti tutti subito. E così anche gli operatori del cinema”.

Com’è nata la collaborazione e l’idea di portare al cinema una storia così particolare?

“The Space ci ha contattato perché pensava che i nostri contenuti fossero adatti per il cinema. È stato un bell’attestato di stima e un riconoscimento alla qualità. Perché abbiamo scelto di fare il documentario proprio su quella tribù? Perché, e mi fa paura dirlo, è stata l’esperienza più forte che abbia avuto finora in questi viaggi, la più autentica, primitiva che abbiamo avuto. E a me piace quando l’esperienza supera le mie aspettative e non succede così spesso. Di solito mi aspetto una cosa e accade più o meno quella, ma con gli Hadzabe è stato proprio come tornare veramente alle origini dell’uomo, diventare un ‘animale’ con loro è stato bellissimo. Siamo andati tra ottobre e novembre e già quando eravamo lì ci siamo resi conto che era un’esperienza da portare al cinema, diversa da qualsiasi altra”.

Come li ha scoperti? Com’è arrivato a loro?

“In realtà ci sono arrivato tardi, non li ho scoperti io, su YouTube ci sono tantissimi video su di loro. Un ragazzo di un’altra tribù, col cellulare - perché loro non ce l’hanno - ha iniziato a fare video e li ha caricati sulla piattaforma e subito sono diventati sensational, li hanno scoperti tutti quanti. Molti youtuber li hanno coperti, non è una novità, ma ognuno di noi ha avuto la sua esperienza unica. Noi abbiamo cercato di vivere veramente come loro, non è facile: abbiamo cacciato 6 ore nella Savana per due giorni di seguito, è stato molto duro anche fisicamente. E siamo diventati amici. Tanto che quando facevamo vedere le foto e i video che avevamo fatto - nel documentario si vede - loro rimangono scioccati nel vedersi. O nel vedere i nostri tatuaggi, che non se ne vanno e provano a toglierceli coi coltelli o sputandoci sul braccio per pulirci. Ti rendi conto che davvero sono fuori dal mondo”.

Ci racconta qualcosa?

“C’è un aneddoto carino: prima di andarcene avevamo promesso alla tribù che le avremmo fatto avere una foto loro, una foto nostra tutti insieme. E gliel’abbiamo mandata, è stato bellissimo perché adesso la tengono come una cosa preziosa, non hanno mai avuto una foto tutti insieme, è anche un ricordo per loro”.

Rifarebbe quel viaggio?

“Senza dubbio. Ci siamo uniti tanto, anche perché quando cacci tu sei il predatore ma potresti diventare la preda e questo ti unisce!

Davvero non vedrei l’ora di rivederli, ma è un po’ complicato raggiungerli, è un po’ lontano. Non so quando risuccederà, ma mi piacerebbe tantissimo. Di persone ne incontro tante nei miei viaggi però loro…”.

Se dovesse descrivere un’emozione che incarna quell’esperienza quale sarebbe?

“Direi animalesca. Perché diventi un animale, un predatore. Non c’è differenza, sei un umano – urbano – ma sei come gli altri animali. Mi sono sentito un essere umano per davvero”.

Lì ha trovato la felicità?

“Eccome! Per loro la felicità è dormire, magiare, cacciare. Essere vivi. Loro partono per andare a cacciare e non sanno se torneranno, ma ogni giorno è un bel momento per respirare, per mangiare, per dormire. Il loro pensiero è molto semplice, è quello che manca a noi, perché siamo offuscati da tantissimi pensieri e desideri, il loro unico desiderio è cacciare ma perché devono sopravvivere, devono nutrirsi. La loro felicità, una volta che hanno la pancia piena, che possono dormire, che stanno bene è quella. Sembra banale ma alla fine forse tutto quello che ci abbiamo costruito su è superfluo e quando andiamo a scavare all’essenza è quello”.

Cosa si aspetta da questa due giorni di proiezioni?

“L’unica cosa che penso è che sarà un’immersione di affetto. Sai, così tante persone che vengono soltanto per noi, per due giorni, non so se ho mai vissuto quelle emozioni. Sarà un bagno di affetto con tantissime domande, è tanto che non incontro le persone che seguono il progetto perché più andiamo avanti più facciamo cose peculiari e non riusciamo stare dietro a tutti sui social. Son contento soprattutto perché i ragazzi e le ragazze che ci seguono sono meravigliosi, sono persone interessate, curiose, aperte, ed è sempre stimolante incontrali”.

Quando riparte e per dove?

“Riparto tra una settimana, dovremmo andare in Centro America. Non ci sono mai stato quindi non vedo l’ora”.